Un’intervista a Teresa e Piero, custodi di una storia vinicola centenaria
Nel cuore del Sannio beneventano, a Paduli, sorge un’azienda che rappresenta un esempio straordinario di resistenza culturale e innovazione enologica. Rosso Vermiglio non è soltanto una cantina: è il simbolo di una scelta controcorrente, di un ritorno alla terra quando tutti la abbandonavano, di una visione che ha saputo coniugare radici profonde e tecnologie all’avanguardia.
Incontro Teresa e Piero in un pomeriggio d’autunno, quando i vigneti hanno già donato i loro frutti e la cantina risuona del silenzioso lavoro della fermentazione. Lei, donna d’impresa e custode della memoria aziendale, membro delle Donne del Vino. Lui, agronomo dalla competenza tecnica cristallina, innovatore per vocazione familiare. Insieme raccontano una storia che inizia oltre un secolo fa e continua a scrivere capitoli di eccellenza.
Signora Teresa, signor Piero, qual è la storia dell’azienda e come si è radicata nel territorio sannitico?
Teresa: L’azienda ha radici profondissime in questo territorio. Il nonno di Piero, Antonio, era già produttore di vino rosso agli inizi del Novecento, con una cantina situata nel cuore del paese vecchio. Si trattava di un’azienda di medie dimensioni per l’epoca, ma già attiva e riconosciuta. Piero rappresenta la terza generazione. Nel mezzo c’è stato suo padre, anche lui agronomo, purtroppo deceduto prematuramente. Così Piero ha dovuto prendere in mano l’azienda a soli 25 anni.
Piero: Possiamo risalire anche oltre, al bisnonno. L’azienda produceva olio fino, vino e cereali: era la struttura tipica delle aziende agricole dell’epoca, orientate all’autosussistenza ma anche alla produzione di beni essenziali per il territorio. Il vino, all’epoca, era considerato un bene di lusso.
Teresa: Il forte legame con il territorio e con le radici ha fatto sì che, alla fine degli anni Ottanta, quando c’era l’esodo massiccio dalle campagne soprattutto delle giovani generazioni, noi scegliessimo al contrario di andare a vivere in campagna. Abbiamo preso in mano questa azienda che all’epoca era solo terreno, abbiamo reimpiantato vigneti, costruito un vivaio. Abbiamo dato un nuovo assetto partendo dalle conoscenze tecnologiche e innovative di un giovane agronomo che si affacciava all’impresa con una formazione aggiornata: non più l’azienda agricola di un secolo prima, ma una visione diversa, moderna.
Una scelta coraggiosa, quasi profetica rispetto allo spopolamento che oggi affligge queste terre. Quali sono i valori e la mission dell’azienda?
Piero: Siamo un’azienda che parte dalle tradizioni ma è fortemente innovativa. Credo che siamo una delle realtà più innovative del Sannio. Facciamo ricorso alla tecnologia e alla scienza, all’evoluzione continua della ricerca nel settore. Nel 2015 abbiamo realizzato un investimento tecnologico importante: questa struttura era un ex pastificio-biscottificio, l’abbiamo adeguata e dotata di attrezzature davvero all’avanguardia.
Teresa: Un esempio concreto della nostra filosofia? Usciamo sul mercato con circa due anni di ritardo rispetto ai nostri competitor, sia per i bianchi che per i rosati.
Un ritardo che immagino sia una scelta precisa, seppur onerosa…
Piero: Esattamente. È una scelta complessa, in favore della qualità. Il ritardo nell’imbottigliamento comporta un rischio commerciale importante: fare sostare il vino in bottiglia per mesi significa immobilizzare prodotto e capitale. C’è il rischio concreto di imbottigliare quantità superiori alla domanda di mercato. Ma questa scelta garantisce vini che non danno problemi di intolleranza.
Il processo è questo: durante la fermentazione, i lieviti consumano il glutatione, un antiossidante naturale presente nell’uva, e lo trasportano nelle loro pareti cellulari. Se diamo tempo all’alcol di disgregare queste pareti cellulari, il glutatione ritorna nel vino come conservante naturale. Se invece togliamo subito i lieviti con la filtrazione e imbottigliamo immediatamente, questo glutatione finisce negli scarti, viene filtrato via.
Dando tempo all’alcol di fare il suo lavoro, il glutatione rimane nel vino e ci permette di aggiungere quantità bassissime di conservanti chimici – la solforosa – ottenendo comunque un ottimo risultato. All’imbottigliamento i livelli sono già bassissimi, poi scendono ulteriormente. Quando il vino viene consumato, i residui di conservanti sono praticamente assenti. Questo perché i conservanti non sono stabili nel vino: si combinano, originando molecole diverse dalla molecola di partenza.
In che modo il territorio sannitico influenza le caratteristiche organolettiche dei vostri vini?
Teresa: Noi ci troviamo a est della città di Benevento e rappresentiamo l’unica realtà vitivinicola significativa in questa posizione. Le cantine del Sannio – parliamo di circa cento aziende – stanno praticamente tutte a ovest, sul versante che collega Benevento con Caserta, nella zona di Torrecuso e dintorni.
Noi ci differenziamo perché siamo sul territorio appenninico, sulla parte preappenninica del territorio beneventano. Abbiamo un’altitudine leggermente più elevata rispetto alle zone di fondovalle e un microclima diverso. Siamo al margine della dorsale preappenninica e questo ci differenzia come clima, territorio e anche come risultato finale in cantina. È il famoso terroir che influenza profondamente la produzione.
Le varietà che coltiviamo sono quelle tipiche del Sannio, ma la personalità dei nostri vini dimostra che siamo in un angolo diverso. Questo è un territorio molto vocato all’olivicoltura e alla viticoltura, ma negli anni Settanta si affermò massicciamente la tabacchicoltura industriale, che garantiva maggiori redditi immediati. Olivi e viti vennero quasi completamente sradicati: si faceva la caccia ai terreni per piantare tabacco.
Piero: Paduli arrivò a essere il secondo paese più tabacchicolo d’Europa. Fu una scelta imposta dall’alto: l’Europa decise di aiutare alcune aree depresse attraverso incentivi alla tabacchicoltura. Non fu una scelta naturale del territorio.
Teresa: Questa situazione durò fino alla fine degli anni Novanta, quando una riforma europea soppiantò la produzione di tabacco. Il territorio, che era naturalmente molto vocato alla viticoltura, venne per decenni privato di questa ricchezza. Nel 1985 ci fu una gelata devastante che distrusse anche gli olivi in tutta Italia, inclusa questa zona. Nel 1987-88, quando suo padre morì, tutto intorno si piantava tabacco. Noi scegliemmo invece di piantare vigneti.
Il territorio è particolarmente vocato, le varietà autoctone crescono benissimo, ma noi godiamo di un clima più simile a quello dell’Irpinia che non a quello del Sannio classico. Questo dà ai nostri vini un’identità particolare che ci rende distinguibili. Quando partecipiamo alle degustazioni, i nostri vini emergono proprio per questa caratteristica: si percepisce la transizione tra i vini del Sannio propriamente detto e quelli dell’area irpina. Rappresentiamo un ponte territoriale ed enologico.
L’azienda ha adottato pratiche di sostenibilità ambientale?
Piero: Certamente. Non siamo un’azienda biologica certificata, siamo convenzionali, ma molto attenti. Pratichiamo il sovescio delle leguminose, abbiamo un impianto fotovoltaico per la produzione di energia, cerchiamo di prestare massima attenzione all’impatto ambientale.
Il biologico nel mondo del vino è però, secondo me, poco realistico. Si parla di uve biologiche, ma il vino alla fine non è biologico: è un vino prodotto da uve biologiche, che è diverso. La vite è la pianta che ha più bisogno di assistenza per il controllo delle malattie. Si stanno studiando alternative – si parla di ozono, dell’ozonoterapia come fungicida, di macchine che si muovono autonomamente nei vigneti – ma sono tutte cose ancora da vedere, da verificare nel futuro. Per il momento non c’è niente di concretamente efficace.
Teresa: Siamo comunque sensibili all’ambiente in generale. Chi viene qui al vivaio nota subito che la cementificazione è sempre limitatissima. Siamo molto rispettosi degli equilibri naturali.
Sostengo anche un’altra cosa: chi fa impresa agricola ha, nel bilancio individuale dei consumi che ognuno di noi genera – consumo di ossigeno, consumo di ambiente – un saldo positivo. Per le attività che svolgiamo, noi produciamo energia ambientale anche per tante altre persone. Questo dovrebbe portarci, come educazione personale, a un maggior rispetto dell’ambiente. Purtroppo questa consapevolezza collettiva ancora non c’è.
Quali sono i principali mercati di sbocco per i vostri vini?
Piero: Abbiamo un buon mercato regionale, siamo presenti in molti Paesi della Comunità Europea, negli Stati Uniti e in Canada. In passato siamo stati anche in Cina e in India. Cerchiamo di differenziare i mercati.
Il consumo da noi, purtroppo, resta orientato verso vini economici.
Teresa: C’è una distinzione importante da fare. I giovani di oggi sono anche molto educati a capire il vino, a seguirlo, ad apprezzarlo. Ma il vino che si beve per la degustazione è una bottiglia per dieci persone. Il consumo quotidiano è una bottiglia tutti i giorni, e quella del consumo quotidiano non si fa in casa con vini di qualità: si compra il vino economico o sfuso.
La degustazione con l’intenditore, purtroppo, non assorbe grandi quantità. E c’è sovraproduzione in questo momento storico, aggravata anche dalle normative severe sulla guida in stato di ebbrezza.
Piero: E dai ricarichi della ristorazione. Una bottiglia di vino costa troppo al tavolo di un ristorante, questo è uno dei problemi. E poi magari le persone devono guidare dopo…
Teresa: Si è generato un momento di impasse, soprattutto dopo il Covid.
Piero: Tutti i media ora dicono che l’alcol fa male. Fino a qualche anno fa si sosteneva che un consumo moderato fosse accettabile, addirittura benefico. Adesso l’alcol è presentato come cancerogeno a qualsiasi dose. Il vino è diventato oggetto di un’attenzione quasi punitiva. Eppure ci sono tante altre cose nell’alimentazione che andrebbero considerate con la stessa attenzione critica.
Se uno volesse essere coerente fino in fondo: la pizza è cancerogena, il pane è cancerogeno, la carne rossa è cancerogena, i biscotti – per quella cottura dello zucchero, la seconda cottura – non dovrebbero più essere dati ai bambini… La parte bruciacchiata della pizza, la parmigiana di melanzane quando è un po’ abbrustolita… Se stiamo troppo dietro a tutto questo, finiamo per perdere i piaceri della vita.
Proprio ieri ho letto uno studio scientifico, assolutamente affidabile, che riproponeva il vino – in particolare il vino rosso – insieme alla soia e ad altri alimenti, tra i prodotti con una funzione importante sul DNA. Hanno preso in considerazione un’ottantina di studi precedenti. La tendenza è quella di criminalizzare l’alcol, ma ci sono aspetti positivi che non vengono presi in considerazione. Come in tutte le cose, è la moderazione che fa la differenza.
L’azienda offre visite guidate e degustazioni?
Teresa: Sì, su prenotazione. Le persone possono telefonarci direttamente oppure organizziamo visite attraverso associazioni. Recentemente abbiamo ospitato studenti dell’Istituto Alberghiero. Io faccio parte delle Donne del Vino, un’associazione nazionale, e attraverso questa abbiamo tenuto degustazioni negli istituti alberghieri. Poi gli studenti sono venuti qui in visita. È un trampolino importante: sono i futuri camerieri, sommelier, cuochi, le persone che lavoreranno nelle sale. È uno strumento prezioso di promozione del prodotto.
Partecipiamo anche a eventi, concorsi internazionali, fiere. Facciamo attività di promozione a 360 gradi: da Vinitaly a Prowein, tutti gli eventi più importanti del settore. In alcuni periodi intensifichiamo, ma siamo costantemente presenti.
Quali sfide ritenete più rilevanti per il settore vinicolo nel territorio sannitico?
Teresa: Questa è la domanda da un milione di dollari. La sfida principale è la sovrapproduzione. Abbiamo una varietà, la Falanghina, per cui rispetto agli ettari vitati della regione c’è eccesso di prodotto. La sfida è far sì che questo prodotto – e non riguarda solo noi ma tutti i produttori di Falanghina – trovi una quota di mercato che riesca ad assorbirlo. In questo momento c’è una vera eccedenza. Questa è la sfida per i viticoltori del Sannio.
Noi siamo vinificatori oltre che viticoltori, ma la questione riguarda l’intero comparto.
Se il vostro vino potesse raccontare una storia del Sannio, quale sarebbe la sua narrazione più autentica?
Teresa: Noi nasciamo proprio con il nome di un romanzo. La nostra cantina si chiama Rosso Vermiglio, che è il titolo di un romanzo di Benedetto Cibrario,  che ha vinto il Premio Campiello. Rosso Vermiglio racconta la storia di una donna degli inizi dell’Ottocento, molto emancipata per i suoi tempi, che si separa dal marito, da un matrimonio imposto, e va a dirigere una tenuta di famiglia che si chiama La Bandita, dove produce proprio un vino rosso, il Rosso Vermiglio.
Dal punto di vista letterario, abbiamo le nostre radici in questo romanzo. Il nonno di Piero faceva vino rosso, noi abbiamo iniziato rifacendo i bianchi, ma è rimasto nel nome il richiamo al vino rosso. Questo collegamento ci è sembrato perfetto.
C’è un altro aspetto che amo sottolineare: la bottiglia di vino è come un messaggio in bottiglia. Quando apri una bottiglia di vino, c’è una storia lunghissima dietro. Ci sono almeno due anni di lavoro.
Piero: Nel migliore dei casi. Adesso stiamo commercializzando un Aglianico 2019, quindi sono sei anni.
Teresa: Nella bottiglia c’è la narrazione di quello che è stato il clima quell’anno, il tipo di produzione che abbiamo dovuto fare, gli uomini che si sono avvicendati nella raccolta, nella potatura. Io vedo la bottiglia di vino come un messaggio in bottiglia: sai quando la bottiglia viene gettata in mare, tu la apri, srotoli il messaggio e leggi? Nella bottiglia di vino c’è proprio una storia intera.
Ti racconta com’è quel territorio. Immagina: questa bottiglia viene bevuta in Canada. Noi siamo stati oggetto di una trasmissione radiofonica canadese con il nostro Orange Wine, un vino macerato. L’abbiamo fatto per la vendemmia 2017, siamo stati tra i primi. È un vino fatto alla maniera tradizionale, come il contadino degli anni Quaranta: un vino bianco prodotto come se fosse un rosso, con macerazione sulle bucce.
Piero: A contatto con le bucce, per ottenere maggiore struttura.
Teresa: Ha avuto molta fortuna in Canada. Hanno fatto una trasmissione – l’equivalente del nostro Unomattina – in cui parlavano di questo vino. Ecco, io dico: in Canada, a migliaia di chilometri di distanza, si racconta che a Paduli, a 450 metri d’altitudine, si è prodotta un’uva che la famiglia Vermigieri ha deciso di vinificare come faceva il nonno, facendo macerare l’uva a contatto con l’aria…
Se presti attenzione a quello che ti racconta la bottiglia, la bottiglia è un romanzo. Ti racconta proprio un romanzo. Nel nostro caso, anche il nome è quello di un romanzo.
Qual è il momento magico nella trasformazione dell’uva in vino che meglio rappresenta il vostro legame con la terra sannitica?
Teresa: Per me è quando si apre la bottiglia per la prima volta, di una nuova annata. Quello è il momento magico. Apri e trovi sapori, e ti ricordi: quell’anno è stato piovoso, abbiamo avuto una grandinata, c’è stata una gelata prima, com’è stata la fioritura… La fioritura è stata anticipata…
Io vedo l’anno di produzione, il ciclo vitale biologico dell’uva fino alla bottiglia, in modo molto romanzato. È la mia prospettiva personale. Vedo questa pianta che a febbraio, se ti affacci ora al vigneto, è spompata: le foglie sono rosse, cominciano a seccare. È come quando una donna partorisce e poi è distrutta, non ce la fa più. Nove mesi di gravidanza, poi il parto.
Poi a febbraio arrivano i potatori, tagliano tutto il secco. L’aria comincia a intepidirsi, a marzo la linfa comincia a salire, la vedi gocciolare. Poi vedi la gemma, poi il grappoletto, poi le foglie, poi il frutto che cresce. Tanta attenzione, tanta cura: Piero conosce i vigneti passo per passo, li percorre duecentomila volte nell’anno, va avanti e indietro.
Poi la vendemmia, le persone che si rallegrano, la raccolta. Poi questo frutto viene “partorito” nuovamente. In cantina c’è tutto il lavoro: la diraspatrice, la pressatura, metti nella botte… È tutto un percorso. Quando apri la bottiglia, raccogli tutto questo. È la conclusione.
Quando dicono “madre terra”, è veramente madre. Io lo sento così, mi vengono i brividi perché lo percepisco davvero in questo modo.
Se dovesse definire il carattere dei vostri vini con un paragone artistico o letterario, quale sceglierebbe?
Teresa: I nostri vini sono vini senza tempo. Noi aderiamo al ciclo di produzione seguendo i tempi del vigneto e della cantina. Piero passa nel vigneto innumerevoli volte fino a che l’uva non è matura al punto giusto per essere raccolta e vinificata.
Quando produciamo uva da vendere, il cliente dice “domani ho la pressa pronta, mi devi mandare l’uva”, e si taglia quando lo zuccherino degli acini è orientativamente giusto. Quando è per la nostra produzione, per la nostra vinificazione, facciamo analisi al chicco. Deve essere il momento giusto per vinificare, e noi raccogliamo in quel momento.
Lo stesso vale per le fasi successive. Tra le altre cose, facciamo spumanti. Siamo una delle pochissime aziende che produce spumanti varietali del territorio sannitico con metodo Martinotti. Ma noi facciamo un anno di affinamento, mentre normalmente questi spumanti vengono fatti con 40 giorni nelle autoclavi.
Definirei i nostri vini “vini senza tempo” perché il ritmo del tempo lo scandiscono loro, e noi ci adeguiamo.
Se poteste lasciare un messaggio attraverso i vostri vini alle prossime generazioni del Sannio, cosa direste?
Piero: Di tenere duro. Di valorizzare la terra, ma puntando sulla qualità. Io credo che i consumi si stiano orientando sempre più verso prodotti di altissima qualità.
Teresa: Poco, ma di altissimo livello. Questo è il futuro.
Nel commiato, Piero tiene a sottolineare un’ultima questione, spinosa ma fondamentale per comprendere le difficoltà del settore.
Piero: Il problema del Sannio sono le cantine sociali. In Irpinia hanno quotazioni migliori per i loro vini. Sono stati più bravi, producono meno, e quel poco che producono lo valorizzano. Da noi si produce di più, ma…
Cosa succede? Io ho visto questo meccanismo anche in altri settori. In questo momento, prendiamo la Falanghina: una cantina privata fa un investimento importante, riceve un premio internazionale, la Falanghina funziona bene, la vende a un certo prezzo. La cantina sociale produce anch’essa Falanghina, si inserisce e vende lo stesso prodotto – magari di qualità inferiore – a prezzi stracciati per fare volumi. Questo alla fine si ripercuote negativamente su tutto il settore.
Ho scoperto questo meccanismo anche nei consorzi: c’è chi valorizza un certo prodotto con un marchio, e chi si inserisce abbassando i prezzi per fare le vendite facili.
Teresa: Le cantine sociali, da un punto di vista storico, hanno risolto un problema enorme.
Piero: Certamente. Prima i produttori, al momento della vendemmia, non avevano dove collocare il prodotto. Da questo punto di vista è stato fatto un passo avanti fondamentale. Il problema è che questo prodotto, che poi viene collocato nei mercati dalle cantine sociali, non viene valorizzato sufficientemente. È una questione di volumi contro qualità, e soprattutto scarica sulle rimunerazioni di chi lavora nel settore: gli agricoltori che conferiscono alle cantine sociali non prendono grandi cifre.
Prima di salutarci, Teresa tiene a menzionare i riconoscimenti che l’azienda ha ottenuto nel corso degli anni.
Teresa: Partecipiamo sempre a contest internazionali. Al momento abbiamo tutti i vini premiati in qualche concorso. Il premio più importante che abbiamo conseguito è la medaglia di platino Best in Show al concorso Decanter, che è come la Bibbia dei premi enologici.
Il nostro Aglianico 2015 fu nominato medaglia di platino Best in Show come miglior vino rosso varietale italiano. È il riconoscimento più alto. Poi tante medaglie d’oro, medaglie d’argento… Abbiamo avuto il trofeo per la Falanghina a un contest a Londra, e quello ci ha consentito di trovare l’importatore inglese, perché cercavano proprio una Falanghina e la nostra aveva ottenuto il premio più alto quell’anno.
Da quando siamo usciti sul mercato, abbiamo sempre avuto bellissimi riscontri. Forse questa nostra linea di produzione con lungo affinamento sta trovando riscontro rispetto alle tendenze attuali del mercato.
Con l’Orange Wine siamo stati precursori: dopo di noi tanti hanno cominciato a fare il macerato, ma noi l’abbiamo fatto già con la vendemmia 2017, siamo stati tra i primi. Un’altra novità è stato il Rosato Spumante di Aglianico: quando abbiamo cominciato noi non ce n’erano ancora, ed è stato subito un vino di successo.
Cosa importante: lo spumantizziamo in cantina. Normalmente gli spumanti vengono mandati – il vino base – nel Veneto e poi ritornano spumantizzati. Noi facciamo tutto qui in azienda. La nostra filiera è cortissima: il vigneto sta qui sotto e tutto si svolge qui.
Piero: Le autoclavi per la rifermentazione stanno lì, in bottiglia viene fatta l’altra.
Teresa: Facciamo tutto noi, dall’inizio alla fine.
Epilogo
Prima di lasciare Rosso Vermiglio, Piero mi mostra con orgoglio la selezionatrice ottica, una macchina straordinaria che rappresenta l’anima tecnologica di questa cantina.
Piero: Sui rossi facciamo una selezione molto attenta degli acini. Questa macchina riesce a catturare l’immagine dell’acino in fase di elaborazione e, attraverso algoritmi di riconoscimento, a fare una selezione. Funziona per apprendimento: tu mostri alla macchina quello che vuoi prendere del grappolo, lei memorizza l’immagine e quello che non riconosce – che non gli hai mostrato – lo scarta.
Se non gli mostri gli acini verdi, quelli non giunti a maturazione, oppure quelli un po’ più rosati, o quelli ammaccati, marci, la macchina li elimina. Riesce a fare una selezione basandosi su quello che tu le hai insegnato. È di sicuro un grande supporto per la qualità dei vini.
Uscendo dalla cantina, mentre il sole del tardo pomeriggio illumina i filari ormai spogli, penso a quella definizione di Teresa: “vini senza tempo”. In un’epoca di velocità e standardizzazione, Rosso Vermiglio rappresenta una resistenza poetica e scientifica insieme. Una coppia che ha scelto la terra quando tutti la lasciavano, che ha scelto la qualità quando il mercato premiava i volumi, che ha scelto l’attesa quando l’industria imponeva la fretta.
Il loro vino, come quel messaggio in bottiglia di cui parlava Teresa, attraversa oceani e continenti portando con sé una storia di radici, innovazione, e soprattutto di amore ostinato per una terra – il Sannio – che merita di essere raccontata, un calice alla volta.
L’azienda Rosso Vermiglio si trova a Paduli (BN), nel cuore del Sannio beneventano. Per informazioni su visite e degustazioni:

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