di Daniela Piesco Direttore Responsabile
Dopo mesi di silenzio, chiusura, disservizi, promesse mancate e cittadini lasciati a bussare a porte sbarrate, arriva finalmente la comunicazione ufficiale: un post su Facebook. Un misero post, asciutto, senz’anima, senza firma, senza una parola di scuse o rispetto per le centinaia di persone danneggiate. Ecco come le istituzioni trattano chi ha bisogno. Con sufficienza. Con fastidio. Con la strafottenza tipica di chi sa che non pagherà mai per i propri errori.
Non una nota stampa, non una conferenza, non un numero da chiamare, non un messaggio a chi ha visto la propria vita sospesa, inchiodata all’inagibilità di un edificio pubblico. No, ci si affida a Facebook, come se un servizio dello Stato fosse la pagina di un ristorante che comunica di aver cambiato menu. Ma stiamo scherzando? È questa la vostra idea di comunicazione istituzionale?
La verità è che vi siete nascosti. Avete chiuso un ufficio fondamentale senza mai spiegare nulla. Avete ignorato le proteste, le richieste di chiarimento, le segnalazioni. Avete lasciato senza risposte i lavoratori, i disoccupati, le persone fragili. E ora tornate, come se nulla fosse, senza nemmeno il coraggio di metterci la faccia. Scrivete “si comunica che…” come se foste dei robot scollegati dal mondo reale. Come se mesi di disagio potessero essere liquidati con una frase passiva e arrogante.
È questa la misura della vostra incompetenza. E del vostro disprezzo.Chi occupa posti pubblici senza senso del dovere, senza rispetto, senza umiltà, non merita alcuna indulgenza.
La cosa più grave non è l’infiltrazione nei muri. È quella nel cervello. Nella cultura istituzionale. Nel modo malato in cui concepite il rapporto con la cittadinanza. Siete chiusi dentro il vostro palazzo anche quando riaprite. E il vostro post è l’ennesima prova: vi fa schifo parlare con la gente. Preferite parlare a vanvera sui social. Sperando che tutto passi sotto silenzio. Ma non passerà.