di Carlo di Stanislao

“Chi non ha il coraggio di parlare alto, alla fine resterà muto.”
— Victor Hugo

C’è qualcosa di profondamente comico – e vagamente tragico – nella figura di Emmanuel Macron, soprattutto quando si trova di fronte a Donald Trump. Al recente G7 in Canada, il presidente francese ha fatto quello che fa sempre: si è affrettato a offrire una spiegazione, tutta sua, dell’ennesimo colpo di teatro. Trump aveva appena lasciato il vertice in anticipo, Macron ha annunciato che il tycoon se ne stava andando per mediare una tregua tra Israele e Iran. Diplomatico? No. Incauto.

Trump non ha aspettato neanche il caffè. Ha preso in mano il telefono e, come suo solito, ha scritto nero su bianco: Macron “non ha idea” del perché lui se ne sia andato. E già che c’era, ha aggiunto che il francese è “uno in cerca di pubblicità”. Un’uscita secca, senza mediazioni. Tipicamente trumpiana. Ma anche, diciamolo, clamorosamente condivisa da molti leader europei – che però, come spesso accade, preferiscono non esporsi.

In Europa, infatti, c’è una lunga tradizione: si parla dietro le quinte, si sbuffa nelle stanze riservate, si biasima con ironia durante i pranzi istituzionali. Ma in pubblico si tace. Macron lo sanno tutti che esagera. Che ama la ribalta, che recita più che guidare, che si atteggia a statista globale quando a malapena tiene insieme la sua coalizione. Ma guai a dirlo.

Donald Trump invece parla, eccome se parla. Non sarà elegante, non sarà un fine diplomatico, ma ha una virtù: dice quello che pensa, quando lo pensa. Anche se fa rumore. Anche se urta. E così, ancora una volta, ha rovesciato il tavolo e svelato il trucco. Macron, quello del “presidente filosofo”, del “Napoleone col drone”, si è ritrovato smentito con un post di due righe. Fine dell’applauso.

Ma non è solo una questione di stile. È sostanza. Trump ha capito che l’Europa – e in particolare la Francia – non ha più il peso di un tempo. Non incute timore, non influenza le crisi, non detta l’agenda. E allora la strategia è semplice: ignorarla. O ridicolizzarla.

Macron, d’altra parte, è il prodotto più perfetto di quella scuola francese che ha smesso di produrre giganti e ha iniziato a confezionare attori. Dopo De Gaulle, la politica d’Oltralpe ha vissuto una lenta decadenza. Giscard, elegante e distante. Mitterrand, scaltro e ambiguo. Sarkozy, una comparsa troppo entusiasta, più a suo agio in un programma serale che in un vertice internazionale. E infine lui, Emmanuel: giovane, curato, brillante, ma con l’aria di chi recita sempre per qualcuno.

Quando Trump lo definisce “uno in cerca di pubblicità”, dice una verità che a Bruxelles nessuno osa articolare. Macron è un presidente da copertina, abituato a parlare molto e dire poco. Lo si è visto durante il G7: mentre la diplomazia mondiale cercava di affrontare le crisi in corso, lui cercava il microfono. E Trump, stavolta, glielo ha strappato di mano.

Il fatto che nessun leader europeo abbia alzato la voce per difendere Macron non è un caso. È un segnale. Nessuno vuole inimicarsi Trump, certo. Ma forse nessuno crede davvero più nella leadership del presidente francese. Una leadership fatta di gesti simbolici, di dichiarazioni studiate, di viaggi lampo e video emozionali. Ma povera di risultati.

E allora sì, Hugo aveva ragione: chi non ha il coraggio di parlare forte, alla fine resta muto. Macron parla troppo e dice poco. L’Europa pensa tanto, ma non dice nulla. E Trump, che urla e semplifica, finisce per imporsi. Non perché abbia ragione su tutto. Ma perché non ha paura di esporsi.

Forse è arrivato il momento che qualcuno a Bruxelles o a Berlino – o magari persino a Roma – abbia il coraggio di dire a Macron ciò che Trump gli ha già urlato in faccia. Con meno brutalità, forse. Ma con la stessa chiarezza.

Altrimenti l’Europa, ancora una volta, resterà lì a guardare. In silenzio. A disagio. E irrilevante.

 

pH Wikipedia

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