La parola al Direttore Daniela Piesco 

Ancora una volta, la Corte dei Conti – Sezione Regionale di Controllo per la Campania – pone un freno alla corsa verso la costituzione della società “Sannio Acque srl”, ribadendo un principio tanto elementare quanto trascurato nel dibattito istituzionale: l’adesione dei comuni a un nuovo gestore del servizio idrico integrato non è obbligatoria e, anzi, richiede trasparenza, valutazioni puntuali e partecipazione dei cittadini. Con la delibera n. 161/2025/PASP, i giudici contabili esprimono un “parere parzialmente negativo” sulla scelta del Comune di Campoli Monte Taburno di entrare nella costituenda società, smontando pezzo per pezzo le argomentazioni portate avanti da chi spinge per questa operazione.

È la quinta volta che accade. Il coordinatore dell’ambito sannita dell’Ente Idrico Regionale, Pompilio Forgione, già protagonista del caso Solopaca nel 2023, viene ancora una volta smentito dai magistrati contabili. Non solo: la Corte sottolinea come le amministrazioni comunali non possano deliberare l’adesione al nuovo soggetto giuridico sulla base di modelli preconfezionati inviati dall’EIC. È necessaria un’istruttoria interna rigorosa, capace di misurare vantaggi e rischi specifici per ogni comunità. E, soprattutto, serve un passaggio democratico imprescindibile: la consultazione pubblica.

Quello che emerge con chiarezza è un problema sistemico. Da un lato, si continua a proporre una governance del servizio idrico calata dall’alto, dall’altro si ignorano o si minimizzano le implicazioni economiche e politiche di questa scelta. Il parere della Corte mette in luce un nodo cruciale: il socio privato della futura Sannio Acque non assumerebbe alcun rischio d’impresa. Al contrario, avrebbe garantita una remunerazione, indipendentemente dalla sostenibilità o meno dell’intervento, scaricando i costi sulle tariffe a carico dei cittadini.

In tempi di crisi climatica, quando l’acqua si avvia a diventare la risorsa più contesa del pianeta, affidarne la gestione a un soggetto che risponde a logiche di profitto, con scarse tutele pubbliche, rischia di trasformare un diritto in una merce. E questo è esattamente ciò che la Corte evidenzia: la privatizzazione mascherata del servizio idrico non porta né maggiore efficienza né maggiori investimenti, ma piuttosto una deresponsabilizzazione della componente pubblica e un aggravio per i cittadini.

Chi ha ragione, dunque? Sul piano strettamente giuridico e contabile, la Corte dei Conti non lascia spazio a dubbi: l’adesione a Sannio Acque non è automatica né obbligata; va ponderata e preceduta da una consultazione popolare. Ma c’è anche una questione etico-politica: l’acqua è un bene primario, non un asset da valorizzare in termini di mercato. La gestione pubblica “in house”, ovvero completamente sotto il controllo degli enti locali, non è solo legittima, ma preferibile quando garantisce efficienza, trasparenza e partecipazione.

E qui sta il punto: la cosiddetta “scelta pubblica” non è mai stata davvero considerata. Nonostante da anni comitati civici e associazioni ne sostengano la validità, denunciando le derive speculative del progetto Sannio Acque, le istituzioni locali hanno continuato a procedere nella direzione opposta, perdendo tempo prezioso e, come ammesso dagli stessi attivisti, anche risorse del PNRR.

Si può, oggi, ancora invertire la rotta? Tecnicamente sì, ma serve coraggio politico. Serve un’amministrazione che sappia dire “abbiamo sbagliato” e che riapra il confronto, a partire dalle comunità. Perché l’acqua, come insegna la migliore dottrina giuridica e il buon senso, è un bene comune: né pubblico né privato, ma collettivo. E come tale va gestito, con regole certe, ma anche con un’etica della responsabilità che finora è mancata.

L’alternativa c’è ed è praticabile: una gestione in house, senza gare d’appalto, con controllo democratico e tariffe eque. È tempo che i comuni smettano di essere meri esecutori di scelte calate dall’alto e tornino a essere luoghi di decisione e partecipazione. La Corte dei Conti ha tracciato una linea. Ora spetta alla politica decidere se continuare su una strada già bocciata più volte, o finalmente rimettere al centro l’interesse dei cittadini.

 

pH Pixabay senza royalty

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