“La guerra non si può umanizzare. Si può solo abolire.”
— Albert Einsteinn
L’ombra lunga della guerra
Israele, sotto la guida del capo di Stato Maggiore Eyal Zamir, ha annunciato di aver “spianato la strada” verso Teheran. L’Aeronautica militare è pronta a colpire obiettivi strategici nella capitale iraniana, una mossa che, se attuata, rappresenterebbe una delle azioni più audaci e pericolose degli ultimi decenni. A rafforzare questa intenzione vi è il richiamo dei riservisti e il rafforzamento delle postazioni lungo i confini settentrionali, in particolare con Libano e Siria.
Parallelamente, l’Iran ha chiuso il proprio spazio aereo “fino a nuovo ordine” e ha promesso una risposta “su vasta scala” contro i suoi aggressori. La minaccia è concreta: secondo fonti militari iraniane, fino a 2.000 missili sarebbero pronti per essere lanciati contro Israele. Una cifra venti volte superiore rispetto alle prime raffiche già avvenute nei giorni scorsi. Inoltre, fonti riportate dall’agenzia Fars indicano che anche le basi americane nella regione rientrerebbero nei potenziali obiettivi dell’offensiva iraniana.
Morti illustri e danni strategici
A dare ulteriore gravità al conflitto, la conferma della morte di due generali iraniani — Gholamreza Mehrabi e Mehdi Rabbani — durante gli attacchi israeliani. Entrambi occupavano ruoli di primissimo piano nello Stato Maggiore delle Forze Armate di Teheran. La loro uccisione ha scatenato un’ondata di indignazione in Iran e un ulteriore irrigidimento della posizione ufficiale contro Israele e i suoi alleati.
Nel frattempo, danni importanti sono stati segnalati in diversi siti strategici. Le immagini satellitari mostrano pesanti distruzioni in basi missilistiche iraniane a Kermanshah e Tabriz, mentre l’impianto nucleare di Fordow ha riportato “danni limitati”, secondo le autorità iraniane. Nonostante ciò, il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha dichiarato che l’Iran avrebbe ormai “superato la linea rossa” nella costruzione dell’arma atomica, richiamando l’attenzione sull’urgenza di evitare un’escalation.
Il fallimento della diplomazia
Le speranze di un dialogo restano appese a un filo. L’Iran non ha ancora deciso se partecipare ai prossimi colloqui con gli Stati Uniti previsti in Oman. Teheran accusa Washington di sostenere “un regime razzista” mentre allo stesso tempo finge di voler negoziare, rendendo i colloqui sul nucleare sempre più sterili. L’inviato americano Steve Witkoff, tuttavia, si dice pronto a incontrare la controparte iraniana in qualunque momento.
Papa Leone XIV, intervenendo durante un’udienza giubilare, ha richiamato i leader mondiali al senso di responsabilità: “Nessuno dovrebbe mai minacciare l’esistenza dell’altro. È dovere di tutti i Paesi sostenere la causa della pace.” Parole nobili, ma che al momento sembrano perdersi nel frastuono delle sirene di guerra.
Conseguenze globali
Mentre il bilancio delle vittime cresce — 78 in Iran e 3 in Israele, con centinaia di feriti da entrambe le parti — l’intero scacchiere mediorientale trema. La Giordania ha appena riaperto lo spazio aereo chiuso da giorni, ma le compagnie aeree evitano comunque il sorvolo dell’area. Le forze italiane in Libano restano nei bunker per precauzione, come riferito dal ministro della Difesa Guido Crosetto, sebbene al momento non siano coinvolte direttamente nel conflitto.
Lo spettro di una guerra regionale, potenzialmente estendibile a livello globale, è ormai reale. Un’escalation tra Israele, Iran e Stati Uniti potrebbe avere conseguenze devastanti non solo sul piano militare, ma anche su quello energetico, economico e umanitario.
Il mondo osserva, paralizzato. La diplomazia è al suo banco di prova più difficile da anni. Riuscirà a spegnere l’incendio prima che divampi oltre ogni controllo?
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