La recensione del Direttore Daniela Piesco

Tra le tante tele che compongono la personale di Mario Lanzione alla Galleria del Carbone, ce n’è una che mi ha letteralmente trattenuto. Non c’è parola più giusta: trattenuto. Come se mi avesse afferrato lo sguardo per non lasciarlo più andare. È una tela notturna, intensa, che sembra provenire da una profondità interiore più che da uno spazio fisico. Un’opera che parla sottovoce, ma con un’autorità che non consente distrazioni.

In un mare di blu che si fa materia, densità, quasi respiro, compaiono forme geometriche come apparizioni. Non sono figure rigide, fredde. Sono presenze — e forse memorie — che affiorano dal buio come relitti di un ordine passato o desiderato. Lì, in mezzo, pulsa un rosso. Non è un semplice colore: è un segno di vita, un battito, una ferita o forse un cuore. È quello il punto in cui l’emozione rompe la quiete, il razionale cede il passo all’impulso, e la pittura smette di rappresentare per iniziare a dire.

C’è qualcosa di struggente in questa tela. Non per un eccesso sentimentale, ma per la precisione con cui riesce a raccontare l’instabilità della nostra interiorità: l’andare e venire tra equilibrio e sbandamento, tra ordine e confusione. Guardandola ho pensato che Lanzione non costruisce solo immagini: scava, stratifica, interroga. E soprattutto, ascolta. Ascolta la materia, la lascia parlare, e quel dialogo arriva fino a noi.

Quella linea netta che attraversa la parte alta del quadro — una lama fucsia e rossa che separa e unisce — sembra dire tutto: è il confine tra ciò che possiamo dominare e ciò che ci sfugge. E Lanzione, con la sua mano sicura e inquieta, ci invita a stare proprio lì, su quel margine.

Questa mostra, che raccoglie cinquant’anni di lavoro, è un viaggio poderoso, ma è davanti a questa tela che ho sentito il peso e la grazia dell’intero percorso. Non si esce indenni da un’opera così. Ci si porta via addosso una domanda, un richiamo, un’ombra di blu sotto le palpebre. E forse è proprio questo che l’arte dovrebbe fare: lasciarci un segno dentro, silenzioso e indelebile.

 

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