“Satira è ciò che chiuderebbe la bocca ai potenti se solo avessero il senso dell’umorismo.”
— Karl Krau
L’ultima performance di Ilaria Salis è da standing ovation in un teatro dell’assurdo. L’europarlamentare di Alleanza Verdi-Sinistra, già celebre per essere riuscita a entrare a Strasburgo direttamente da una cella ungherese – e probabilmente senza passare dal via – ha deciso di sollevare il livello del dibattito pubblico con un’affermazione che suona più come un rutto ideologico che come un’analisi politica:
“Fanculo la bianchezza.
Ora, lungi da noi voler interpretare alla lettera ogni singolo sfogo sui social (sennò ci toccherebbe denunciare metà delle zia Cinzia d’Italia per istigazione alla carbonara con la panna), ma quando una rappresentante eletta si lancia in questi slanci poetico-repressivi, un paio di domande sorgono spontanee. Del tipo: ma che cos’è esattamente questa “bianchezza” che dobbiamo mandare a quel paese? Parliamo del colore della pelle? Del detersivo? Dell’arredo minimalista? O magari della mozzarella di bufala, colpevole di essere bianca, liscia e – per qualche corrente del post-marxismo vegano – colonialista?
Secondo Salis, il problema non è solo negli Stati Uniti, dove Trump – il Rasputin arancione del populismo yankee – ha fatto scattare il coprifuoco a Los Angeles dopo giorni di rivolte. No, l’allarme razziale è globale, ed è giunto il momento di schierarsi: da una parte ci sono i cattivi, bianchi, etero, probabilmente padani; dall’altra, il fronte del bene, meticcio, resistente e con abbonamento attivo a Jacobin.
E in mezzo, noi. Italiani medi. Non abbastanza bianchi per essere colonialisti, non abbastanza colorati per essere oppressi. Più che razzializzati, siamo spompati.
Ma Salis non si ferma qui. Non bastava il “fanculo la bianchezza”, doveva arrivare anche la condanna all’invio dell’esercito, la solidarietà ai rivoltosi americani, e l’equiparazione dei CPR italiani ai gulag sovietici. Sì, perché secondo la nuova grammatica radical-progressista, ogni centro di permanenza temporanea è automaticamente un lager. Manca solo che venga vietato l’uso della parola “ordine” perché troppo simile a “Ordine Nuovo”.
La sua filippica online è, a modo suo, un piccolo capolavoro di retorica indignata.
Salis ha studiato bene. Ha preso appunti su come usare le parole chiave giuste: razzializzato, patriarcale, fascistizzante, tossico, decostruito. Ha imparato che più l’insulto è vago, più sembra profondo. Il suo linguaggio sembra uscito direttamente da un generatore automatico di slogan di Fridays for Future dopo tre spritz.
E tutto questo mentre a Los Angeles la gente spacca vetrine e saccheggia negozi. Ma, secondo Salis, non chiamateli “criminali”. Sono “soggetti razzializzati in espressione identitaria urbana”. Insomma, gente che esprime il proprio dissenso con una PS5 sottobraccio.
E intanto in Italia? Secondo la deputata, stiamo lentamente scivolando nel tunnel del suprematismo bianco, trascinati da un governo che osa identificare i migranti e gestire i confini. Pazzesco. I CPR sarebbero “strutture disumane”, i respingimenti “atti inqualificabili” e ogni controllo dell’immigrazione “un’aggressione neocoloniale”. In pratica, Salis propone una nuova forma di Stato: confini aperti, zero controlli e tutte le colpe al maschio caucasico eterosessuale. La sicurezza? Quella ce la fornisce il karma.
L’ironia più tragica è che tutto questo non arriva da un post su un blog di controinformazione, ma da una parlamentare europea. Una che, volente o nolente, è ora parte di quel sistema che fino a ieri contestava dal marciapiede con un cartello scritto male.
Ma attenzione: il pericolo non è solo nelle parole – quelle passano – ma nel clima che queste parole contribuiscono a creare. Un mondo diviso tra puri e impuri, tra giusti e sbagliati, tra chi ha capito tutto (lei) e chi deve solo stare zitto e imparare (noi). Dove la complessità sociale si riduce a slogan da t-shirt e dove chi osa fare domande è subito bollato come “reazionario” o “bianco interiorizzato”.
Forse è il momento di riscoprire il buon vecchio senso del ridicolo. Perché quando un deputato dice “fanculo la bianchezza”, senza accorgersi che la stragrande maggioranza del suo elettorato probabilmente usa ancora il dentifricio sbiancante, qualcosa non torna.
Quindi cara Ilaria, con affetto e spirito democratico, lasciaci dirti:
fanculo no.
Ma magari un po’ meno panna ideologica, e un po’ più sale in zucca.
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