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Politica

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Cultura e società

M. Foucault – K. Kavafis: Il corpo come potere, come sapere, come sensi
M. Foucault – K. Kavafis: Il corpo come potere, come sapere, come sensi

Di Apostolos Apostolou

“Il corpo è un carniere di segni. Il segno è un corpo disincarnato.”
J.Baudrillard.

«Il corpo parla» secondo M. Foucault e K. Kavafis. Il «corpo parla», come «parla ogni cosa.» Il corpo è il luogo in cui s’inscrive il potere, è il dominio esteso di una torsione di senso ma anche è una richiesta d’aiuto. Il corpo che trasmette e produce potere lo rafforza ma lo mina anche, lo espone, lo rende fragile e permette di opporgli ostacoli per M. Foucault. Il potere esiste nel corpo, esso si trova esposto nel corpo. I corpi sono le superfici eloquenti in cui s’inscrive il potere. «Il potere si è addentrato nel corpo, esso si trova esposto nel corpo stesso» scriveva M Foucault. Mentre il poeta greco K. Kavafis sosteneva che il corpo non solo parla e raccorda ma anche ricorda. Scrisse:

Corpo, ricorda, e non solo quanto fosti amato,
non soltanto i letti in cui giacesti,
ma anche quei desideri che per te
brillavano chiari negli occhi,
e tremavano nella voce – e qualche
casuale ostacolo li rese vani.
Ora che tutto ormai appartiene al passato,
sembra quasi che a quei desideri
tu ti sia concesso – come brillavano,
ricorda, negli occhi che ti guardavano:
come tremavano nella voce, per te,
ricorda, corpo.

Il potere sui corpi deve dar luogo a un sapere dei corpi. Ma anche il potere dispone dei corpi, poiché dispone del senso della vita e della morte. Il sapere dei corpi deve rendere riconoscibile il potere, dirà M. Foucault, e continua, il potere deve svelare, o indicare, le sue regolarità e strategie. Cosi lo schema Corpo – Sapere – Potere è la conoscenza storica. E questo perché il potere è la natura, ma anche siccome il potere è repressivo e insieme coercitivo.

Foucault sostiene che nelle cerimonie del supplizio il personaggio principale non è il criminale, ma il popolo che era chiamato ad assistere allo spettacolo del potere che si scatenava sul corpo del colpevole. Che cosa non vede Foucault? Non vede che il potere in fondo non esiste: Non esiste mai l’unilateralità di un rapporto di forze su cui si potrebbe costituire una struttura di potere, una realtà del potere e del suo moto perpetuo. Sempre il potere seduce. Ma non nel senso volgare di un desiderio delle masse, di un desiderio complice. Qui esiste la tautologia della psicoanalisi che torna a fondare la seduzione nel desiderio degli altri. Il potere seduce in virtù di quella reversibilità che lo ossessione e su cui si costituisce un ciclo minimo. E’ il vuoto che esiste dietro il potere o nel cuore stesso del potere. Il vuoto esiste anche nella produzione, ma anche nella fantasia, è solo questo vuoto che può conferir loro oggi un ultimo barlume di realtà.

Però per K. Kavafis il corpo è il mio sguardo, il riflesso degli specchi che fanno affiorare il mio volto nel dileguarsi del mio sguardo, fuori dal potere, fuori dal sapere, ma da pulsioni e fantasie, come emozionale. Il corpo e la memoria, la memoria esiste come fantasma secondo K. Kavafis. Un passato che sappiamo irrevocabile, può dare un senso al presente, solo parchè appare anch’ esso, come ciò che e’ stato irrevocabile. Cosi scrisse K. Kavafis:

Il fantasma del mio giovane corpo:
da quando – eran le nove – ho acceso il lume,
è giunto, e mi ha sorpreso, e mi sono ricordato
di camere serrate, profumate,
e di trascorsi piaceri – di che arditi piaceri!
E così mi ha riportato dinanzi agli occhi
Vie che oggi non riconoscerei,
luoghi pieni di vita ormai scomparsi,
e poi teatri, e caffè come ve n’erano una volta.

Il fantasma del mio giovane corpo
è giunto, e mi ha recato ancora ricordi mesti:
dolori domestici, e dipartite,
sentimenti dei miei cari, sentimenti
dei morti, valutati così…

Secondo Foucault esiste una congiunzione fra corpo, potere, e sapere, come totale e operativa. Però non è forse soltanto congiunzione di tre stelle morte, i cui ultimi riflessi si rischiarano a vicenda perché hanno perduto la luce propria. Foucault vede solo la produzione del corpo, del potere, e del sapere, come discorso è affascinato dallo spiegamento irreversibile e dalla saturazione interstiziale di un campo di parola, che è al tempo stesso l’istituzione di uno spazio di potere, culminante in quello del sapere che lo riflette o che lo inventa con luogo il corpo umano. Mentre secondo il poeta K. Kavafis il corpo è l’ esperienza sessuale come prima quella emozionale che mi rileva non come una coscienza che può usare il suo corpo per esprimente qualcosa, ma come un corpo che, in preda al desiderio, tende a un altro corpo. K. Kavafis scrisse:

…E lo vidi il bel corpo, che pareva
modellato da Amore con la sua perizia:
plasmate con gioia le perfette membra,
elevata e scolpita la statura,
effigiato con commozione il viso
e, lasciato dal tocco delle mani,
un non so che sulla fronte, negli occhi, sulle labbra…

Oggi viviamo un altro modello del corpo. La scena del corpo cambia il corpo, che si vede metamorfizzato. Oggi il corpo è psicotropico, è un corpo modellizzato dall’ interno, senza più passare dallo spazio prospettico dalla rappresentazione dello specchio e del discorso, cioè non esiste l’ altra scena. Il potere, il sapere, i sensi, materializzano, la maledizione, la repulsione originale, il disgusto, del corpo.

 

Apostolos Apostolou. Scrittore e professore di filosofia

Dalla Chiesa di Roma alla Fratellanza Massonica
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Ritmo e neuroscienze: i benefici cognitivi ed emotivi della musica 
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La scrittrice della settimana, Alda Merini
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Ambiente

Cibo è vita. La pandemia, le guerre, il clima. Il pianeta ha sempre più fame
Cibo è vita. La pandemia, le guerre, il clima. Il pianeta ha sempre più fame

Di Giacomo Marcario

Dopo il Covid la crisi alimentare è tornata ad acuirsi a un ritmo che non ha precedenti: pesano le tensioni geopolitiche

In un mondo dove si getta un terzo del cibo prodotto, 2,8 miliardi di persone non hanno accesso a una dieta sana: dalle regole inadeguate agli eccessi speculativi, nel piatto uno specchio delle diseguaglianze economiche globali Con lo spazio mensile “Cibo è vita”, che inizia oggi a cura di Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, approfondiamo i grandi temi che incidono sulla sicurezza alimentare globale. L’obiettivo “Fame Zero” indicato nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dalle Nazioni Unite è ancora molto lontano. I paradossi dell’abbondanza sono evidenti: milioni di persone soffrono di malnutrizione mentre molti altri di obesità e ogni giorno sprechiamo sulle nostre tavole almeno un terzo del cibo che produciamo nei campi.

Il cambiamento climatico impatta su tutte le agricolture del mondo, e scienza e innovazione sostenibile possono offrire nuove soluzioni. Comprendere la centralità di questi argomenti e la loro connessione profonda con i temi della pace e della giustizia sociale sarà sempre più importante per capire quanto la comunità internazionale saprà affrontarli garantendo davvero il bene comune.C’è un passaggio forte del libro “Fame” di Martin Caparròs che mi è rimasto in mente. L’autore chiede a una ragazza nigerina che cosa avrebbe scelto se un mago le avesse offerto la possibilità di ricevere qualsiasi cosa. La risposta della giovane madre fu disarmante: una vacca. E incalzata a chiedere di più al mago, la sua replica fu altrettanto secca: «Allora due vacche. Così una sfamerà i miei figli e con l’altra potrò vendere qualcosa e non avere più fame».

Ecco, sta tutto qui. A dispetto di certe previsioni del passato, la fame rimane un gigantesco problema del nostro tempo. C’è stato un momento, in particolare nella fase della globalizzazione a cavallo dei due secoli, in cui queste urgenze sembravano scemare. L’agenda del mondo parlava di petrolio, di gas e poi ancora di Internet e della nuova finanza legata alla rete. Ma si rifletteva poco su cibo e fame. Se ne parlava di fronte a grandi drammi umanitari. Poi, passata l’onda emotiva, il silenzio.Il fatto è che in qualche modo si pensava che il mondo fosse riuscito a prendere la via del superamento della fame. Dati e analisi ci hanno dimostrato che certamente sono stati compiuti significativi passi, soprattutto in alcune realtà cruciali. Pensate alla Cina o al Brasile, ad esempio. Da quando la Fao ha cominciato a misurare la “fame nel mondo” abbiamo attraversato un periodo di lento progresso, che ha portato la stima dai circa 920 milioni di persone per il 1970 ai 785 milioni nel 2000. Da allora, una stasi – se non addirittura un peggioramento, nel periodo fino al 2005, quando si sono superati di nuovo gli 800 milioni. Tra il 2005 e il 2015 si è avuto il progresso più rapido che ha portato a ridurre la cifra al di sotto dei 600 milioni, a cui ha fatto seguito però di nuovo un arresto nel progresso, fino al 2020, quando la pandemia ha imposto un peggioramento che ancora non siamo riusciti a invertire. Il tasso di aumento della fame negli ultimi quattro anni non ha precedenti nella storia recente.Nel 2023 una persona su undici in tutto il mondo e una persona su cinque nella sola Africa è stata vittima della fame.

Il fatto è che il mondo è arretrato di venticinque anni precipitando ai livelli si sottoalimentazione paragonabili a quelli di inizio millennio. Ma cosa è successo? In questi anni, la combinazione di almeno tre crisi ha cambiato lo scenario anche in fatto di insicurezza alimentare: il covid con i suoi effetti di medio-lungo termine, l’esplosione di nuovi drammatici conflitti e guerre, la crisi climatica. Covid, conflitti e clima: sono le tre c della crisi alimentare globale. La pandemia ha colpito duramente i più fragili, anche in materia di approvvigionamento alimentare e i suoi effetti concatenati ad altre variabili si fanno ancora sentire.

Si calcola che siano oltre cento milioni le persone entrate nell’area dell’insicurezza alimentare a causa della pandemia. Pensate al connubio Covid-crisi energetica, aggravata in particolare dalla guerra in Ucraina. Le conseguenze sulla crescita dell’inflazione alimentare in tanti paesi sono state immediate e ancora troppe realtà stanno scontando aumenti di prezzi insostenibili. Le guerre rimangono la causa principale della fame. E ciò è tanto più vero oggi, con quello che sta accadendo in Medio Oriente.È cambiato il secolo, sono arrivati droni e satelliti, ma i conflitti portano ancora trincee, sfollati, fame e sete usate come strumento di guerra. Non finirà mai la fame se non finiranno le guerre; è un’amara verità anche nell’anno 2024. E poi, la crisi climatica.

Con il suo portato ormai strutturale ovunque e il grave rischio di perdere parti essenziali del patrimonio di biodiversità globale. Con l’estremizzazione sempre più frequente degli eventi atmosferici, tra inondazioni e siccità, e l’aumento delle temperature che modifica i cicli di vita delle piante e della natura, muta le agricolture, i paesaggi rurali e le vite di milioni di persone.Tutto ciò provoca effetti dirompenti. Basta pensare all’oro blu, ossia all’acqua, che in alcune zone varrà più del petrolio.

O alle migrazioni interne ai paesi più colpiti, in aree fragili come l’Africa, all’iper-urbanizzazione di queste realtà che diventerà un mega trend nel ventunesimo secolo. Ma occorre pensare anche alle nuove zoonosi e ai virus, al bisogno di comprendere sempre di più che la salute dell’uomo è intrinsecamente legata a quella degli animali e della natura. Mai dimenticare che la mappa globale della fame si sovrappone a quella della crisi climatica. Così come a quella del debito dei paesi più fragili. Perché il nesso è stringente.

Si capisce anche da questa sommaria ricognizione delle grandi faglie che compongono l’insicurezza alimentare che il tema è centrale per le nostre sorti. Ma oltre le tre “c” di clima, conflitti e Covid, i sistemi agricoli e alimentari sono attraversati da profonde ineguaglianze.Papa Francesco ha parlato giustamente dei paradossi dell’abbondanza: In un sprechiamo un terzo del cibo che produciamo mentre 2,8 miliardi di persone non hanno accesso a una dieta sana; abbiamo milioni di affamati e nel contempo milioni di persone con problemi di obesità.

In mezzo, la piaga del lavoro minorile e del caporalato che dobbiamo estirpare. Senza dimenticare mai il ruolo chiave delle donne. Le contraddizioni sono profonde. Le catene del valore sono sbilanciate verso gli anelli più forti, a scapito di agricoltori, allevatori e pescatori. Il loro potere contrattuale troppo spesso è fragile e disorganizzato. I prezzi risentono strutturalmente di questo squilibrio e sempre più frequentemente non consentono ai produttori di trovare la giusta remunerazione. I mercati hanno bisogno di regole più forti e giuste.

Certamente, non hanno bisogno di nuovi istinti protezionistici, che hanno sempre fatto pagare il prezzo più caro proprio agli anelli fragili delle catene produttive.Il discorso è complesso ma non si può eludere e riguarda anche le politiche protezionistiche dei paesi più forti e il ruolo assunto dai paesi a basso reddito, diventati sempre più importatori. Le speculazioni finanziarie sui beni agricoli non sono solo una intuizione cinematografica, come in “Una poltrona per due”. Nel mondo reale esistono e hanno bisogno di essere affrontate con regole capaci di impedire le peggiori azioni lucrative ai danni dell’economia reale.

Dove i “derivati” valgono decine di volte più dei raccolti reali. Eppure c’è un enorme bisogno di buona finanza per sostenere la trasformazione dei sistemi agroalimentari.

Ph : Freepik senza royalty

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