Di Monika Anna Perka

Nelle ultime ore, il mondo è stato testimone di una pericolosa escalation tra Stati Uniti e Iran. Gli attacchi aerei americani contro siti nucleari iraniani, e la successiva risposta missilistica dell’Iran contro Israele, ci riportano alla realtà di un conflitto che, pur avvenendo a migliaia di chilometri da noi, ha effetti profondi anche sul nostro territorio, nelle nostre città, nei nostri servizi pubblici, e soprattutto nelle nostre comunità multiculturali.
In un contesto di tensione internazionale, il ruolo del mediatore interculturale diventa ancora più centrale. Quando lo scenario politico globale si polarizza, il rischio maggiore è che il conflitto si traduca anche in frammentazione sociale, paura del diverso, odio etnico e religioso. Per questo, oggi più che mai, la mediazione interculturale è chiamata ad agire non solo nei contesti di emergenza, ma nel quotidiano, nei centri di accoglienza, nelle scuole, negli ospedali, nei servizi sociali, nelle piazze.
Dare voce alle persone, non agli stereotipi
Le comunità iraniane, arabe e musulmane in Italia, come tutte le altre, sono fatte di persone, famiglie, lavoratori, studenti. In tempi di crisi internazionale, rischiano di essere vittime di pregiudizi, etichettature, o persino di discriminazioni. Il mediatore interculturale è la figura che ricuce queste fratture, promuove una narrazione umana e plurale, e contrasta ogni forma di riduzionismo culturale.
In un momento in cui i media parlano di bombe, minacce e vendette, la mediazione interculturale ci ricorda che la cultura non è mai un’arma, ma un ponte per l’ascolto e la convivenza.
Mediazione come strumento di prevenzione sociale
In Italia vivono migliaia di persone di origine iraniana, araba, afghana, statunitense, israeliana. Molti di loro portano nel cuore storie complesse di migrazione, guerra, esilio. In tempi di crisi globale, è facile che le tensioni politiche si riflettano nella vita quotidiana: episodi di razzismo, incomprensioni nei servizi, chiusura relazionale. Il mediatore interculturale interviene per prevenire conflitti, chiarire significati, e creare spazi di rispetto reciproco.
Oltre la geopolitica: l’etica dell’incontro
La mediazione interculturale non si occupa di diplomazia tra governi, ma di diplomazia tra esseri umani. È un lavoro paziente e silenzioso, che costruisce ponti dove altri alzano muri. Di fronte all’attualità drammatica, questa professione assume un significato ancora più urgente: riconoscere l’altro come portatore di dignità, non come minaccia.
In un mondo che rischia di esplodere, servono più ponti e meno missili. E la mediazione interculturale, oggi, è uno di quei ponti che può ancora fare la differenza.

 

pH Pixabay senza royalty

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