Di Letizia Ceroni

Della guerra conosco solo ciò che mi era stato raccontato e quello che vediamo ogni giorno da troppo tempo.
I racconti di mia mamma, i sacrifici di mia nonna per sfamare la famiglia e quella paura che le era rimasta sotto la pelle, come una sottile guaina invisibile che le faceva pensare a pericoli costanti, da iniziare a prevenire non appena gli si affacciavano alla mente, e le risvegliava costantemente l’istinto primordiale di sopravvivenza, insieme al timore di non aver abbastanza forza da riuscire a contrastarli.
Una sensazione che mi ha trasmesso, come un campanello di allarme che suona non appena un’influenza estranea crea situazioni di cambiamento o di disagio, nonostante la campana di vetro in cui vivevo.
Ricorda che peggio è sempre dietro la porta, una frase che le ho sentito dire più di una volta.
Mio padre ne parlava molto meno, forse per lui l’ impatto era stato meno forte, non fece il militare perché aveva perso un occhio in un tragico incidente e la posizione geografica non era esposta come quella dove visse mia mamma, o forse, non  voleva semplicemente parlarne.
Credo che sia una reazione della mente, quella di cercare di dimenticare, una specie di protezione per evitare che quello che si è passato ti condizioni per tutta la vita.
Ci sono state guerre lontane, quando la comunicazione non era così onnipresente e condizionante, ne avevi solo una percezione, ma ora, tutto l’orrore entra da ogni fessura.
La comunicazione è diventata invasiva, ossessiva, destabilizzante e tutto ciò che senti è amplificato, distorto, disumano.
Il dolore straziante di gente che muore lentamente, inesorabilmente, pianti di bambini rimasti soli e persi, lo strazio di genitori con il corpo del figlio, loro amore più grande, inerte tra le loro braccia e la loro impotente disperazione, persone uccise come animali mentre cercano cibo, stremate e senza speranza, senza alcuna via d’uscita.
Cumuli di macerie dove prima, persone come noi, vivevano la loro vita giorno per giorno, in mezzo alle loro cose, abitudini quotidiane ormai lontane come miraggi, e carnefici ridenti che godono di quell’orrendo spettacolo… Perché questo è, un orrendo spettacolo da trasmettere in diretta, perché la mente umana è avida di immagini che, viste su uno schermo, sembrano quasi scene di un film.
Le menti vengono condizionate e, se la tua mente cerca di resistere, di rimanere razionale e cerca motivazioni, eludendo la tempesta della propaganda, sei fuori, diventi quasi un nemico da eliminare, colui che pensa non è solo il sassolino nella scarpa del potere ma anche un alieno per chi non sa pensare.

E rimani solo tu, chiuso in te stesso, nascosto in un angolo buio della tua anima a chiederti il perché di tutto ciò che sta accadendo, a chiederti come possono uomini che potrebbero fermare tutto in un attimo, ad accanirsi sempre di più su gente inerme, al limite della sofferenza, che stanno vivendo l’inferno sulla terra che un tempo era la loro casa, il loro rifugio.
Come fanno a voltare il capo davanti all’orrore, arrivando perfino a negare che ci sia.
Domande che restano senza risposta, che lasciano dentro un freddo che nessun calore può sciogliere, un sentimento di repulsione e quell ‘istinto di autodifesa che ti avvolge stretto insieme alla paura che, un giorno, potresti essere tu quello seduto sulle macerie della tua vita con in braccio un corpo inerte a urlare il tuo dolore a un cielo grigio dove non volano più uccelli ma solo macchine di morte.
E in quel momento, capisci.
Come una luce che squarcia il buio arrivi alla consapevolezza di essere solo una microscopica formica in un immenso formicaio, una goccia nel mare, un numero, una nullità, la tua vita conta solo per te, ai potenti non importa se vivi, se muori, se soffri, per loro sei solo uno dei tanti mattoni che tengono in piedi il loro castello, sacrificabile se serve a raggiungere i loro scopi.
E pensare che è proprio l’immenso formicaio di cui fai parte che dà a pochi il potere di disporre delle loro vite.

Ph creata con IA gemini

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