di Mary Grace Ovedi 

Mary e John erano soliti passeggiare il sabato, la domenica pomeriggio.
Non avevano molto da dirsi ormai e quel camminare silenziosi l’uno accanto all’altro era l’unico segno, l’unico indizio, per chi guardava la lontano, che erano insieme e forse l’unico che lasciava intuire che una volta lo erano stati di più.
Mano nella mano, camminavano cadenzando passi lenti, ritmando una nenia strana, accaldati nonostante l’ombra fresca e ventilata dei vicoli di quella Roma che tanto li affascinava.
Li conoscevano bene quei vicoli, quelle stradine strette, con i sampietrini un po’sconnessi, con i negozietti strani, piccoli buchi scuri, quasi tutti di mobili antichi, di cose antiche, andate, passate.
Mary era solita fermarsi a guardare la vetrina di un negozio di cianfrusaglie varie che, tra le tante cose, aveva esposta una collezione orrenda di bambole di ceramica, di terracotta, di gesso.
Più ne era impressionata e più ogni volta che passava lì vicino non poteva fare a meno di sbirciare dentro e rabbrividire.
Lui la prendeva in giro per questo però accondiscendeva e si fermava con lei a guardare.
Conoscevano bene oltre i luoghi, appunto perché vi erano passati decine e decine di volte, anche le luci.
Tutte le diverse variazioni che la luce produceva sul luogo e sulle cose: dalla luminosità del sole abbagliante che in controluce circonda tutto d’aureole dorate alla nitidezza del sole limpido che rende oggetti e persone reali e materiali. Alle sfumature malinconiche che la pioggia dipinge sui muri decrepiti, al chiarore ammiccante dei lampioncini di foggia antica appena appena illuminati, tra cui ne potevano contare sicuramente almeno due fulminati. All’inquietante incupire del vento serale che fa cigolare le persiane cadenti e balenare ombre misteriose sui muri.
E che dire della notte?
Allora adoravano, tacitamente complici, fingere di perdersi in quei vicoli quando scendeva la notte, quando i negozietti chiudevano e con loro scompariva la luce vivace dei neon, quando si spopolavano le viuzze in gran fretta e rimanevano soltanto loro, il vento, o il freddo o la pioggia e le luci tenui dei lampioncini, qualcuno dei quali, si sarebbe spento sicuramente al loro passaggio.
Magia, la chiamavano.
E magia era anche l’eco dei loro passi che si sentiva ancora quando avevano già voltato l’angolo.
Allora sì, erano i padroni della città, i padroni del labirinto. Come uscirne?
Era diventata un po’ la loro scappatoia: camminare vicini ti dà sicurezza, ma ti fa sentire anche abbastanza libero da poter fuggire in ogni momento. E questo Mary lo sapeva bene.
Forse aveva cominciato a capirlo anche John perché non la teneva più stretta come un tempo.
Le offriva la mano e lei era libera di prenderla oppure no.
Può essere molto allegro camminare avventurosamente alla ricerca di nuovi angoli, nuovi antichi siti in cui sbirciare, ma anche molto malinconico.
Spesso erano malinconici, parlavano del passato, sorridevano dei loro piccoli segreti ed erano felici di aver vissuto insieme momenti che altri non avrebbero saputo.
Potevano essere felici insieme.
Da lontano lo sembravano.
Talvolta non era più il silenzio tra loro.
Camminando camminando, facevano battute e battutine su ogni cosa, secondo l’umore momentaneo naturalmente, e non avrebbero ignorato alcun cartello con l’indicazione della via neanche se fosse stato buio pesto.
Era divertente sentirli cercare una interpretazione per ogni dicitura, per ogni nome strano, fosse esso storico, geografico o che so io. Ci avrebbero pensato anche il giorno dopo o la settimana seguente se lì per lì non ne avessero trovato una soddisfacente ed esplicativa.
A volte sembravano proprio dei burloni!
Ma non lo erano comunque.
Per Mary rimase a lungo un enigma, affascinante si può aggiungere, il nome di una piazza, mèta abituale del loro girovagare: “Piazza delle Cinque Lune”.
Per quante ne avessero analizzate di ipotesi, non erano riusciti a trovarne una atta a soddisfare la loro curiosità, rimaneva sempre un mistero.
Perché Piazza delle Cinque Lune? Cos’era la quinta luna?
Una la luna della Terra, quattro le fasi lunari, nove le lune di Giove, ma cinque, perché cinque?
Pian piano, settimana dopo settimana, silenzio mascherato dopo silenzio mascherato, passo dopo passo, bacio mancato dopo bacio mancato, sulla scia di questo enigma, si persero Mary e John, senza ritrovarsi, senza più riconoscersi.
La quinta luna era riuscita ad allontanarli quel tanto da render loro possibile lasciarsi, quel tanto da far dimenticare loro il contatto delle mani, delle labbra, dei corpi. E dimenticato quello, infatti, non s’erano più riconosciuti, s’erano persi.
Avevano perso la loro quintessenza, la loro quinta luna.
Ma la quinta luna è troppo importante, non puoi perderla.
Quando non la vedi più, quando non la senti più, allora devi andare. Devi andare a cercarla, a trovarla o non sarà più vita o non sarai più tu.

* . * . * . *

Erano soliti passeggiare il sabato, la domenica pomeriggio, Mary e Bob.
Se ne andavano abbracciati stretti stretti, allegri e sorridenti, per i verdi prati della loro villa, che solo per animo altruistico dividevano con altri estranei, loro affini comunque.
Amavano quel posto ricoperto di morbida moquette verde, ricco di profumi naturali e di bellezze intramontabili.
Qualsiasi stagione era stupenda lì.
Bella, sprizzante di margherite e di biancospini la primavera, cinguettante di passeri. Calda, ma ricca d’ombre fresche, l’estate, con il canto genuino delle cicale e dei grilli canterini e con il lago a specchio per la forte luce solare. Malinconico l’autunno con la melodia delle cascate di foglie smosse dal vento. Struggente l’inverno con i paesaggi spogli contorti e sofferenti ed il pianto del cielo accolto dal lago.
I cigni, le nutrie, i topolini, le bisce, anche loro godevano di questa meraviglia soddisfatti e in armonia, disturbati solo dalle zanzare: ma non c’è da meravigliarsi, quelle disturbavano tutti.
Era stupenda qualsiasi ora, lì. Dalle ore calde con il sole abbagliante a quelle fresche con il vento sussurrante.
Ma loro a questo non facevano caso.
Godevano di tutto e conoscevano ogni angolo, ogni anfratto, ogni rifugio, cui poter ricorrere nei momenti opportuni.
Il posto calmo e riparato dove il freddo sarebbe stato mitigato, il luogo aperto e soleggiato dove godere del primo calore, il prato verde e profumato dove godere dei primi colori.
Era bello lì, ed erano felici.
Se ne andavano solo quando era buio, quando tutto intorno scompariva e rimanevano soltanto loro e le voci degli animali.
Si avviavano allora lentamente e ammiravano ancora la bellezza del buio, del silenzio, della calma, della luce lunare.
La luna c’era, spesso. Li accompagnava.
La sua luminosità li lasciava perplessi a volte: era così penetrante. Li investiva interamente e li faceva poi fantasticare e correre dietro e mille pensieri folli, impossibili per loro.
Quante volte li aveva accompagnati. Quante lune avevano loro indicato la strada, illuminato i passi, colorato di magia e inebriato di soprannaturale baci a mille e più sbocciati che sembrava non dovessero appassire mai.
Quante carezze avevano raggiunto la suprema intensità nel suo pallore!
Nel suo pallore tutto diventava magico, tutto acquistava intimità, calore, sensualità.
Fu proprio allora, in quelle notti d’incanto, in quelle notti stregate, che un’immagine, tra un bacio e una carezza, si congiunse, si completò.
Un’immagine ancestrale, che si materializzò nella loro mente e fu… fu una fiammata, un artificio, un caleidoscopio.
Colori e forme danzanti, scintillanti, fosforescenti che danzavano, danzavano, sotto le loro palpebre socchiuse. Giravano, piroettavano vertiginosamente. Si alzavano, si abbassavano, si rincorrevano, esplodevano e tornavano a riformarsi, a rincorrersi, a rinnovarsi nei colori.
Sempre più belli, sempre più luminosi, sempre più brillanti: sempre più fluorescenti.
Finché l’immagine fu chiara, fu nitida, fu reale.
Mary e Bob, aperti gli occhi, si fissavano estasiati.
Sorridevano teneramente: cinque meravigliose, brillanti, fluorescenti piccole lune, sorridevano rispecchiandosi contemporaneamente nei loro occhi…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.