di Carlo di Stanislao

“La storia è un incessante ripetersi di errori.”
— TucidideLa guerra del Peloponneso

“La guerra è una menzogna che uccide due volte: prima con le armi, poi con la verità.”
— Albert Camuse

Nel 2003, l’Occidente giustificò l’invasione dell’Iraq con la minaccia di armi di distruzione di massa. Era una menzogna: nessuna bomba atomica fu mai trovata. Ma quella narrativa — un nemico da demonizzare, una guerra preventiva da giustificare — fu sufficiente a trascinare il mondo in un conflitto devastante. Oggi, più di vent’anni dopo, lo schema si ripete.

L’Iran viene nuovamente dipinto come vicino alla soglia nucleare. Rapporti ambigui, timori “imminenti”, allarmi calibrati: lo stesso meccanismo retorico del 2003 si rimette in moto. E ancora una volta, Israele si pone al centro della tensione: l’unico attore della regione con un arsenale atomico reale ma non dichiarato, che considera ogni avanzamento iraniano una minaccia esistenziale. Si parla apertamente di attacchi preventivi, con l’appoggio implicito o esplicito degli Stati Uniti.

Ma mentre lo sguardo è puntato sul Medio Oriente, la Cina si avvicina silenziosamente a Taiwan, e Trump — oggi nuovamente presidente degli Stati Uniti — rilancia il suo piano geopolitico sull’Artico, chiedendo esplicitamente l’annessione della Groenlandia.

La Cina osserva, e attende

Nel silenzio orientale, la strategia cinese è chiara: approfittare della distrazione dell’Occidente. Ogni escalation in Iran, ogni nuovo fronte in Medio Oriente, è un’occasione per accelerare l’isolamento e l’eventuale assorbimento di Taiwan. Pechino non ha bisogno di invadere subito: le basta destabilizzare, interferire, stringere il cappio.

Taiwan è centrale per la supremazia tecnologica: controlla oltre il 60% della produzione mondiale di semiconduttori avanzati. Chi la controlla, controlla il XXI secolo. Ma l’America può davvero difenderla su più fronti mentre riapre la partita con l’Iran e torna ad agitare ambizioni artiche?

Trump 2025: la Groenlandia non è più uno scherzo

Nel suo secondo mandato iniziato nel gennaio 2025, Donald Trump ha ripreso — stavolta sul serio — l’intenzione di portare la Groenlandia sotto sovranità americana. Lo ha dichiarato apertamente, evocando l’Alaska come precedente storico, e parlando di “sicurezza nazionale, risorse e visione strategica”.

La Groenlandia, parte autonoma del Regno di Danimarca, è oggi al centro di un interesse multipolare: Russia, Cina, USA si contendono l’Artico con basi militari, rotte commerciali e miniere rare. Trump non vuole solo provocare: vuole occupare lo spazio lasciato libero dall’Europa debole, trasformando un’isola di ghiaccio in una piattaforma globale per il dominio futuro.

L’offerta americana è economica, diplomatica e militare insieme. Ma la logica è antica: chi controlla i margini del mondo, controlla anche il centro.

Il mondo come scacchiera imperiale

Iran, Taiwan, Groenlandia: tre scenari apparentemente scollegati, ma in realtà parte di un’unica logica imperiale. Il mondo non è più diviso in blocchi rigidi, ma è interamente ricoperto da zone contese. Ogni mossa geopolitica genera un effetto domino.

La differenza rispetto al passato è che oggi il conflitto non ha bisogno di dichiarazioni di guerra: può manifestarsi attraverso pressioni economiche, sabotaggi informatici, trattative territoriali e guerre per procura.

“La guerra, nel mondo moderno, non è solo uno scontro tra eserciti, ma il risultato dell’espansione illimitata del potere.”
— Tucidide, riscritto per il XXI secolo

E così la narrazione dominante crea i suoi nemici. Costruisce minacce, giustifica interventi, legittima nuove occupazioni. Lo ha fatto in Iraq nel 2003, potrebbe rifarlo in Iran nel 2025. Intanto, Taiwan rischia di scomparire nel silenzio, e la Groenlandia di diventare l’Alaska del nuovo secolo.

La memoria come resistenza

Camus scriveva che “nella menzogna che precede ogni guerra c’è già l’assassinio della verità”. Non si può più ignorare che le grandi potenze — democratiche o autoritarie — usano la narrativa come arma. Le guerre iniziano prima degli spari, nelle conferenze stampa, nei documenti classificati, nei sondaggi di consenso.

Il compito oggi non è solo analizzare. È ricordare. Ricordare cosa è accaduto, come si è ripetuto, e perché potrebbe succedere ancora.

“La pace non si impone. Si costruisce nella verità, nella giustizia e nel coraggio di dire no.”
— Albert Camus

 

pH Wikipedia

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