“Il cinema è la forma moderna della favola, la più pervasiva, la più condivisa.” – Umberto Eco
Nel 2025, il cinema italiano ha offerto al suo pubblico due opere che, seppur molto diverse tra loro, condividono una stessa forza narrativa: quella di evocare emozioni profonde e di raccontare l’intimità dei personaggi con una sensibilità rara. Questi film sono Parthenope di Paolo Sorrentino e Diamanti di Ferzan Özpetek. Due titoli che hanno saputo risvegliare l’anima del cinema italiano, riconosciuti con merito dai Nastri d’Argento 2025, in una stagione che ha visto invece i David di Donatello affidarsi a scelte più prevedibili e meno coraggiose.
I Nastri d’Argento, assegnati nella suggestiva cornice del MAXXI di Roma, hanno fatto una scelta di campo chiara e netta, premiando la poesia di Parthenope e l’eleganza malinconica di Diamanti. Questi riconoscimenti non sono semplici attestazioni di qualità, ma segnali importanti di come il cinema italiano possa (e debba) liberarsi da formule stantie e abbracciare storie che parlano di vita, di memoria e di sentimento senza paura di rischiare.
Diamanti, in particolare, si è imposto come il film dell’anno per i Nastri, una scelta che evidenzia quanto Özpetek abbia trovato una sua dimensione matura e autentica. Il film non è un semplice racconto di relazioni o una riflessione sulla memoria, è un vero e proprio viaggio nell’anima, una ricerca dell’essenza delle persone che amiamo e delle tracce che lasciano dentro di noi. Ferzan Özpetek, già noto per la sua capacità di esplorare con delicatezza le pieghe dell’affetto e dell’identità, torna con un’opera che parla di tempi sospesi, di legami invisibili e di dolore che si fa luce.
La regia di Özpetek si caratterizza per un equilibrio raffinato tra eleganza visiva e profondità emotiva. Diamanti è un film che non ha fretta, che lascia spazio al silenzio, alle pause, a quelle sfumature che spesso vengono sacrificate in nome del ritmo. È un’opera che sceglie la sobrietà per raccontare la complessità, e che con grazia evita di scivolare nel melodramma. La città di Roma non è un semplice sfondo, ma diventa anch’essa protagonista, con i suoi angoli nascosti, le sue luci calde e le sue atmosfere crepuscolari, evocando un mondo sospeso tra realtà e ricordo.
Non meno importante è il valore simbolico del titolo: i “diamanti” sono metafora della durevolezza e della bellezza fragile delle persone e dei momenti che, anche se segnati dal tempo, restano incastonati nelle nostre vite con un valore inestimabile. Questo elemento di poetica rende il film universale, capace di parlare a chiunque abbia conosciuto l’amore e la perdita.
Mentre Diamanti si affermava ai Nastri, ai David di Donatello il film di Özpetek è stato pressoché ignorato. La premiazione più ufficiale e blasonata del cinema italiano si è concentrata su opere più “politiche” e “impegnate” come Vermiglio di Maura Delpero, che ha dominato la scena con sette statuette, o L’arte della gioia, senza però mostrare una reale apertura verso quel cinema che fa della poesia visiva e della profondità emozionale il suo centro.
In questo senso, i David appaiono sempre più ingessati in una visione del cinema che privilegia il messaggio sociale o politico a discapito della forza narrativa pura e dell’esperienza estetica. Una visione che rischia di appiattire la varietà del cinema italiano e di ignorare il valore di film che sono, prima di tutto, racconti di umanità.
Al contrario, i Nastri hanno mostrato una pluralità d’intenti che fa ben sperare. Accanto a Diamanti, hanno premiato Parthenope di Sorrentino, un’opera dal respiro quasi lirico, che racconta Napoli come un luogo mitico e spirituale, attraverso lo sguardo di una giovane donna. Il film di Sorrentino, con la sua fotografia pittorica e le musiche di Lele Marchitelli, è un esempio di come il cinema italiano sappia ancora creare immagini potenti e poetiche. La scelta di premiare Celeste Dalla Porta come rivelazione dell’anno sottolinea l’attenzione dei Nastri verso le nuove generazioni, capaci di portare nuova linfa e freschezza nel nostro cinema.
Inoltre, i Nastri non hanno trascurato la musica, elemento imprescindibile per molte pellicole: la vittoria di Arisa per la miglior canzone originale dimostra come la colonna sonora sia parte integrante della narrazione cinematografica, e non solo un’aggiunta decorativa.
Non meno importante è stata l’attenzione alla serialità televisiva, con riconoscimenti per M – Il figlio del secolo e Dostoevskij, segno che i Nastri guardano con lungimiranza ai nuovi linguaggi e ai cambiamenti in corso nel panorama audiovisivo. Una scelta che evidenzia ancora di più il divario con i David, ancora ancorati a modelli tradizionali e poco inclini alle contaminazioni.
La cerimonia dei Nastri al MAXXI ha dunque rappresentato non solo una festa del cinema italiano, ma anche una presa di posizione culturale. È stata una serata in cui si è respirata una passione autentica, un desiderio di valorizzare la creatività e la libertà artistica. Il confronto con la cerimonia dei David, più formale e prevedibile, non ha fatto che rafforzare questa impressione.
E come farlo? Innanzitutto, serve una maggiore apertura mentale da parte delle istituzioni che governano il cinema italiano. Premi come i David di Donatello dovrebbero diventare meno autoreferenziali e più inclusivi, capaci di leggere la complessità del panorama cinematografico contemporaneo senza cedere alla tentazione del conformismo. Occorre dare spazio a quei film che rischiano, che sperimentano, che non si accontentano di ripetere schemi consolidati ma provano a innovare linguaggi e tematiche.
Bisogna premiare il coraggio artistico e la libertà espressiva, ma anche investire nella formazione di nuove generazioni di spettatori e autori, capaci di apprezzare e sostenere film che mettono al centro la bellezza, l’intimità e la complessità dell’esperienza umana. Il cinema non è solo denuncia o cronaca sociale, è soprattutto narrazione emotiva e visiva: se lo si dimentica, si perde una parte fondamentale del suo potere.
Inoltre, è importante che il dibattito culturale si apra oltre le mura dei festival e delle cerimonie ufficiali, coinvolgendo critici, operatori, studenti, appassionati e pubblico. Solo così si potrà creare un ambiente fertile dove le diverse forme di cinema trovino ascolto e riconoscimento.
I Nastri d’Argento 2025 hanno dimostrato che questa strada è possibile. Hanno indicato che il cinema italiano non è solo un prodotto da consumare o un evento da premiare per convenienza, ma un luogo vivo di riflessione e di emozione, dove il tempo e la memoria si intrecciano con la realtà e il sogno.
Se vogliamo che il cinema italiano continui a esistere e a parlare al mondo, dobbiamo scegliere con coraggio. Dobbiamo premiare la libertà artistica, la bellezza e la verità, anche quando non sono facili o comode. Perché solo così, come diceva Eco, la favola moderna potrà continuare a incantarci e a illuminarci.
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