L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco
Dall’ombra delle guerre per procura, dagli attacchi nascosti, siamo precipitati nel bagliore accecante dei missili: tra il 12 e il 13 giugno 2025, Iran e Israele hanno fatto esplodere decenni di tensione in uno scontro frontale, dichiarato. Non più un conflitto nell’oscurità, ma guerra aperta. Uno scontro che minaccia di incendiare l’intero Medio Oriente, trascinando nella fornace Stati Uniti, Cina, Russia e un’Europa politicamente paralizzata.
Al centro di questa tempesta di fuoco brucia l’Iran, un nodo geopolitico inestricabile: cuore geografico strategico, un bacino colmo di idrocarburi, una potenza militare sciita. Teheran è il bersaglio designato. Perché gli Stati Uniti, dall’alba della rivoluzione khomeinista, la considerano una minaccia sistemica, non solo per Israele. Controllare l’Iran significa dettare il prezzo del petrolio globale, strozzare gli approvvigionamenti vitali per la Cina, tenere in scacco le ambizioni euroasiatiche.
Il mito dell’indipendenza energetica americana, sbandierato da alcuni presidenti, si infrange contro la nuda realtà: Washington non può permettersi di distogliere lo sguardo dal bacino fossile più ricco del pianeta. È un’ossessione geostrategica, un imperativo che non ammette deroghe.
Israele ha sferrato il primo colpo, e lo ha fatto con violenza implacabile, nell’Operazione “Rising Lion”: un attacco articolato, fatto di sciami di droni letali, raid aerei chirurgici, missili di precisione che hanno colpito nel profondo le infrastrutture missilistiche e nucleari iraniane.
L’obiettivo dichiarato? Annientare il programma atomico di Teheran. Quello reale, palpabile sotto la superficie? Paralizzare le capacità difensive dell’Iran, forse spianare la strada a un cambio di regime. La risposta iraniana è stata un diluvio di fuoco senza precedenti: missili balistici sono piovuti su Israele, sfidando e in parte sfondando la sua complessa architettura difensiva, fatta di sistemi d’avanguardia come Arrow 3, David’s Sling e le batterie Patriot. Colpendo anche centri abitati, hanno messo a durissima prova il mito dell’inviolabilità della “Fortezza Israele”.
A conferma che questa guerra è combattuta anche sul piano brutale del simbolo, Israele ha scelto un bersaglio eloquente: il quartier generale dell’Irib, la voce ufficiale del regime a Teheran. Colpito in diretta televisiva, con le bombe che hanno interrotto il notiziario oscurando lo schermo alle spalle della giornalista Sahar Emami. Un atto calcolato non per annientare capacità militari, ma per spezzare il megafono della propaganda avversaria e infliggere un’umiliazione spettacolare. Una dimostrazione di forza che mirava a penetrare non solo le difese aeree, ma la psiche collettiva iraniana. La rapida ripresa delle trasmissioni e la dichiarazione di Abedini sulla “voce indistruttibile della rivoluzione” sono il contro-colpo altrettanto simbolico: la guerra delle narrative prosegue, più feroce che mai, tra macerie fumanti e onde elettromagnetiche.
Le detonazioni hanno squarciato il silenzio, infrangendo ogni illusione di sicurezza assoluta.
Ma questo non è un semplice duello regionale. È una partita a scacchi globale dove ogni mossa risuona con forza inaudita nelle capitali del mondo. Gli Stati Uniti, protettore storico di Israele, sono sul filo del rasoio, bilanciati tra la necessità di intervenire e il terrore di un’escalation catastrofica. La Cina fissa i suoi calcoli strategici sugli idrocarburi iraniani, pronta a sfruttare ogni crepa nella compattezza occidentale. La Russia osserva, calcola freddamente, e vede nell’instabilità mediorientale una potente leva per i suoi giochi di potere contro l’Occidente. L’Europa, debole e divisa, rimane inchiodata nella sua eterna contraddizione, sospesa tra alleanze scomode e interessi economici vitali, incapace di una voce unitaria, condannata all’irrilevanza.
Mentre i missili solcano il cielo e le esplosioni squarciano la notte, l’ipocrisia fondante dell’ordine occidentale rimbomba con forza assordante, una menzogna svelata in piena luce. Israele si riarma fino ai denti, presentandolo come necessaria garanzia per la pace. L’Iran cerca di potenziare le sue difese? Viene immediatamente bollato come minaccia esistenziale e colpito da sanzioni paralizzanti. Il sacrosanto “diritto alla difesa” è invocato senza riserve per Tel Aviv. Quando lo esercita Teheran, diventa automaticamente “terrorismo”. Una narrativa tossica, amplificata dai media mainstream, spesso accusati di servilismo: imbiancano la brutalità dell’occupazione israeliana nei territori palestinesi, cancellano dalle prime pagine i morti palestinesi, santificano senza sosta l’immagine di Israele come “vittima eterna”, oscurando le sue offensive e le responsabilità profonde del conflitto. È una distorsione della realtà, una beffa alla verità.
La posta in gioco di questa guerra aperta, tuttavia, si erge ben più alta delle traiettorie dei missili. È la battaglia per il controllo dell’energia, il sangue vitale dell’economia globale. È la guerra della narrazione, che decide quali verità saranno ammesse e quali crimini verranno sepolti nel silenzio. È il collasso spettacolare di qualsiasi moralità internazionale, che sancisce un ordine mondiale pericolosamente distorto: dove la deterrenza è un privilegio riservato agli “amici”, e la guerra è condannata come crimine orrendo solo quando a condurla sono i “nemici” dell’Occidente. Un doppio standard intollerabile, un’ingiustizia che grida vendetta.
Nel vortice di questo scontro, tra il rombo assordante della propaganda e il silenzio complice su certe verità, rischia di perdersi l’essenziale, il prezzo umano più oscuro e tragico: i corpi dei civili straziati nelle case e per le strade; l’onda di destabilizzazione che già si propaga, travolgendo confini e alimentando nuovi focolai; il futuro stesso del Medio Oriente, ridotto ancora una volta a mero laboratorio di guerra, monumento vivente all’ipocrisia globale. Mentre i governi rilanciano la vuota retorica della “sicurezza”, ciò che costruiscono giorno dopo giorno, missile dopo missile, è solo un domani più buio, più fragile e carico di odio per tutti.
Il boato delle esplosioni copre il grido delle vittime, ma non potrà mai zittire il fragore assordante di una verità che imploderà mentre il mondo, ipocrita e cieco, scivola inesorabile nel baratro.