Di Carlo di Stanislao

“Il mondo non sarà distrutto da quelli che fanno il male, ma da quelli che li guardano senza fare nulla.”
— Albert Einstein

Mi chiamo Gentiana Hudhra.
Avevo quarantacinque anni.
Lavoravo come badante a Tolentino, una piccola città delle Marche dove avevo ricostruito la mia vita. Era lì che mantenevo, con dignità e fatica, i miei due figli: uno di ventitré, l’altro di vent’anni. Erano tutto per me. Il mio cuore, il mio tempo, le mie speranze erano per loro.

Ero separata da tre anni. La mia non era una storia da prime pagine. Nessuna denuncia, nessuna minaccia. Niente che potesse far pensare a un epilogo tragico. Solo una donna come tante, che cerca di vivere in pace, di lavorare onestamente, di respirare un po’ di serenità. Una madre. Una persona.

Il 14 giugno 2025, alle otto di sera, stavo andando al lavoro. Turno di notte.
Camminavo su viale Benadduci, come tante altre volte. La strada era ancora viva, c’erano persone in giro. Auto, voci, luci. Era ancora giorno. Era ancora vita.

Poi lui. Il mio ex marito, Nikollaq Hudhra. Cinquantacinque anni.
Mi ha vista. Mi ha seguita su un monopattino, arrivato apposta da lontano, nascosto per non dare nell’occhio. E quando ha deciso che era il momento, ha estratto un coltello.

Mi ha colpita. Una volta. Poi ancora. E ancora.
Sono caduta. Il mio corpo ha ceduto. Ma lui non si è fermato.
Mentre ero a terra, mi ha colpita con calci. Con violenza. Con rabbia.
Davanti a tutti.

Ho gridato. Ho cercato di proteggermi. Ho pianto.
Ma non è bastato.
Il mio sangue ha bagnato l’asfalto di una strada normale, in una sera normale, in una città dove tutti credono che certe cose non succedano.

E invece sì. Succedono.
Succedono a donne come me.
Succedono dove si pensa di essere al sicuro.
Succedono davanti a occhi che guardano, ma non si muovono.

Lui poi si è seduto su una panchina, vicino al mio corpo. Tranquillo.
Ha aspettato i carabinieri.
Ha detto: “Ho fatto quello che dovevo. L’ho fatto per i miei figli.”

Ma io…
Io ero la madre dei suoi figli.
La donna che li ha cresciuti. Che ha rinunciato a sé stessa per dar loro un futuro.
E sono morta sotto le sue mani.

Mi hanno raccolta da terra. Ma ormai non c’era più niente da salvare.
Il mio cuore era fermo.
La mia voce spenta.
Eppure la mia morte era chiara, evidente, rumorosa. Non è avvenuta nel silenzio. È avvenuta nella vostra indifferenza.

La mia fine non è stata privata. È stata pubblica.
I miei ultimi momenti sono stati vissuti davanti a sconosciuti.
Davanti a passanti. Davanti a cellulari, forse.
Davanti a persone che hanno guardato. Che hanno rallentato.
Ma che non hanno fatto nulla.

E allora, ditemi: cos’è diventata la nostra umanità?
Quando è che abbiamo iniziato a considerare il dolore degli altri come uno spettacolo da osservare da lontano?
Quando abbiamo perso il coraggio di agire?

Non dite che “non si poteva fare nulla”.
Perché anche solo correre. Gridare. Fermare qualcun altro.
Anche solo non voltarsi. Anche solo dire “basta”.
Anche solo stare accanto a chi sta morendo.
Anche solo non lasciare sola una donna mentre viene uccisa.
Tutto questo è qualcosa. Tutto questo è vita. È resistenza. È umanità.

Io ora sono un numero.
Una delle tante donne uccise da chi diceva di amarle.
Un volto tra le statistiche.
Una foto in un articolo.
Un mazzo di fiori su una panchina.
Una commemorazione. Un post indignato sui social.
Un’altra occasione per dire “mai più”, mentre il prossimo “ancora” è già vicino.

Ma non voglio essere solo questo.
Io voglio che ricordiate il mio nome. Gentiana.
Voglio che la mia voce rimanga. Che il mio ultimo respiro non sia stato solo un soffio nell’aria, ma un urlo che continua.
Che vi entra dentro.
Che vi costringe a guardarvi negli occhi.
Che vi obbliga, la prossima volta, a non tacere.

Perché non è solo la mano di chi colpisce a uccidere.
È anche l’indifferenza di chi resta a guardare.
È anche il silenzio di chi gira lo sguardo.
È anche la paura di chi non si sporca le mani per salvare una vita.

Non lasciatemi morire una seconda volta nel vostro silenzio.
Fatemi vivere nei vostri gesti.
Nelle vostre scelte.
Nel vostro coraggio.
Nella vostra voce che dice: “Basta”.

Io sono Gentiana Hudhra.
Non sono morta in silenzio.
Siete stati voi a tacere.

E ora tocca a voi decidere se continuare a farlo.

 

pH Pixabay senza royalty

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