di Carlo di Stanislao

“Non domandarti cosa può fare il tuo Paese per te, ma cosa puoi fare tu per il tuo Paese.”
– John F. Kennedy

Un mattino che non conosce ritorno

Era il 12 giugno 2025. Una data che per molti sarebbe stata come tutte le altre: una mattina d’inizio estate, calda, lieve, attraversata dai rumori quotidiani delle città di provincia. Ma per Carlo Legrottaglie, brigadiere capo dell’Arma dei Carabinieri, quella mattina aveva un sapore diverso. Era l’ultimo giorno di servizio. Un giorno che nella vita di un uomo segna una soglia, una fine e un inizio insieme. Quel confine dolce tra il dovere compiuto e il meritato riposo, tra l’uniforme e l’abbraccio della famiglia.

Carlo si era svegliato come sempre. Un caffè, i gesti abituali, le ultime strette alle persone care. Forse un pensiero rapido al futuro: passeggiate con la moglie, la crescita delle figlie, gli anni guadagnati dopo una vita in trincea, spesso ignorata ma sempre decisiva. Era pronto a consegnare il testimone. Ma il destino aveva in serbo un’altra storia.

Un uomo, non un soldato

Carlo non cercava applausi. Non alzava mai la voce, non si imponeva con forza, ma con presenza. Viveva a Ostuni, in una casa ordinata, tra gli affetti più veri: la moglie Eugenia, compagna di tutta una vita, e le figlie gemelle Carla e Paola, due giovani ragazze che lui amava con quella tenerezza discreta degli uomini profondi. Viveva in via Caduti di Nassiriya, un nome che sembra quasi scritto per ricordare ogni giorno quanto possa costare l’onore.

Carlo era un carabiniere, sì, ma prima ancora era un cittadino. Uno di quelli che credevano nel rispetto delle regole, nella forza della legge come strumento di giustizia, non come arma di potere. Era un uomo che ogni giorno indossava la divisa con senso di responsabilità, senza bisogno di testimoni o riflettori.

L’istinto che non si spegne

Quella mattina, durante un normale controllo, Carlo si è imbattuto in un’auto rubata. A bordo c’erano due uomini, armati, sospettati di una tentata rapina. Tutto si è consumato in pochi minuti. I due fuggono a piedi. E Carlo, senza esitare, li insegue. Non ci ha pensato. Ha agito. Come sempre aveva fatto. Come si fa quando dentro si ha una bussola che non smette mai di indicare la direzione del giusto.

Nessuna gloria. Nessun trionfo. Solo il rumore di spari, un colpo che spezza il silenzio, e un corpo che cade. Lì, sull’asfalto di una zona industriale, Carlo Legrottaglie ha compiuto il suo ultimo gesto d’amore per lo Stato.

Un dolore che non indossa gradi

Quando un servitore dello Stato cade, cade prima di tutto un uomo. Un padre. Un marito. Un volto che ha sorriso, temuto, amato. La notizia si è diffusa veloce come un lampo scuro. La moglie. Le figlie. Gli amici. I cittadini di Ostuni. Tutti inchiodati a un’assenza che non si riesce a comprendere. Perché la morte, quando arriva all’improvviso, non chiede permesso. Entra. E distrugge.

Lo Stato ha riconosciuto la sua perdita. Il Presidente Sergio Mattarella ha partecipato ai funerali. Le istituzioni hanno fatto sentire la loro vicinanza. Ma il dolore vero, quello che non si può raccontare con un comunicato stampa, è rimasto negli occhi di chi lo ha amato senza bisogno di divise.

“Ti amerò per sempre, papà”

Carla e Paola, le figlie di Carlo, hanno scritto poche parole. Semplici. Dolcissime. Potentissime.

“Ti amerò per sempre, papà. Questo non sarà mai un addio.”

Con queste parole, l’intero Paese ha ricordato che dietro ogni uniforme c’è un cuore. Dietro ogni cuore, una famiglia. E dietro ogni famiglia, una ferita che non si rimargina mai.

L’uomo che camminava tra noi

Carlo non era un eroe da film. Non aveva superpoteri. Non portava medaglie appuntate al petto. Ma camminava tra noi con una rettitudine rara, un senso del dovere radicato. Era un uomo perbene. Uno di quelli che si notano solo quando non ci sono più. Uno che faceva il proprio dovere ogni giorno, senza mai aspettarsi nulla in cambio.

Ora la sua storia appartiene a tutti noi. Non solo come simbolo di ciò che vuol dire servire, ma come esempio di quello che l’Italia può ancora essere: una nazione capace di riconoscere e custodire il sacrificio dei suoi figli migliori.

Conclusione – Il battito che resta

Il cuore di Carlo Legrottaglie si è fermato all’alba. Ma ciò che quel cuore ha rappresentato continua a battere. Batte nella coscienza di un popolo che ha bisogno di uomini così. Batte nei giovani che cercano un senso nella parola “Stato”. Batte nei gesti semplici di chi sceglie ogni giorno di stare dalla parte giusta.

E mentre il tempo passa, il suo nome resta. Non scritto solo su una lapide, ma inciso nella memoria collettiva. Perché Carlo Legrottaglie non è morto invano. Il suo sacrificio è un seme. E da quel seme possono nascere ancora civiltà, legalità, onore.

Finché ci sarà qualcuno disposto a servire come lui ha fatto, l’Italia avrà ancora un cuore che batte. 

 

pH Pixabay senza royalty

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