La recensione del Direttore Daniela Piesco 

Non ti accosti a quest’opera. Sei sbranato, incatenato. Non un quadro: una ferita nell’orizzonte. Un tramonto che non placa, ma sfinisce. Un baratro dove il giorno si sbrana senza redenzione. Sei Ismaele sulla Pequod dell’anima, lo sguardo inchiodato al sole che sprofonda.

Quel rosso non è colore: è esplosione. Ti fulmina a tradimento. Dentro vedi chiaramente due occhi che si spengono, forse in eterno. E in profondità, serpeggia il blu profondo, il nero che dilaga: oceano? notte? abisso? Soglia spessa, implacabile. L’ombra che inghiotte. Faglia silenziosa dell’oblio.

Quel disco rosso non è il sole: è un ruggito di collasso. Un faro che si sfracella.La linea che taglia brutalmente ciò che eravamo da ciò che non saremo più. Il colore attorno si rapprende, un urlo strozzato. Laudisa non rappresenta: incarna. Non dipinge: dissotterra visioni sepolte.

Non chiede comprensione: esige caduta. Precipitare dove la luce muore e nasce la visione nuda. Questo rosso non è luce: è vortice. Discendere in una memoria primordiale. Torbida corrente di fuoco che ti avvolge con il canto dell’origine smarrita.

La tela rantola, un respiro di piombo.Ogni strato di colore: un silenzio compresso. Superficie viva che trema. Campo di battaglia interiore. Nessun racconto. Solo vibrazione pura. Presenza feroce. E tu, lì, complice, chiamato per nome da ciò che muta senza suono.

Laudisa ha distillato il giorno in un singolo, ultimo battito. Pequod: un destino che graffia. Non tela: tramonto in agonia perpetua. Relitto ardente sull’oceano dello sguardo. Prova che si può vedere, mentre tutto crolla.

Forse questo rosso è l’ultimo linguaggio: resa, perdita, amore che non redime. Colore dell’intimità smascherata. Desiderio che arde e si sbriciola. Memoria che rifiuta l’estinzione. Cuore che tramonta ma scalpita – feroce.

Certezza: chi osa fissarlo, sanguina. Perché in questo tramonto che sanguina, sei tu. Tu, sospeso sulla lama incandescente, lo sguardo cristallizzato sulla soglia, mentre la notte sale – dolce, spietata – a decretare sommersione o salvezza

Non opera da contemplare: tramonto che ti fissa.

Eppure, la nave non affonda. E quando ti allontani, il sole ti brucia ancora dentro: memoria di ciò che eri prima dell’abisso.

Vera arte: non ti accompagna. Ti resta dentro come un canto che lacera e accende.

 

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