“Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla.”
— George Santayana
Nel mondo di oggi si ha spesso l’impressione che tutto ciò che accade sia senza precedenti. Ogni crisi viene presentata come inedita, ogni svolta come epocale. Eppure, basta uno sguardo più attento per accorgersi che gli avvenimenti del presente risuonano con quelli del passato, come echi familiari. Non sono repliche, ma variazioni sul tema. I contesti cambiano, i protagonisti anche, ma le logiche profonde — quelle dell’ambizione, della paura, della speranza — tornano, con costanza inquietante. Per questo si dice che la storia non si ripete, ma rima.
Rivoluzioni travestite
La tensione tra ordine e libertà ha percorso i secoli. Giustino Fortunato e Vincenzo Cuoco, riflettendo sulla rivoluzione napoletana del 1799, denunciarono l’importazione acritica di modelli astratti, incapaci di attecchire in un popolo che non li sentiva propri. Un errore che si ripete quando si esportano democrazie a tavolino, ignorando cultura e radici locali. Antonio Gramsci, nei suoi Quaderni dal carcere, scriveva che ogni crisi storica è anche una crisi di egemonia, cioè di senso condiviso. Se le élite non parlano la lingua della società, le rivoluzioni falliscono prima ancora di iniziare.
Guerre che sembrano nuove
Niccolò Machiavelli, ne Il Principe, scriveva che “gli uomini offendono o per paura o per odio”. Guardando al conflitto russo-ucraino, tornano le logiche del potere territoriale, della deterrenza e del prestigio. Tito Livio, narrando le guerre puniche, mostrava come Roma reagisse alla minaccia di Cartagine con una combinazione di ambizione e terrore: strategie che ritroviamo nei calcoli geopolitici di oggi. Gramsci ammoniva che la guerra moderna è anche culturale: “Ogni guerra è preceduta da una lunga battaglia per il consenso.”
Epidemie, reazioni, paure
Platone, nel Timeo, parlava già di pestilenze come segno della fragilità dell’ordine umano. Durante la pandemia da COVID-19 abbiamo rivissuto quella stessa fragilità. Le città vuote, la paura dell’altro, la sfiducia verso l’autorità ricordano comportamenti descritti da Tucidide durante la peste di Atene: “La legge fu ignorata, poiché si pensava che tutti sarebbero morti comunque.” Cambia il virus, ma non l’animo.
Il mito del progresso e le sue trappole
Nel Novecento, Benedetto Croce avvertiva che la storia non ha senso se non è pensiero pensato. Eppure, ogni ondata tecnologica sembra azzerare la memoria: oggi l’IA, ieri internet, prima ancora l’elettricità o la stampa. Il mito del “nuovo assoluto” si scontra con la ricorsività della paura. Giambattista Vico, già nel Settecento, sosteneva che la storia segue corsi e ricorsi, una spirale in cui l’umanità alterna periodi di civiltà e barbarie, proprio perché dimentica ciò che ha già vissuto.
Capitalismi e crisi: un copione ricorrente
Dalla speculazione romana sul grano descritta da Livio alla bolla dei tulipani nel Seicento, fino alla crisi del 2008, torna l’archetipo del mercato drogato dall’avidità. Machiavelli già notava che “gli uomini dimenticano più facilmente la morte del padre che la perdita del patrimonio”. La logica è la stessa: si rischia tutto, si cade, e si cerca un capro espiatorio. Arendt, analizzando il totalitarismo, vide nella crisi economica la culla delle ideologie più pericolose: quando il mercato fallisce, spesso fallisce anche la democrazia.
Il nemico interno: una costante del potere
Ogni epoca ha avuto il suo “altro” da temere: per i greci erano i barbari, per l’Europa del Novecento gli ebrei, oggi i migranti o gli intellettuali. Cuoco denunciava il rischio di un popolo manipolato con parole che oggi sembrano scritte per i talk show: “Il potere che istruisce senza ascoltare finisce col governare senza capire.” Arendt ricordava che la banalità del male nasce dalla rinuncia al pensiero critico: “Il male non è radicale, è superficiale, ed è proprio per questo così pericoloso.”
Memoria come vaccino
Studiare la storia non significa vivere nel passato, ma riconoscere nel presente le tracce di ciò che è già accaduto. Platone ci insegnava che “la conoscenza è memoria dell’anima”; se così è, ogni lezione dimenticata ci espone al ritorno dell’errore. La memoria non è nostalgia, ma uno strumento per orientarsi. Se sappiamo leggere le rime del passato, forse possiamo correggere lo spartito prima che si ripeta il disastro. La storia non si ripete, ma avverte. Starci attenti non basta: bisogna ascoltarla.
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