L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco 

Sedici ore. Dentro un seggio elettorale di Benevento. Sedici ore a fissare negli occhi il fallimento più atroce della nostra Repubblica. Non apatia. No. Il certificato di morte clinica di una democrazia in coma irreversibile. Centotto. Su seicentocinquantaquattro. Un’ecatombe civica. Un’implosione muta che dovrebbe far crollare le fondamenta. E invece: silenzio. Vuoto. Niente trema. Nessuno si sveglia. Nessuno risponde al lamento. Perché questa non è sconfitta. È la radiografia spietata di un disegno voluto. Calcolato. Fino all’agonia perfetta.

Quello che ho visto non è disinteresse. È più feroce. È la digestione collettiva di un lutto che non strappa più lacrime. È un’intera generazione che ha spento la speranza prima ancora di accenderla. Qualcuno, giovane, è venuto. Pochi. Isolati. Sperduti in quel deserto. Gli altri, la massa, ha scelto l’assenza. Come unica opposizione possibile. Non più menefreghismo: rifiuto. Diserzione morale. Davanti a un potere che li nega. Li cancella. Li ignora.

Il quorum. Quel 50% più uno, un tempo sigillo di legittimità, oggi è la ghigliottina che decapita ogni speranza di cambiamento. Lo scudo perfetto per chi vuole il marcio, la paralisi, la palude. Il paradosso è una ferita aperta: chi ha fame di giustizia viene stroncato da una norma che premia l’immobilismo e santifica l’indifferenza come tattica. È un gioco truccato. Vince chi resta a casa. Chi ci crede, chi prova, viene sbranato vivo dall’algebra della resa.

Non sono i cittadini ad aver tradito la politica. È la politica che ha tradito i cittadini. Quando un ragazzo viene sbattuto in uno stage da trecento euro chiamato “esperienza”. Quando una giovane donna si spezza tra lavori da fame e affitti da strozzino.Quando le promesse sono trappole. E la speranza, una beffa crudele.Ecco il grande strappo. In quel baratro, la scheda elettorale non è più strumento: è cenere. Carta che non pesa. Non scalfisce. È nulla.

E mentre la sfiducia diventa abisso senza fondo, l’opposizione ufficiale recita litanie morte in teatri di polvere. Nessuna voce che squarci il silenzio. Nessuna visione che sfondi il muro. Solo alchimie da salotto. Sigle che danzano sul vuoto. Parole spente, come monete false. Ma fuori… fuori il Paese brucia. Brucia nel disincanto. Nell’abbandono. Nella certezza che tutto sia marcio. Fino al midollo. E forse… lo è.

Il quorum salterà. Salterà senza rumore. Senza urla. Senza bandiere. Sarà solo l’ultimo rantolo di un cadavere che si decompone.Niente scuse. Niente alibi. Perché l’astensione ormai non è più silenzio. È sentenza. È condanna senza appello.È rivoluzione muta. Ma feroce. Una vendetta sottile che non grida: incide. A sangue. E farà più male, molto più male di mille barricate in fiamme.

Sedici ore in un seggio non sono stato ‘servizio’.Sono stata veglia funebre.E la salma, stavolta è il cuore stesso della democrazia.

L’Italia muore così.Non con il boato di un colpo di Stato.Ma con il sibilo lento, inesorabile, dell’apatia che divora tutto.E noi?Noi,ancora una volta, fissiamo il vuoto. Immobili. In silenzio. Complici.

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