“Quando il potere è arroganza, la democrazia è una finzione.”
— Albert Camus
La cronaca ci sbatte in faccia una realtà sempre più grottesca: la giustizia non basta. Non basta alla memoria, non basta alle vittime, non basta nemmeno ai cittadini che dovrebbero potersi fidare delle istituzioni. Da un lato, Giovanni Brusca esce dal carcere protetto dallo Stato che ha combattuto con ferocia mafiosa. Dall’altro, Chiara Poggi viene riscritta come un personaggio ambiguo, mentre il suo presunto nuovo “carnefice”, Andrea Sempio, è sottoposto a un processo pubblico senza processo formale.
In mezzo, ci siamo noi. A guardare tutto questo in silenzio o, peggio, applaudendo i “nuovi re”.
Ma il vero spettacolo – o forse il vero dramma – si consuma sopra le nostre teste, nelle stanze del potere. Non è più solo Putin, con la sua brutalità geometrica. Non è solo Trump, con la sua teatralità paranoica. E non è neppure solo Musk, il capitalista-messia, capace di vendere razzi e libertà con la stessa faccia.
No, oggi c’è una nuova generazione di primedonne globali. E non sono meno vanitose, autoritarie o mediatiche dei loro colleghi maschi.
Giorgia Meloni, ad esempio, è l’emblema della trasformazione da contestatrice a governante. Inizialmente dipinta come la pasionaria sovranista, ha imparato velocemente la grammatica del potere: meno ideologia, più gestione. Ma attenzione: non ha perso un grammo di narrazione personale. Ogni intervento, ogni diretta social, ogni battaglia contro il “politicamente corretto” è costruita come un episodio di un reality show di leadership. L’effetto? Ha convinto molti italiani che basti “credere in se stessi” per governare, mentre il Paese affronta una crisi demografica, industriale ed educativa senza precedenti.
E poi c’è Emmanuel Macron, l’uomo che voleva essere il “centro” del mondo, e oggi non riesce più nemmeno a esserlo del proprio Paese. Il suo è un narcisismo elegante, colto, europeista, ma pur sempre narcisismo. Si muove come un presidente-filosofo, un novello Napoleone che preferisce la penna al cannone, salvo poi schierare la polizia contro i gilet gialli, o usare la retorica bellica nei confronti di Putin. Macron non è solo il leader della Francia: è il protagonista del proprio romanzo. Peccato che, come tutti i protagonisti, fatichi a vedere ciò che lo circonda.
Eccoli, dunque: Meloni, Macron, Trump, Musk, Putin. Tutti diversi, ma tutti ossessionati dallo spettacolo del comando. Chi con le bombe, chi con i tweet, chi con le citazioni di Tolkien e le dirette dalla cucina.
Ma il prezzo di questo “ego show” è altissimo. Perché mentre loro costruiscono le loro narrazioni eroiche, il popolo resta sullo sfondo. La giustizia diventa una scenografia, le tragedie – come quella di Chiara Poggi – diventano solo “puntate” della grande fiction nazionale.
E nel frattempo, il garantismo viene diluito nei sondaggi, la memoria delle vittime sacrificata al bisogno di colpi di scena, e la politica ridotta a una lotta tra personaggi, non tra idee.
Siamo anche a un passo da un referendum di cui il cittadino davvero non sa nulla. Una consultazione che potrebbe costarci quanto l’hub deserto in Albania e che rischia di rappresentare un nuovo crollo della democrazia partecipata. Sarà la pietra tombale sul sindacalismo, mentre questioni come la regolamentazione dei taxi e delle concessioni balneari – con milioni di euro in sanzioni europee già sul groppone – restano incredibilmente inevase. Il silenzio su tutto questo non è più solo irresponsabilità: è complicità.
Conclusione:
Finché continueremo a scambiare il carisma per competenza, l’autoritarismo per decisionismo, e il silenzio per saggezza, non potremo stupirci se la democrazia verrà smontata pezzo dopo pezzo, sotto lo sguardo complice di un pubblico distratto.
Non ci serve un nuovo protagonista.
Ci serve, finalmente, un popolo sveglio.
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