Di Carlo di Stanislao 


“L’inferno è lastricato di buone intenzioni.”
– Samuel Johnson

Nel periodo in cui Matteo Salvini ricopriva il ruolo di Ministro dell’Interno, don Massimo Biancalani si distinse per le sue posizioni fortemente a favore dell’accoglienza dei migranti. Una delle sue dichiarazioni più note fu pubblicata su Facebook: accanto a una foto che ritraeva giovani migranti in piscina, scrisse “Loro sono la mia patria, i razzisti e i fascisti i miei nemici.” Una frase che non lasciava spazio a interpretazioni, e che trasformava l’accoglienza in un gesto politico e morale allo stesso tempo.

Don Biancalani non si limitava a parole forti: il suo impegno si traduceva in iniziative concrete, centri di accoglienza, attività di inclusione. Tuttavia, col passare del tempo, molte di queste realtà hanno mostrato evidenti falle. Diverse inchieste hanno segnalato problemi organizzativi, carenze igienico-sanitarie, mancanza di trasparenza nella gestione economica. L’ideale di una “patria migrante”, fondata sulla solidarietà, si è infranto contro le difficoltà pratiche, le esigenze burocratiche, la scarsità di risorse e una pianificazione non all’altezza.

Il caso solleva un interrogativo profondo e attuale: quanto può resistere un progetto sociale, pur animato dalle migliori intenzioni, se manca di strutture solide, competenze adeguate e capacità gestionale? Don Biancalani ha rappresentato una voce coraggiosa in un clima spesso segnato da ostilità e paura, ma la sua esperienza dimostra che la generosità, da sola, non basta.

L’accoglienza, infatti, non è solo un atto di cuore. È un processo complesso, che richiede conoscenze, coordinamento, controllo e un sistema di sostegno ben costruito. È facile dichiararsi contrari al razzismo; più difficile è costruire soluzioni efficaci che rispettino la dignità di chi arriva, ma anche i diritti e i bisogni della comunità che accoglie.

Il fallimento parziale dei progetti di don Biancalani non annulla il valore dell’ideale che li ha ispirati. Piuttosto, ci ricorda che gli ideali, per incidere realmente, devono saper dialogare con la realtà, devono incarnarsi in strutture credibili e sostenibili. Senza questo passaggio cruciale, anche le migliori cause rischiano di perdersi, lasciando dietro di sé disillusione e sfiducia.

In definitiva, l’accoglienza vera richiede un equilibrio difficile ma necessario tra cuore e competenza, tra passione e rigore. Solo così sarà possibile costruire una “patria” che non sia solo un’immagine retorica, ma una realtà giusta, umana e funzionante per tutti.

 

pH Pixabay senza royalty

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