Il grande inganno del governo
Di Sara Todeschini editorialista dell’ eco di Milano e provincia
È da tempo che il governo Meloni millanta un boom dell’occupazione, una nuova epoca d’oro per l’Italia e i suoi lavoratori. Si riempiono la bocca di dati, parlando di record storici e di risultati mai visti. Così comunicano sui loro canali: “Mai così tanto lavoro per le donne e per i giovani”, “Tasso di occupazione più alto di sempre”.
Ma vediamo cosa si nasconde dietro queste grandiose affermazioni fatte dal governo, che cerca di distogliere l’attenzione da un’analisi accurata, usando slogan accattivanti.
L’Istat ha di recente smontato le rivendicazioni del governo Meloni: i dati utilizzati nella propaganda meloniana sono fuori contesto e non sono una rappresentazione accurata della situazione di milioni di lavoratori in Italia.
Il “tasso di occupazione più alto di sempre” è dovuto alla crescita incontrollata di assunzioni in settori a bassa produttività e con stipendi da fame. È chiaro che se un imprenditore divide, ad esempio, 10 milioni di euro annui tra 500 dipendenti invece che 400, ci saranno più lavoratori, ma questi avranno un salario decisamente più basso. Così sta avvenendo in molti settori: la “spesa” degli stipendi per l’azienda rimane uguale, ma vengono assunte più persone, consequenzialmente causando una drastica riduzione dei salari.
Inoltre, l’80% della crescita registrata è dovuta all’aumento degli occupati sopra i 50 anni, il cosiddetto “effetto Fornero”; per le leggi pensionistiche ora in vigore, gli over 50 sono trattenuti più a lungo al lavoro, causando una falsa immagine di maggiore occupazione generale. Per di più, il “record storico” di occupazione in Italia è comunque il tasso di occupazione più basso di tutta l’Unione Europea, secondo i dati Eurostat del 2024. A questo si aggiungono le affermazioni dell’attuale governo italiano che ostenta una grande occupazione tra le donne e i giovani. Ma il tasso di occupazione giovanile, soprattutto tra giovani diplomati e laureati 20–34enni, presenta un gap impressionante con l’Ue: il 59,7% in Italia contro una media europea del 75,4%.
Viene decantato dal governo anche un aumento dei salari, ma questa affermazione va contestualizzata: negli ultimi 6 anni è stato perso il 10,6% del potere di acquisto. È aumentato tragicamente il numero di “lavoratori poveri”, ovvero le persone che, sì, lavorano ma i cui redditi non sono sufficienti a garantire un livello di vita adeguato. E, guarda un po’, le fasce più presenti in questa categoria sono le donne (26,6%), i giovani sotto i 35 anni (29,5%) e gli stranieri (35,2%). Sono aumentati anche i giovani laureati che, a causa delle attuali condizioni del lavoro, espatriano e si trasferiscono a lavorare all’estero, sono stati addirittura 21mila nel 2023. Dietro al “milione di posti di lavoro” si nasconde la realtà di un Paese fragile, che non è in grado di tutelare il lavoro come qualcosa di valore, per il singolo e la comunità. I contratti di assunzione sono diminuiti di circa 120mila unità negli ultimi 2 anni, e il record di occupazione è in realtà un cavallo di Troia, che al suo interno nasconde lavoro sottopagato, precariato e povertà. Per questo è fondamentale andare a votare l’8 e 9 giugno: per la sicurezza del lavoro e dei lavoratori! Si voterà per abolire i licenziamenti senza giusta causa, per stabilire risarcimenti più equi per i licenziati senza motivo che lavorano per le piccole aziende, per imporre la responsabilità legale alle aziende che indicono un appalto, e non solo a quelle che lavorano in subappalto, per ristabilire l’obbligo di una “causale” nei contratti a tempo determinato più brevi di 12 mesi e per riconoscere la cittadinanza a chi lavora e studia in Italia con un requisito minimo di 5 anni di residenza, invece che 10. Per Maurizio Landini, segretario della Cgil, votare sì ai 5 quesiti può “aprire una fase nuova per il Paese per rimettere al centro i diritti, soprattutto delle nuove generazioni”.
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