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L’ editoriale del direttore Daniela Piesco in prima pagina sull’ Eco di Milano e Provincia oggi in edicola

 

In tempi in cui l’informazione vive una crisi profonda di risorse, credibilità e autonomia, sorprende — e inquieta — la crescente tendenza degli enti locali a dotarsi di organi di stampa istituzionali che non si limitano a informare i cittadini sull’attività amministrativa, ma raccolgono pubblicità commerciale, competendo direttamente con le testate indipendenti.Questa prassi, purtroppo già diffusa in numerosi comuni italiani, non è solo discutibile sul piano etico e professionale, ma pone seri interrogativi giuridici, soprattutto in relazione alla libera concorrenza e alla trasparenza nell’uso delle risorse pubbliche.Che un’amministrazione comunale voglia comunicare con i cittadini è non solo legittimo, ma auspicabile. Le forme sono molteplici: bollettini, newsletter, siti istituzionali, persino riviste gratuite. Tuttavia, il confine tra comunicazione istituzionale e attività editoriale vera e propria diventa pericolosamente labile quando:il “giornale comunale” assume veste e struttura identiche a quelle delle testate professionali;vi è la presenza di pubblicità privata a pagamento;si utilizzano fondi pubblici per sostenere un prodotto editoriale che entra sul mercato in concorrenza con chi, invece, vive solo delle proprie entrate.
In questo scenario, il pubblico si fa “impresa editoriale”, ma senza il rischio d’impresa, perché può contare su una base di finanziamento garantita dalle casse comunali. Così facendo, però, alterano le regole del gioco a danno della stampa libera, soprattutto di quella locale, che fatica ogni giorno a reperire risorse per mantenere vivo uno spazio di informazione critica, autonoma e pluralista.
È anche una questione legale: c’è distorsione della concorrenza.Secondo il diritto comunitario e nazionale (art. 102 TFUE, Codice Antitrust, art. 3 d.lgs. 68/1997), un soggetto pubblico non può svolgere attività economiche in concorrenza sleale con i privati. La raccolta pubblicitaria, quando effettuata da un ente pubblico attraverso un proprio giornale, può configurare una pratica anticoncorrenziale, specie se il vantaggio dell’ente deriva dal potere pubblico esercitato.Un esempio pratico: se una testata giornalistica locale chiama un grande inserzionista come Esselunga, può anche non ricevere risposta; ma se a chiamare è il Comune, con il suo stemma e il suo potere d’influenza, difficilmente troverà porte chiuse. È questa la parità di mercato?Il punto deontologico è cruciale:l’informazione che non può essere indipendente.
Un organo di stampa, per essere definito tale, deve aderire a una sola fedeltà: quella verso la verità e il lettore. Un giornale comunale, invece, è per definizione al servizio di chi governa, e dunque privo dell’indipendenza editoriale che costituisce la linfa della democrazia. La Carta dei Doveri del Giornalista parla chiaro:
Il giornalista respinge pressioni e condizionamenti da parte di qualunque potere”.
Ma un giornale prodotto dal potere stesso, che margine ha per esercitare il dissenso, la vigilanza, la critica?Urge una battaglia per il pluralismo.La stampa locale non è solo un presidio d’informazione: è uno spazio di libertà, di controllo democratico e di tutela delle minoranze. Permettere che venga soffocata da strumenti editoriali para-istituzionali significa mettere a rischio il pluralismo, mortificando l’impegno di giornalisti, editori e operatori culturali che scelgono ogni giorno l’indipendenza.Per questo riteniamo urgente e necessario avviare una riflessione pubblica — e se occorre una battaglia civile e legale — per vietare in modo esplicito agli enti locali la raccolta pubblicitaria all’interno di testate di propria emanazione.Ciò non significa impedire la comunicazione istituzionale, ma tracciare un confine netto:la pubblicità deve rimanere spazio delle libere testate;l’informazione istituzionale deve essere chiaramente separata, riconoscibile e priva di elementi commerciali.Solo così potremo difendere la stampa libera. Solo così potremo garantire una democrazia realmente trasparente.

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