Rossella si sedette sulla poltrona, o meglio, vi si lasciò cadere sopra perché le gambe, in quel momento, si rifutarono di sorreggerla.
Davanti a lei, ritto in piedi, Rino la guardava impassibile, il suo sguardo era gelido, la bocca accennava leggermente un sorriso o era solo lei che lo stava vedendo mentre, incredula, stava metabolizzando le sue parole :- non provo più nulla per te, questa è l’ultima volta che ci vediamo.
Lo guardava come se lo vedesse per la prima volta, no, non era il suo Rino che le stava dicendo quella frase terribile, non poteva essere lui, era solo un brutto sogno dal quale si sarebbe svegliata, ma non era così.
Una doccia gelata che fece rabbrividire il suo corpo già provato da una brutta influenza, dalla quale era guarita ma che l’aveva letteralmente spossata, il suo viso, pallido e un po’ smagrito, diventò terreo come se il sangue non volesse più arrivare alle sue guance.
Eppure non si era mai accorta che qualcosa era cambiato, certo, gli impegni di Rino erano sempre più frequenti, a volte trascorreva intere domeniche senza di lui e molte volte non c’era ad aspettarla all’uscita dal lavoro per accompagnarla a casa, ma quando era a letto con la febbre era andato a trovarla, tenero e affettuoso come sempre, possibile che era stata così cieca e sciocca da non notare che c’era in lui qualcosa di diverso?
Non disse una parola, la distolse dai suoi pensieri il rumore della porta che si chiudeva alle spalle di Rino e la voce di sua madre che le chiedeva cosa fosse successo.
Il giorno dopo riprese il lavoro, non era sicuramente in forma dopo una notte insonne passata per lo più a piangere ma, lavorare l’aiutava un po’ a non pensarci e la cosa era stata così repentina che ancora non riusciva a crederci del tutto.
A tavola il cibo non voleva saperne di scendere nella gola chiusa dallo sforzo di trattenere le lacrime, disse di non aver appetito e andò a stendersi un momento, prima di tornare al lavoro. Alla fine della giornata era sfinita, a cena riuscì a mangiare due cucchiai di minestra e corse subito a letto dove piombò in un sonno pesante che però durò poco, il cervello si mise in funzione e il pensiero le impedì di riaddormentarsi.
Il dispiacere era grande e la gente, specie sul luogo di lavoro, una volta saputo ciò che le era successo, si mise in azione con sguardi allusivi, toccate di gomito, discorsi fatti sottovoce coronati di risatine che si zittivano al suo avvicinarsi, del resto, era stata lasciata dal suo ragazzo, chissà cos’aveva fatto, sicuramente lui avrà trovato di meglio di quella mezza calzetta e lei, con grande sforzo cercava di ignorare, di far finta di niente, ma non appena varcata la soglia di casa sentiva sulle spalle tutto il peso di quei gesti, di quelle parole che sicuramente non meritava.

Passava il tempo ; nelle pause di mezzogiorno sentiva una fame terribile ma, al primo boccone, lo stomaco si chiudeva e lei si sentiva piena come se avesse fatto un lauto pranzo, lo stesso la sera, ed ogni notte era un incubo. Si addormentava sfinita dal lavoro e dalla tensione ma, al primo scricchiolio o minimo rumore, i suoi occhi erano sbarrati a fissare quel soffitto e quelle pareti che sembravano stringersi minacciose su di lei e anche il solo respirare era una fatica.
Sua madre, preoccupata nel vederla così, la spronava ad uscire con le sue amiche anche se lei non ne aveva voglia, alla fine l’ascoltò.
Usciva la domenica, si ritovavano al bar dove c’era la compagnia di amici ma, se anche le sue amiche del cuore cercavano di aiutarla, non era la stessa cosa per i ragazzi……. Ancora peggio del luogo di lavoro, facevano battutine esplicite e di cattivo gusto, avendo però l’accortezza che lei sentisse.
Mai mostrare le tue ferite, devi cercare di nasconderle anche se in certe situazioni è quasi impossibile, la gente è cattiva, vi butta sopra aceto e si compiace del risultato.
Anche il lavoro iniziò a non andare bene, non riusciva a concentrarsi e c’erano giorni in cui era talmente spossata da non rendere la produzione e il datore di lavoro le disse di curarsi pena il licenziamento.
Andò dal medico che constatò quanto era grave la sua situazione di salute, era magrissima, inebetita, sfinita, le prescrisse una terapia d’urto e un lungo periodo di riposo.
Non si può avere la più pallida idea di cosa sia la depressione se non si prova sulla propria pelle, è come scivolare in un baratro oscuro, non si vede più la luce perché non si ha più alcun interesse di cercarla e così, si scende sempre più giù senza nemmeno chiedersi se quell’orrido abbia un fondo.
Le medicine, fortunatamente erano abbastanza efficaci, lei usciva spesso per recarsi al fiume che distava a pochi chilometri dal paese, raggiungibile con pochi minuti in motorino, si sedeva sulla sponda e restava ore a contemplare l’ acqua che scorreva e il verde dei bosco e si sentiva in pace con se stessa, si stava riprendendo bene, era anche tornata al lavoro, ma ancora non era finita.
Rino aveva un’altra e, purtroppo, conosceva le abitudini di Rossella, sapeva a che ora, uscita dal lavoro, andava in paese dalla sua più cara amica e, regolarmente, aveva iniziato ad incrociare la sua strada in compagnia dell’altra ragazza avendo cura che lei li vedesse, per Rossella era come una ferita che non si voleva rimarginare ma, un giorno, in riva al fiume, sentì qualcosa scattare dentro di sé, aveva trovato il fondo del baratro ed era il momento di darsi la spinta per risalire, doveva affrontare il suo demone faccia a faccia o non ne sarebbe mai uscita.
Tornò in paese ma, questa volta, quando lui si presentò, invece di far finta di non vederlo si avvicinò e, con una forza che non credeva di avere lo affrontò, gli disse di cambiare strada, con le sue parole pacate riuscì a farlo sentire un verme.
Tornò a casa e pianse le ultime lacrime che, questa volta, non erano per lui ma solo la tensione accumulata che si stava scaricando.
Da quel giorno, la sua vita cambiò, era riuscita a riprenderne le redini ed era serena e soddisfatta di sé stessa, la sua bella anima calpestata e inaridita aveva ripreso a fiorire e lei aveva tracciato un confine, entro il quale, nessuno avrebbe potuto accedere. Non avrebbe mai più donato tutta se stessa a chi non lo meritava.
Uscire da quell’incubo non era stato facile, la ragazza che ne uscì non era più la stessa di prima e non lo sarebbe stata mai più, sono esperienze che ti cambiano profondamente.
Rossella, in fondo, è stata fortunata perché ha avuto la forza di volontà per uscirne, molti non riescono e si lasciano scivolare cullandosi in quella oscurità, fino ad annientarsi, incapaci di reagire e trovare il punto d’appoggio per darsi la spinta e risalire.
Però la malinconia le resterà sempre dentro a ricordarle di ciò che aveva passato e la depressione sarà sempre dietro la porta, pronta a ripresentarsi in ogni momento, una fragilità acquisita che non la lascerà mai.
Non si dovrebbe mai essere cattivi con una persona che soffre e, soprattutto, non giudicare mai perché non puoi sapere, se non hai provato, cosa c’è dietro uno sguardo pieno di malinconia.

Ph Letizia Ceroni

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