di Carlo di Stanislao

“Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione.”
— James Russell Lowell

“Solo gli imbecilli non cambiano idea.” È la frase-talismano del politico italiano. La scaglia come un amuleto quando deve giustificare un voltafaccia clamoroso, una giravolta ideologica, un tradimento elettorale. Ma in Italia non si cambia idea per maturazione, per studio, per tormento intellettuale. No. Qui si cambia per convenienza, per poltrona, per restare a galla. E spesso, per restare semplicemente in tv.

A destra, Matteo Salvini è campione mondiale di giravolte. Nato come leghista secessionista (“Roma ladrona”), oggi è patriota tricolore, sovranista europeista e anti-europeista moderato, a giorni alterni. Ha flirtato con la Russia, poi con l’America, poi con Dio. L’unica costante: la felpa. O il mojito.

Giorgia Meloni, ex barricadera anti-euro, oggi rassicura i mercati, stringe mani in Europa e modera i toni da Premier. Prima “mai il MES”, ora “ci pensiamo”. Una trasformazione così rapida da far impallidire le larve di farfalla. Perfino Ignazio La Russa, con il busto del Duce in salotto, parla ormai di “antifascismo costituzionale” con il tono di un funzionario UNESCO.

E poi c’era lui, l’intramontabile, il trasformista per eccellenza: Silvio Berlusconi. Un uomo che ha fatto della flessibilità politica un’arte e della coerenza una leggenda urbana. Ha cambiato governi, partiti, alleanze, ministri — spesso nella stessa settimana — ma almeno due pilastri non li ha mai toccati:

  1. La proprietà non è un furto
  2. Il comunismo è il male assoluto
    Su questi punti si sarebbe fatto arrestare. Su tutto il resto, trattava.

A centrocampo si gioca la partita più spregiudicata. Carlo Calenda ha una media di inversione a U da Formula 1: prima con Renzi, poi contro. Poi di nuovo con, poi un tweet, e via a fondare un nuovo partito da solo. Il suo vero partito è se stesso.
Matteo Renzi, il rottamatore, è diventato rottame riciclato: senatore a ore, conferenziere a tempo pieno, e stratega dietro le quinte. Dice di voler riformare l’Italia. Dall’estero, possibilmente.

A sinistra la coerenza è un ricordo lontano. Elly Schlein, eletta per “cambiare tutto”, ha trovato nel PD una macchina più vecchia del PCI. E ha deciso di restarci dentro, sperando di aggiornare il software.
Dario Franceschini è passato da rutelliano a veltroniano, da bersaniano a renziano, da lettiano a schleiniano. È il Forrest Gump del progressismo. Sempre al posto giusto, con la tessera giusta.

E i desaparecidos? Walter Veltroni, il Kennedy de noantri, è svanito tra romanzi tiepidi e nostalgia africana.
Fausto Bertinotti, da presidente della Camera a guru del cachemire, oggi parla in metafore da salotto.
Nichi Vendola, dopo aver cantato la “poesia della politica”, è sparito dietro un sipario arcobaleno.
Gianfranco Fini, che un tempo sdoganava la destra, oggi sdogana la rassegnazione.
Pier Ferdinando Casini è ancora ovunque e in nessun posto, come un avatar della Prima Repubblica: eterno, intoccabile, opaco.
E infine Roberto Speranza, l’uomo che durante la pandemia parlava come un sacerdote ma agiva come un funzionario della Gestapo: “State a casa”, “State zitti”, “State buoni”. Ogni DPCM era una fustigazione. Ha gestito l’emergenza come una processione sanitaria, dove il peccato era respirare.

Ma è sempre stato così?
Sì, purtroppo. Il trasformismo in Italia ha radici nobili (si fa per dire): nell’Ottocento era addirittura un metodo di governo, per tenere insieme maggioranze improbabili. Ma oggi non ha più nemmeno quell’alibi. Oggi è solo una strategia di sopravvivenza: chi cambia resta, chi resta perde. La coerenza è diventata un vezzo da romantici, come scrivere ancora a mano.

E in tutto questo, il cinema osserva. Registra. E ride.
“Il Divo” racconta un Andreotti così fermo che fa il giro su sé stesso.
In “Viva la libertà”, un politico stanco viene sostituito dal fratello filosofo: sembra satira, è documentario.
“Benvenuto Presidente!” ci mostra un signor nessuno scambiato per Capo dello Stato: governa meglio. E questo fa più paura di qualsiasi film horror.
“Il portaborse” è un’educazione sentimentale alla rassegnazione: chi entra puro ne esce usato.
“Palombella rossa” è la sinistra smemorata che si guarda allo specchio e si chiede: “Chi sono io?”
“In nome del popolo sovrano”, ambientato nel 1849, ci ricorda che cambiare casacca a seconda del potere è da sempre il vero sport nazionale.
E poi c’è “Loro”, sempre di Paolo Sorrentino, che non racconta solo Silvio Berlusconi, ma tutto il circo che lo circonda: cortigiani, faccendieri, saltimbanchi e aspiranti “intimi”. È il capolavoro del trasformismo: non c’è più distinzione tra chi comanda e chi cerca solo di esserci.

Anche la saggistica, per chi vuole approfondire tra una risata e un conato, offre spunti imperdibili.
Nel libro “Il trasformismo italiano” di Salvatore Lupo, si analizza con serietà storica ciò che i talk show fingono di ignorare: che il trasformismo non è un difetto, ma una struttura della politica italiana.
Marco Revelli, ne “Finale di partito”, racconta la morte della militanza e l’ascesa dell’individuo flessibile, marketing-dipendente, leader di sé stesso.
E per chi ama la denuncia camuffata da commedia, il pamphlet “La casta” di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo rimane un classico: cronaca precisa del sistema che premia chi cambia casacca e punisce chi ha convinzioni.

Il politico italiano, alla fine, è un animale strano. Cambia forma, colore, accento. Ma resiste. Sopravvive. E soprattutto, ricicla.
In nome del popolo, si presenta. In nome del popolo, si giustifica. E quando fallisce, si ricandida.

Ode al politico elastico
di Italo Nostromo

Cambia bandiera, cambia giacca,
cambia slogan, cambia volto.
Dice “Mai con quelli là”,
ma poi li abbraccia senza esitazione.

Fuma il sigaro da operaio,
poi sorseggia il tè del potente.
È di destra, ma un po’ rosso,
ama il popolo… a modo suo.

Se lo chiami, risponde con parole confuse,
“Ho un’idea che non confonde”,
ma domani arriva un nuovo pensiero,
una nuova versione di se stesso.

Se lo fischi, fa l’offeso.
Se lo voti, è già altrove.
È una spugna, un camaleonte,
il tuo ex che si fa ponte.

E tu lì, con la scheda in mano,
a scegliere il meno strano.
Alla fine, caro elettore,
resti sempre uno spettatore.

 

pH Pixabay senza royalty

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