Di Daniela Piesco Direttore Responsabile
Dietro l’ipocrisia della legge-spot, si nasconde la resa della Repubblica: le vittime da proteggere diventano vittime da gestire. Il governo si arrende, ma pretende applausi.
“Nasconditi.” Questo, in sintesi, è il cuore delle parole pronunciate dal ministro Nordio. Un’esortazione disperata, ma soprattutto una confessione di fallimento. Il guardasigilli non lo dice tra le righe, non lo lascia intuire con reticenza: lo afferma con la freddezza dell’apparente realismo. Lo Stato non ce la fa – o, peggio, non vuole farcela – a proteggere in tempo chi è in pericolo. L’aggressione va messa in conto, la violenza è data per inevitabile, la morte possibile. Solo dopo – se va male, dice Nordio – si interverrà.
Questo è il modello di prevenzione della destra di governo? Un consiglio alla fuga? Un esilio forzato per chi ha già denunciato, per chi vive sotto minaccia, per chi crede ancora nello Stato di diritto?
Le parole di Nordio non sono solo gravi: sono gravissime. Perché non rivelano solo l’impotenza di un sistema, ma la sua complicità morale. Perché, mentre si moltiplicano le conferenze stampa, i proclami, gli “annunci storici”, le donne continuano a morire. Ogni legge che promette sicurezza è, nella realtà, un monumento alla deresponsabilizzazione. Una toppa stinta cucita su un tessuto già marcio.
E così, chi ha criticato il DDL Femminicidio annunciato il 7 marzo scorso, chi ha osato dire che si trattava di un’operazione di marketing, oggi trova conferma. Non c’è una strategia, non c’è una riforma, non c’è un sistema: c’è solo un riflesso condizionato alla violenza, mai alla sua prevenzione. Si parla di carcere, di braccialetti elettronici, di fascicoli giudiziari – ma non si parla di formazione, di coordinamento tra procure e forze dell’ordine, di sostegno economico reale alle vittime, di case rifugio sufficienti, di cultura della non violenza. Tutto ciò che è strutturale viene ignorato. Perché costa. Perché non fa notizia. Perché richiede tempo e competenza.
Lo Stato preferisce colpire dopo, che investire prima. E in questo schema perverso, le vittime sono chiamate ad arrangiarsi. A “scappare”, a “nascondersi”, a vivere in clandestinità mentre i loro aguzzini restano liberi. E se qualcosa va storto – come spesso accade – lo Stato si presenterà con le sue lacrime di coccodrillo, i minuti di silenzio, le marce e i fiocchi rossi.
Non è più il tempo del silenzio. È tempo di denunciare questa menzogna sistemica: non si sta facendo nulla per fermare l’ecatombe. Si finge. Si recita. Si comunica. Il governo Meloni ha preferito trasformare la lotta alla violenza di genere in uno slogan da talk show, in una carta da giocare per rinsaldare un’idea punitiva della giustizia che nulla ha a che fare con la protezione reale delle persone.
Il problema non è Nordio. È il sistema che rappresenta. È un governo che non vede, non ascolta e soprattutto non protegge. È uno Stato che, anziché stare accanto alle vittime, le manda in esilio.
E allora diciamolo chiaramente: non è lo Stato che ci meritiamo. E non è uno Stato, questo, in cui possiamo davvero sentirci salvi.
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