A Macondo il tempo scorreva immobile al pari delle acque del fiume che placido si accucciava tra gli alberi appena più in là.
Il colonnello Buendia guardava il cielo dalla veranda pensando al tempo della sua rivoluzione e annusava l’aria impregnata di sapori che si spandevano tutto intorno.
I peperoncini erano talmente corrugati che se avessero disteso le infinite grinze sarebbero diventati degli enormi palloni tanto da potersene volare magari.
Erano di tutti i colori.
Rossi, gialli, color terra bagnata, verdi.
Spuntavano da ogni crepa, da ogni fessura della terra arsa o sanguigna a seconda che tirasse il vento furioso o scrosciasse incontenibile la pioggia. E gli mettevano allegria. Gli piaceva addentarne qualcuno ogni tanto.
Solo i vecchi come lui potevano addomesticare quei peperoncini sensuali come la vita e piccanti come la solitudine.
Quando pioveva, dio ce ne scansi, pensavano terrorizzati i pochi superstiti. Ma non lui. Con la pioggia la terra si impregnava di quei sapori tanto da sentirteli nel naso, nella gola e persino negli occhi che lacrimavano per tutti gli amori perduti e le rivoluzioni non fatte . Quella terra era intrisa di sensualità come nessun’altra. Ci facevi l’amore stando fermo sotto la veranda e se ti veniva l’idea di andare in giro a sguazzare nel fango ed a rischiare di essere travolto dalle acque furenti del grande fiume, non ti salvavi più. Morivi di beatitudine, come tra le braccia di una donna maestosa attesa tutta la vita.
Il colonnello Buendia lo sapeva bene.
E aspettava che il cielo diventasse nero, i tuoni ed i lampi spaventassero case, gente ed animali, la pioggia scrosciante trasformasse allegramente le strade in un pantano e ingoiasse felicemente la terra con tutti i fottuti soldati che la occupavano. Lui se ne sarebbe andato a zonzo a sfidare l’universo come aveva fatto con quel dannato esercito che lo aveva portato davanti al plotone di esecuzione infinite volte, uscendone sempre indenne però perché egli conosceva il segreto della vita.
Anzi solo allora con la furia scatenata degli elementi si sentiva vivo e poteva respirare la sua solitudine e farla durare cent’anni a beneficio di figli e nipoti. Solo allora gli si parava davanti, momento dopo momento, tutta intera la sua vita e lui la contemplava incurante delle urla di quanti lo invocavano…
“Colonnello Buendia mettiti al riparo… un giorno o l’altro il fiume ti porterà via sino all’Oceano e nessuno ti ritroverà più”.
Gli urlavano per pietà e compassione ma sapevano che quelle urla se le portava via il vento e la pioggia e ammesso che una lontana eco forse arrivava alle sue orecchie, lui se ne sarebbe altamente fregato. Perché ritrovare il tempo della sua solitudine tra le acque gonfie del fiume e nell’Oceano turbolento ingoiando i sapori ed i profumi della terra che gli penetravano in corpo tanto da farlo diventare lui stesso terra e fango, acqua e cielo come quei peperoncini che correvano sulle onde limacciose, era proprio quello che voleva. Quello che cercava. Perché lì erano concentrati i cent’anni della sua solitudine piena di vita. Ed i successivi e tutti gli altri a venire.
Era convinto che il mondo a volersi salvare non aveva altra scelta. Doveva tuffarsi nella natura, amarla e farsene travolgere se necessario. Tutte le rivoluzioni a cui aveva partecipato tendevano a questo. Ripristinare il flusso primordiale tra gli uomini e l’anima dell’Universo. Le violenze, le dittature, le sopraffazioni erano scaturite di là, dal potere e dalla smania di ricchezza che generavano violenza. Ma appena tu fossi stato in grado di assecondare la natura ti accorgevi che tutto tornava a posto. Non solo.
Comunque essa si sarebbe incaricata di rimettere a posto le cose.
Dove non fosse riuscita la cocciutaggine di Buendia o di Mujica, le loro infinite, reiterate rivoluzioni, vi avrebbe pensato l’Universo a rimettere le cose a posto. Come il vento furioso che alla fine avrebbe sradicato tutto intero Macondo sollevandolo in volo fino a farlo scomparire in cielo.
Ecco era questo il destino del mondo, pensava Pepe Mujica, mentre nella sua fattoria coltivava quanto gli serviva non per sopravvivere ma per vivere. Egli non cercava la povertà ma il benessere prodromo della felicità…
Aveva fatto il guerrigliero, era stato il terribile tupamaro da tutti i nemici temuto e cercato. Amato solo dai Campesinos.
Era finito in prigione, torturato per lunghi anni, ma la sua coerenza non era mai venuta meno. Proprio come il colonnello Buendia e lui aspettava, perché lo sapeva, che un giorno o l’altro il vento terribile, come un giudice impietoso, se li sarebbe portati via tutti quei soldati e i dittatori che li comandavano.
E arrivò quel giorno.
E Pepe fu liberato… lo vollero Presidente quanti avevano atteso con lui il ritorno della libertà fresca e grondante come una pioggia purificatrice…
E salì le scale del Palazzo di Montevideo. Ma poi se ne tornò nella sua masseria dove serviva poco per vivere, e dove c’era tutto per essere felici.
Esattamente come succedeva ai campesinos.
E l’Uruguay tornò a respirare.
E Pepe se ne tornò a vivere senza rabbia e rancore ma solo con la coerenza che lo aveva abitato da sempre come un grande fiume, il fiume della vita.
Solo dalla fine del mondo, dai luoghi del colonnello Buendia e del comandante Mujica, campesino, guerrigliero, Presidente, poteva arrivare quell’insegnamento.
Vivere in armonia con la natura e in simbiosi con la comunità che ti ha generato cercando la libertà come l’aria da respirare e la compassione come la via della salvezza.
E allora ti rendi conto che non serve accumulare ricchezza sino ad impoverire i tuoi simili e distruggere il pianeta.
Non si tratta di essere “pauperisti” diceva Pepe, ma di avere il senso della misura e del limite, nella vita, nei rapporti con gli altri, nella produzione e nei consumi.
Allorché i nuovi potenti avranno raccattato tutto l’oro del mondo, cosa se ne faranno se non ci sarà più nessuno intorno a loro?
Come Creso arriveranno alla disperazione e moriranno di fame o se ne partiranno per Marte. Ma quella partenza sarà la loro più grande sconfitta ed allora un vento furioso si solleverà come a Macondo. Ma sarà un vento senza poesia e senza compassione … e non sarà la terra a volarsene sino a sparire ma l’umanità intera, distrutta dall’ingordigia di pochi.
C’è un fantasma che si aggira tra gli uomini contemporanei, ne era convinto Pepe come ne era convinto Buendia… é la violenza figlia dell’ingordigia e schiava del potere che tutto può distruggere.
E contrapposto ad esso, come un potente antidoto l’insegnamento della coerenza di Pepe e della determinazione di Buendia.
La coerenza non solo davanti alla prigione ed alle torture ma anche davanti alla vittoria ed al potere, e la determinazione anche davanti alle sconfitte.
Non si tratta di sposare le teorie pauperiste. Non si tratta di rifiutare la modernità.
Non si tratta di spingere verso una inutile palingenesi fuori dal tempo.
Si tratta di ripristinare il senso del limite e della misura nelle azioni degli uomini, delle nazioni e di orientare la produzione della ricchezza in un’orizzonte che comprenda l’Umanità perché l’Umanità intera possa beneficiarne.
É una lezione impossibile da mandare a memoria?
É una lezione necessaria, piuttosto.
L’alternativa sarà un vento di tempesta saturo di polveri irrespirabili se non di scorie nucleari e di particelle radioattive che seccherà la terra e che spazzerà via la comunità umana proprio come Macondo. Ma senza poesia questa volta, e senza compassione.

 

pH : Wikipedia

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