La recensione del Direttore Daniela Piesco
Annalisa Cuzzocrea non scrive una biografia: accende un rogo. E non scappare mai (Rizzoli, 2023) non è il racconto lineare di una vita, ma un atto di resistenza, un rito laico che riesuma, interroga e incendia il nostro presente attraverso le ceneri incandescenti di Miriam Mafai. È un libro che si legge come un romanzo e si vive come una lotta: privata, politica, poetica. Attraverso una scatola blu, affidata dalla figlia Sara, Cuzzocrea scava nell’intimità di una donna che fece della libertà non un diritto, ma un destino. E nella fuga—dal dolore, dalle gabbie, dagli uomini, persino dai figli—cercò un modo per restare fedele a sé stessa.
Mafai emerge dalle pagine come una creatura mitica e insieme vulnerabile, una salamandra che cammina nel fuoco della Storia senza mai esserne consumata. Figlia di due artisti – Mario Mafai e Antonietta Raphaël – nata nel cuore di una Roma inquieta, Miriam è una figura che sfugge alle definizioni: sposa adolescente di un uomo che si toglie la vita, giornalista in un mondo di uomini, compagna del partigiano e dirigente comunista Gian Carlo Pajetta, madre assente eppure necessaria, combattente irrequieta sempre in bilico tra eros e ideologia.
La scrittura della Cuzzocrea è tagliente e lirica, un bisturi che scolpisce poesia nella carne viva del Novecento. La Resistenza non è solo scenario, ma corpo vivo: giornali clandestini nascosti sotto le gonne, fughe in bicicletta, assemblee febbrili. Le redazioni dominate da «regole scritte col sangue di chi non c’era» diventano campi di battaglia dove Miriam irrompe con la forza di chi non chiede spazio, lo conquista. Non c’è agiografia in queste pagine, ma carne, contraddizione, sangue e fango. La madre che lascia il figlio in collegio il giorno del suo compleanno per seguire De Gaulle in Algeria non è un’icona da venerare, ma una donna che sceglie. E che, scegliendo, ferisce e si ferisce.
Il titolo stesso, E non scappare mai, è una frase rubata all’intimità: è Pajetta a scriverla sul retro di una cartolina RAI. Un ordine? Un appello? Forse entrambe le cose. Ma Miriam, quella frase, la rovescia. Non scappa mai dalla sua inquietudine, dalla fame di significato, dalla vertigine del possibile. Cuzzocrea gioca con questa tensione, e ci restituisce una donna che non è mai al riparo, nemmeno da se stessa.
Il cuore pulsante del libro è proprio l’amore per Pajetta, il “Nullo” partigiano, ritratto qui senza retorica né pudore: i due si scrivono lettere che sono carezze e fendenti, frammenti di un eros che confonde passione politica e desiderio carnale. In quelle missive, ruvide e tenerissime, l’intelligenza si mescola alla paura, il comando all’abbandono, la militanza all’amore come ultimo fronte di resistenza. Sono pagine che bruciano.
Cuzzocrea non edulcora né perdona: mostra la libertà come conquista lacerante, femminismo vissuto senza proclami, maternità come atto mancato e al tempo stesso profondissimo. Mafai non lotta per le donne, ma contro tutto ciò che tenta di incasellarle. La sua risata ironica, raccontano i testimoni, sapeva farsi schiaffo, sfida, canto. E in quella risata c’è il manifesto politico più sincero che ci abbia lasciato.
Certo, c’è un rischio, che il libro stesso riconosce: quello di romanzare la fuga, di trasformare il conflitto in stile, la ferita in eleganza. Ma è proprio in questo scarto, in questa ambiguità mai risolta, che la figura di Miriam Mafai si fa simbolo e carne, madre della nazione e donna in guerra con la propria incompletezza.
E non scappare mai è un testo che attraversa generi e confini: è biografia e romanzo, cronaca e meditazione politica, indagine storica e confessione intima. È, soprattutto, un libro necessario. Perché raccontare Miriam Mafai oggi significa non accettare il compromesso, non accontentarsi della superficie, non abbandonare la lotta. E Annalisa Cuzzocrea, come un’archeologa dell’anima, ci consegna un’opera che non commemora, ma infiamma.
Leggerlo non è un atto di nostalgia. È un atto di resistenza.