Educatore e allenatore, osservatore attento della vita di paese, Filippo Milano si candida come consigliere comunale nella lista Fare Comune per le amministrative di Sant’Angelo a Cupolo. Con una visione lucida e appassionata, Milano propone un ritorno alla sobrietà delle relazioni sociali e alla cura della memoria collettiva. Al centro del suo impegno c’è l’idea che solo un senso condiviso di appartenenza, unito alla capacità di ascolto e progettazione, possa davvero restituire vitalità al territorio. In questa intervista racconta la sua storia e le sue proposte, con uno stile personale fatto di riflessioni, immagini e passione civile.

L’ intervista

Qual è il filo che lega la tua storia personale al desiderio di impegnarti in politica per il tuo paese?

Sono Filippo Milano ed ho una età … variabile. Ho passato gran parte del mio tempo in aule scolastiche e su campi di calcio, da prospettive diverse. Ho provato a trasmettere le cose belle che da allievo mi avevano colpito ai giovani che in seguito ho avuto il piacere di incontrare. Un lavorio, piuttosto che un lavoro, appassionante, ma non privo di difficoltà. Incrociare lo sguardo di uno di loro, dopo un gol segnato o un concetto capito, mi restituiva ogni volta la forza per continuare.

Qual è, secondo te, la priorità più urgente per Sant’Angelo a Cupolo?

Per quanto piccolo, Sant’Angelo a Cupolo esiste. E proprio perché sovrastato da vicende mondiali terribili, non potrebbe avviarsi in un percorso contromano alla ricerca di valori ormai a rischio di estinzione, quali una sobria funzionalità e una sana armonia sociale? A mio avviso, sì. Impegnandosi a superare i due ostacoli che da sempre hanno reso difficile lo sviluppo di una evidente identità comunitaria: la frammentazione frazionale e la vicinanza della città; a ritrovare un senso di appartenenza su cui impostare e coordinare le azioni degli amministratori e dei cittadini, seguendo un ordine dettato dalla priorità degli interventi.

Cosa significa per te “fare comune”?

Fare comune. Due termini accostati, tanto suggestivi quanto impegnativi. FARE, nel senso di costruire qualcosa che resti. Penso ad una casa, a tutti i sacrifici che comporta edificarla, per poi renderla capace di accogliere e dare sicurezza a chi la abita. COMUNE, restando alla casa, mi rimanda alla diversità delle competenze orientate verso un unico obiettivo, a cui occorre far ricorso per poterla rendere funzionale. “FARE COMUNE” è il nome della nostra lista.

Hai un’idea o una proposta concreta che vorresti realizzare nei prossimi cinque anni?

Due sono le cose su cui mi piacerebbe lavorare, se il popolo dovesse scegliere di darci fiducia. La creazione all’interno della casa comunale di un centro di studi e di ricerca, aperto ai cittadini, in cui raccogliere tutte le testimonianze possibili e utili a recuperare e a catalogare il patrimonio culturale del nostro paese. La realizzazione di un notiziario on line, anch’esso aperto a tutti, in cui riportare quanto avviene, giorno per giorno, sul nostro territorio, per provare a testimoniarne la vitalità.

Come pensi si possa ricostruire il rapporto tra cittadini e istituzioni?

Sarebbero due opportunità che potrebbero aiutare a ridurre la frattura creatasi, non solo a Sant’Angelo, tra gli amministratori e il popolo. Un piccolo passo verso la concretizzazione del concetto di cittadinanza attiva. A ognuno verrebbe data la possibilità di sentirsi protagonista nel ricostruire la storia passata e nel rendere più interessante quella attuale.

Un ricordo o un luogo di Montorsi che per te rappresenta casa. E perché.

Siamo in piena campagna elettorale. Anche i cani e i gatti randagi se ne sono accorti, impegnati, come sono, a schivare automobili dalle traiettorie sempre più nervose rispetto ai tempi quieti. Ma è un rito e, in quanto tale, appartiene alla nostra storia e ne preserva la continuità. Tutto un susseguirsi di alleanze trasversali, pacchetti di voti, visite a domicilio, famiglie spezzate, compagini forti che diventano deboli e squadre deboli che diventano forti. I riti vanno rispettati, anche quando non ce ne si lascia coinvolgere direttamente. Sprovvisto di certezze assolute, io ad esempio, non mi ritengo degno di portare San Donato sulle spalle, ma mai rinuncerei alla commozione che ogni anno provo quando i miei amici compaesani, col volto sudato e contratto dalla fede, lo issano e lo portano in processione per le strade di Montorsi. A proposito di San Donato, i riti hanno la loro sacralità e chi pensa di piegarli alle proprie convenienze può correre il rischio di trovarsene travolto. Anche perché la parte folcloristica si arresta la mattina del voto, quando ogni cittadino si concede una pausa di riflessione e soppesa il tutto: volti, discorsi, promesse. E solo dopo aver ascoltato la propria coscienza, prende la carta di identità, esce di casa e si avvia verso il seggio.

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