di Antonio Corvino 

Papa Leone XIV, non incarnerà, nel suo viso sereno e nel suo sguardo inquieto, solo l’afflato palingenetico.
C’è una rivoluzione da guidare o da subire nel mondo.
È quella della tecnologia quantistica, degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale che promettono di azzerare il lavoro e distruggere il mercato del lavoro per come lo abbiamo sin qui conosciuto.
È lo stesso pontefice a togliere ogni dubbio chiarendo il motivo della scelta di quel nome: Leone XIV.
Riaprire il solco della dottrina sociale della Chiesa ripartendo da Papa Leone XIII.
Roba da far tremare i polsi, al pari della sfida palingenetica che la Chiesa ed il Papa con quel nome dovranno, volenti o nolenti, lanciare al mondo, ai popoli ed ai potenti che li governano o li dominano.
Perché le due questioni, rivoluzione tecnologica quantistica e destino dei popoli si tengono insieme e dalla loro declinazione discende il destino delle comunità e degli individui ma anche quello dell’Umanità tutta intera.
Non solo, ad esse se ne aggiunge una terza: la redistribuzione della ricchezza, sempre più concentrata in poche mani, tra i popoli e gli individui da un lato e la popolazione mondiale dall’altro.
Insomma il progresso del mondo e nel mondo è interamente legato al modo in cui la rivoluzione della tecnologia quantistica che ha prodotto ed alimenta l’esplosione dell’intelligenza artificiale, impatterà per un verso sul destino degli individui e dei popoli e per l’altro sulla volontà degli Stati, intesi nella loro dimensione nazionale e planetaria, e sui nuovi, necessari ed indispensabili meccanismi di redistribuzione della ricchezza.
Nessuna rivoluzione del lavoro e nessuna riformulazione della dottrina del progresso umano potrà essere elaborata se non si affrontano tutti insieme, in una visione sistemica, questi aspetti.
Nel mondo attuale post globalizzazione l’economia domina la politica.
I potenti in numero sempre più limitato ed in termini sempre più aggressivi controllano gli Stati e soprattutto le grandi Nazioni, e queste a loro volta si combattono per controllare il pianeta.
Anche la democrazia per come l’abbiamo sin qui conosciuta mostra evidenti segni di logoramento legati ai ritardi accumulati se non all’incapacità di gestire tali fenomeni mentre, in contrapposizione e sempre più aggressivo, si riaffaccia il nazionalismo e la deriva autoritaria.
Non siamo più alla rivoluzione industriale con cui dovette fare i conti Leone XIII.
È preistoria quella, addirittura.
Alla fine del diciannovesimo secolo la meccanizzazione della produzione industriale, nata nel secolo precedente in Inghilterra, aveva raggiunto livelli di sfruttamento disumano non più tollerabili, ovunque nel mondo.
I movimenti socialisti e l’insorgente movimento comunista promettevano ribellioni e rivolte ovunque mentre filosofi ed economisti, avevano costruito un sistema di pensiero e di valori che aveva decodificato e destrutturato il concetto stesso di proprietà privata a fini produttivi ed aveva elaborato la dottrina del collettivismo in contrapposizione al capitalismo.
Quest’ultimo aveva tirato la corda sino al punto che si annunciava la rottura. Il movimento degli operai prometteva la rivoluzione ed il mondo intero rischiava di esplodere.
La chiesa non poteva più tacere.
Il Vangelo la costringeva a schierarsi con gli ultimi ma questi avevano smesso di affidarsi al Vangelo e si affidavano alle idee socialiste e comuniste che negavano Dio e la sua Chiesa.
Ed arrivò sulla cattedra di Pietro Leone XIII che con la Rerum Novarum rimise le cose a posto. Almeno dal punto dottrinale. Perché quanto alle spinte rivoluzionarie quelle continuarono a montare e sarebbero esplose con tutto quel che ne seguì.
Ma la Chiesa aveva posto le basi dottrinali per il superamento di quel conflitto e furono basi solide se esse superarono le aberrazioni fasciste e nazionaliste, sia pure a costo di una guerra all’ultimo respiro, e scavallarono anche la stagione comunista.
La Rerum Novarum partì dal riconoscimento della dignità del lavoro e dei lavoratori e sancì i diritti di questi come inviolabili ed inalienabili. Non proprio una rivoluzione. Ma andò oltre. Rifiutando ogni deriva violenta teorizzò la collaborazione tra capitale e lavoro, tra capitalisti e lavoratori tutti chiamati ad operare per il progresso comune.
Sarebbe emerso così il ruolo attivo dello Stato come regolatore e programmatore dello sviluppo economico e sociale dei popoli che in Keynes, a distanza di alcuni decenni, avrebbe trovato la sintesi laica più elevata.
Sul piano sociale nasceva l’interclassismo.
Non la contrapposizione ma l’integrazione tra capitale e lavoro, tra capitalisti e lavoratori chiamati entrambi a promuovere l’elevazione degli individui ed il progresso sociale in uno con lo sviluppo dei popoli e delle nazioni.
E questa fu una vera rivoluzione.
L’Occidente si riconobbe in essa e, sia pure faticosamente a partire dalla seconda guerra mondiale, su di essa costruì il suo percorso di sviluppo sfociato nello Stato sociale.
Lo Stato, appunto, diventava il soggetto super partes che provvedeva alla redistribuzione del surplus della ricchezza prodotta in termini di servizi ai cittadini. Il lavoro diventava il motore dello sviluppo e lo snodo della società, il capitale, dal canto suo, assumeva anch’esso un ruolo sociale. Venivano riconosciute le sue prerogative, la proprietà privata veniva assunta come un valore ma in un quadro di forte proiezione sociale. In Italia Enrico Mattei, sul versante cattolico e Adriano Olivetti, sul versante laico, furono i più grandi campioni della nuova dimensione del capitalismo sociale mentre sindacati e padroni impararono a convivere e cooperare.
Poi arrivò il Concilio Vaticano Secondo. Papa Giovanni XXIII promulgò la sua Pacem in Terris in cui schierava la chiesa senza alcun tentennamento dalla parte dei popoli e degli uomini in cammino e sollecitava la pace come condizione necessaria ed irrinunciabile per il progresso dei popoli ed il benessere degli uomini. Era ormai in piena esplosione la guerra fredda e all’orizzonte si stagliò minacciosa la guerra nucleare disinnescata proprio da quel Papa che fornì a Kennedy ed a Chruščëv la forza e le motivazioni per fermarsi.
Quindi arrivò la Populorum Progressio di Paolo VI. Egli riprendendo la Pacem in terris, pose in luce che senza cooperazione internazionale basata sul rispetto dei diritti dei popoli non vi poteva essere progresso e questo doveva avvenire sulla base del rifiuto del neocolonialismo e dell’imperialismo ovunque debordanti.
In Italia Erano morti sia Mattei che Olivetti.
Nel mondo prendeva avvio la globalizzazione tuttavia in uno spirito di rapina che diffondeva povertà e sfruttamento laddove contrabbandava promesse di sviluppo.
La formulazione di Papa Paolo VI era anch’essa un’idea rivoluzionaria che, ahimè, non sortì grandi adesioni.
Il mondo occidentale sempre più correva verso la deriva consumistica che concentrava ricchezze e diffondeva povertà.
La Russia sovietica prometteva di implodere e la Cina comunista procedeva nella sua lunga marcia isolandosi dal e nel mondo.
Ed arrivò Giovanni Paolo Secondo.
Nel 1991 egli elaborò la Centesimus annus, nella ricorrenza del centesimo anniversario della Rerum Novarum.
Il Papa polacco riproponendo i valori affermati da Leone XIII stigmatizzava le incongruenze delle cosiddette economie socialiste e delle economie di mercato (o capitaliste) che provocavano l’arretramento del mondo nel suo complesso oltre che le sofferenze. Il pontefice venuto dall’inverno comunista sottolineava come il capitalismo aveva provocato un insopportabile indebitamento dei paesi arretrati che pure avevano sperato nella via d’uscita della globalizzazione.
Azzeramento del debito dei paesi poveri e disarmo venivano indicate come condizioni irrinunciabili per rimettere sulla giusta carreggiata il mondo ed assicurare allo stesso Occidente prospettive di pace.
E siamo ai tempi nostri.
Con Papa Benedetto XVI che mette in guardia la chiesa e per essa il mondo dalla deriva edonista e relativista che si traduceva nella scelta cinica e nichilista degli individui e del mondo protesi a cercare esclusivamente il proprio tornaconto e con Papa Francesco che schiera decisamente la chiesa dalla parte dell’umanità dimenticata, povera e sofferente, contro i potenti, contro la violenza della guerra e la distruzione del mondo che sembra inarrestabile e contro cui a mani nude egli si batte sino all’ultimo istante della sua vita invocando pace e disarmo.
Il monito di Papa Ratzinger non fu preso sul serio dal popolo e la sofferta passione di Papa Francesco venne derisa dai potenti.
Liquidato il primo come preoccupazione di un Papa teologo troppo orientato a salvaguardare l’ortodossia della chiesa e la seconda come velleitaria pulsione di un Papa troppo preso dal suo amore per un’umanità distante dalla realtà, essi sono oggi lo specchio in cui si riflette lo scivolamento del mondo verso la guerra totale, la violenza gratuita, i genocidi da un lato e la concentrazione abnorme ed irrimediabile della ricchezza in una classe di magnati ed oligarchi che controllano ovunque il potere, nei santuari capitalisti delle nazioni occidentali, nei santuari comunisti cinesi e nelle stanze della dittatura postsovietica.
In questa tempesta senza stelle e senza bussola arriva il pontificato di Papa Leone XIV che, per sua stessa ammissione, intende lanciare la sfida per un nuovo ordine mondiale basato sulla corretta e virtuosa gestione della rivoluzione dell’intelligenza artificiale che a sua volta promette di azzerare il lavoro e la stessa organizzazione sociale per come li abbiamo sin qui conosciuti.
Un compito arduo, visto che l’intelligenza artificiale basata sugli algoritmi quantistici che a loro volta dominano la tecnica ed orientano la tecnologia rendendo inutile il lavoro e la società basata su di esso sono nelle mani delle caste di magnati e gerarchi che dominano le potenze mondiali. Quelle economiche, USA e Cina, e quelle militari, la Russia postsovietica in testa.
Il nuovo pontefice ha certamente compreso che lo snodo per un futuro di pace e di progresso per il mondo intero passa dalla “rivoluzione quantistica”. Le fabbriche gradualmente si svuoteranno. La produzione diverrà sempre più il risultato dell’applicazione multiforme dell’Intelligenza artificiale. La nuova società avrà sempre più bisogno di professionalità altissime per gestire processi e modelli che dispongono di basi algoritmiche, robotiche ed androidali che limiteranno sino ad espellere il lavoro manuale, le prestazioni professionali tradizionali e renderanno obsolete anche le relazioni interpersonali nel mondo del lavoro.
Paradossalmente l’Intelligenza artificiale accelererà il percorso di liberazione degli uomini dal lavoro manuale.
Lo aveva previsto anche Marx che affidava al comunismo ed al socialismo la liberazione dei lavoratori dalla schiavitù del lavoro.
Le macchine avrebbero accelerato e moltiplicato la produzione lasciando finalmente tanto tempo libero alle persone che avrebbero potuto impiegarlo dedicandosi alle proprie passioni, agli affetti, alle arti, al teatro ed alla cultura.
Il nuovo Stato collettivista e padrone dei mezzi di produzione avrebbe dovuto inventare una nuova società libera e consapevole, garantendo la redistribuzione della ricchezza che le macchine avrebbero prodotto e lo Stato comunista accumulato.
È esattamente il problema che si pone oggi, in prospettiva, a valle della diffusione dell’Intelligenza Artificiale.
Con un problema che Marx non aveva contemplato e nemmeno Keynes e nemmeno i riformatori della dottrina sociale cattolica e tanto meno i soviet comunisti: la concentrazione abnorme della ricchezza in una cuspide della piramide sociale che controlla anche gli Stati e che pretende di gestire la propria sopravvivenza ed il proprio potere con le guerre, le armi e le violenze planetarie.
Al momento l’unica via d’uscita che sembra voglia praticare il potere ipercapitalista che domina il mondo è quella dell’assistenzialismo sociale.
Al popolo, impoverito ed impaurito, incattivito e privato di ogni consapevolezza critica e culturale viene garantita la sopravvivenza in cambio dell’accettazione di un lavoro massificante e mal pagato in uno con il consenso al nuovo modello, autoritario e oppressivo, del potere costituito.
È con questo modello che la rivoluzione prossima ventura sollecitata se non imposta dall’intelligenza artificiale e dal potere che la gestisce, dovrà fare i conti.
Come potrà essere democratizzato il potere e bloccata la deriva autoritaria e come potranno e dovranno, il popolo e gli individui estromessi da ogni processo decisionale e lavorativo, essere recuperati e, infine, come dovrà la ricchezza accumulata essere redistribuita?
Quale è come sarà, se esisterà, il nuovo Stato sociale?
In che modo il tutto si combinerà con il rifiuto della guerra che al momento appare come il dominus degli equilibri planetari?
La pace disarmata dei pacifici saprà disarmare i violenti che dominano il mondo?
A Papa Leone XIV, che si accinge all’impresa, va tutto l’affetto ed il sostegno dei poveri di spirito che tuttavia dovranno interessarsi del regno in terra non potendo aspettare il regno dei cieli mentre quello va a fuoco. Ne va della sopravvivenza dell’Umanità.

 

pH Pixabay senza royalty

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