Imprenditore da oltre trent’anni nel settore elettromedicale, profondo conoscitore del proprio territorio e impegnato da sempre nei valori della giustizia sociale, Angelo De Luca, 62 anni, si candida a sindaco di Sant’Angelo a Cupolo con la lista civica Fare Comune. Un percorso nato dal basso, condiviso passo dopo passo con un gruppo plurale di cittadine e cittadini che, dopo mesi di lavoro, ha scelto proprio lui come guida di un progetto collettivo. Sposato da 26 anni, ha due figli: uno di 22 anni, laureato in Economia e Finanza e ora studente specialistico a Bologna, e un altro di 9 anni. Nato e cresciuto a Montorsi, dove vive tuttora, ha trascorso solo un breve periodo al Nord – tra Veneto e Piemonte – per avviare la sua attività imprenditoriale, poi stabilmente trasferita nel Sannio nel 1990.Uomo di territorio, attento all’ambiente e ai legami comunitari, con un passato da attivista e volontario, oggi con Fare Comune, si propone di rigenerare Sant’Angelo a Cupolo attraverso la partecipazione, la giustizia sociale e la cura quotidiana.
Lo abbiamo incontrato per farci raccontare il cuore di questa avventura.
L’ intervista
Angelo, otto mesi di ascolto e lavoro collettivo: qual è stato il momento in cui hai capito che “Fare Comune” poteva davvero diventare un progetto politico?
Il momento in cui ho capito che Fare Comune poteva davvero diventare un progetto politico è stato quando, durante la presentazione del Comitato Civico, lo scorso 16 febbraio nel luogo scelto come il luogo della ripartenza, ossia il Convento dei padri Liguorini abbandonato, sotto il nostro gazebo, quattro cittadini, due dei quali non li conoscevo nemmeno, hanno compilato la scheda di adesione al Comitato, entrando formalmente a farne parte. In quel momento ho visto chiaramente che il lavoro di questi mesi, iniziato lo scorso settembre – fatto di ascolto, confronto, fatica ma anche entusiasmo – stava generando qualcosa di profondo: la fiducia. La fiducia non solo in noi come gruppo, ma nella possibilità concreta che le persone comuni potessero tornare a sentirsi protagoniste della vita politica. È lì che ho capito che stavamo coltivando un nuovo modo di abitare la comunità, di prenderci cura del nostro territorio con uno sguardo collettivo e responsabile.
Chi era Angelo prima della politica e chi è oggi, nel momento in cui decide di candidarsi alla guida del paese?
Sono sempre lo stesso: il bambino che giocava a pallone sulle pietruzze in piazza a Montorsi, il ragazzino scanzonato che faceva scorribande con il boxer giallo di mio fratello tra Sant’Angelo e San Marco ai Monti nella bella stagione, il burlone sui palchi di teatro nelle piazze per decenni. Ma anche e soprattutto i valori della famiglia, della serietà nelle relazioni, della precisione nel lavoro (imprenditore da oltre 30 anni nel settore di apparecchiature strumentali in farmacia). Sempre attento a temi importanti: negli anni ‘90 sono stato il primo responsabile del locale circolo di Legambiente, per lungo tempo appassionato di escursionismo, conoscitore delle vette più alte delle Alpi e un legame forte con la natura. E poi la passione per la politica, gioia e delusioni, ma in cui ho sempre creduto, perché la politica – nel suo significato più autentico – riguarda la vita di tutti, ogni giorno. Perché la politica ci riguarda, anche quando non ce ne occupiamo, perché è uno strumento per cambiare le cose, perché crea legami e costruisce comunità, perché il cambiamento non arriva da solo e ogni trasformazione nasce da qualcuno che ha deciso di impegnarsi. Animato dai valori della solidarietà, dell’uguaglianza e della giustizia sociale, ho sempre lottato contro i poteri forti e le ingiustizie, in ogni loro forma e a ogni livello. Questa è la mia prima esperienza amministrativa e la mia candidatura nasce dentro il Comitato Civico Fare Comune, in un percorso trasparente e democratico: eravamo tutti potenziali candidati alla carica di sindaco e poi in modo collegiale si è deciso.
Fare Comune è una scelta “nata dal basso”: quanto è stato difficile costruire una squadra plurale, e quanto è stato bello?
Fare Comune è davvero una scelta nata dal basso. Un piccolo pezzo di comunità si era ritrovata e ogni settimana cresceva sempre più. Ad unirci è stata la consapevolezza che il territorio è ormai in stato di abbandono, in termini di servizi, di vivibilità, di opportunità, ed è scattato in noi la voglia di partecipare ad una rinascita. Abbiamo coniato il termine “ricucire”, pensando alla metafora di un vestito strappato che con ago e filo torna a riprendere forma; vogliamo rammendare il tessuto della nostra comunità. E’ stato profondamente entusiasmante mettere insieme persone diverse, con esperienze e visioni anche lontane; ciò richiede pazienza, ascolto, fiducia. Abbiamo costituito quattro aree tematiche e formato gruppi di lavoro. Per mesi ci siamo confrontati unicamente ed esclusivamente sui temi e sul fare. Ma in quel confronto, a volte acceso, è nata una squadra vera: plurale, autentica, appassionata. Una squadra che ha scelto di metterci la faccia, senza interessi personali, ma solo per il bene del nostro paese. Forse è proprio questa la politica che ci manca: quella che nasce dalla vita vera, dai legami, dal desiderio di restituire qualcosa alla propria comunità.
Qual è l’errore politico più grande che hai visto fare negli ultimi anni a Sant’Angelo a Cupolo? E come immagini di evitarlo?
Non c’è stato un solo errore, è mancata proprio l’azione amministrativa negli ultimi 13 anni, mentre intorno a noi altri territori crescevano e si miglioravano. Un bocciodromo nuovo sottratto agli anziani; una Scuola Civica tolta ai giovani di una cooperativa locale che era riuscita a renderla un punto di riferimento attrattivo anche per i cittadini di Benevento e soprattutto uno spazio inclusivo per le persone più fragili del nostro comune; un’area PIP devastata, cimiteri indecorosi, la piazza del capoluogo ridotta ad un campo minato, impraticabile e pericolosa per anziani, bambini e carrozzelle, e non che le altre stiano meglio; servizi sociali inesistenti, una lacerazione profonda nei rapporti con le associazioni locali (cancellazione della Consulta); assenza di spazi in cui alimentare cultura e vita sociale; Forum dei giovani mai adeguatamente sostenuto; strade che mettono a dura prova sospensioni e pazienza; decoro urbano inesistente, palazzi storici crollati, con gli annessi problemi di viabilità (Capasso Torre a Pastene), campetti sportivi inutilizzabili e depredati di ogni cosa, centro per anziani costruito e mai inaugurato, il belvedere di San Marco ai Monti ormai senza vista sulla città per l’alta vegetazione e l’incuria, il fiume Sabato che accoglie nelle sue sponde sversamenti di ogni tipo, con un ecosistema ormai compromesso da anni di inquinamento e mancanza di manutenzione, assenza totale di una visione sulla riqualificazione del monumento simbolo del Comune di Sant’Angelo a Cupolo, l’imponente Convento dei Padri Liguorini, a cui il Comitato Civico ha dedicato vari momenti, tra cui un convegno con relatori di altissimo profilo nazionale. A tutto questo si può rimediare semplicemente lavorando con impegno, seriamente e con responsabilità, scegliendo anche di adottare strumenti attuali come l’Amministrazione Condivisa (disciplinata dal TUEL), una modalità di co-costruzione e co-gestione delle politiche pubbliche. Insomma l’ente comune non deve essere l’unico attore, ma può fare la scelta “politica” di puntare verso una gestione condivisa con il Terzo settore, le associazioni e i cittadini. Fare Comune nasce proprio per questo: ridare valore al legame tra cittadini e istituzioni.
“Cura”, “giustizia sociale”, “partecipazione vera”: come si traducono queste parole nella vita quotidiana dei cittadini?
Cura significa avere un Comune che risponde, che ascolta, che agisce. Cura è un ufficio comunale che ti accoglie con gentilezza e ti guida nelle pratiche. È un marciapiede sistemato, un lampione che funziona, un anziano che non si sente invisibile. Un bambino che ha uno spazio dove giocare.Giustizia sociale vuol dire non lasciare nessuno indietro. Vuol dire sostenere chi è in difficoltà, creare opportunità per i giovani, non distribuire favori ma costruire diritti. Significa anche che il Comune lavora con le scuole, con le associazioni, con chi sul territorio fa la differenza.
Partecipazione vera non è fare finta di ascoltare. È costruire insieme. Vuol dire assemblee pubbliche, tavoli di confronto, scelte condivise sui progetti che riguardano il paese. Vuol dire che chi vive qui ha voce, non solo voto ogni cinque anni e anche meno nel nostro caso (l’ultima consiliatura è finita in anticipo e ci ha portato al Commissariamento).Su questi temi, dalle ultime amministrazioni, che pure oggi si ripropongono, sono venuti solo buoni propositi, belle parole, ma il territorio “parla” e esprime oggettivamente solo dolore.
Hai parlato di “ricucire le fratture del paese”. Quali sono queste ferite oggi? Da dove comincia la guarigione?
Le ferite del nostro paese sono prima di tutto relazionali. Viviamo in una comunità che si è fratturata nel tempo: tra campanilismo delle frazioni, tra generazioni, tra chi si sente dentro la vita pubblica e chi invece se ne sente escluso, tra chi si sente del territorio e chi lo vive come dormitorio, preferendo la vicina città. C’è chi ha smesso di credere che partecipare serva, che tanto le cose non cambiano mai. L’identità si è come sfilacciata. Abbiamo perso memoria di chi siamo stati come comunità, di quante energie e solidarietà abbiamo saputo esprimere nel passato. E senza memoria comune è difficile anche costruire futuro.
La guarigione comincia dalla prossimità e dall’ascolto, creando spazi veri di partecipazione, non per dividere, ma per costruire. Dobbiamo tornare a sentirci parte della stessa storia, lavorando anche sulla sua ricostruzione. Occorre riattivare “luoghi”, spazi civici e culturali, accessibili ai giovani, agli anziani, alle associazioni, a chi ha voglia di esprimersi. Luoghi simbolici e concreti per rimettere insieme le energie disperse e generare nuova appartenenza. La guarigione passa soprattutto da qui: dai luoghi che tornano vivi, perché abitati da relazioni autentiche e progetti condivisi.
C’è una persona che ha ispirato il tuo impegno politico? Una figura che ti ha aiutato a credere in un’altra idea di amministrazione?
Non c’è una in particolare. Diverse sono le persone che hanno fatto e fanno ancora parte della mia vita, che sono come me ispirate a determinati valori e hanno contribuito alla mia formazione politica. Alcuni amici fraterni mi accompagnano anche in questo percorso politico, direttamente come candidati. Altre persone, sono da sempre al mio fianco, tra cui mia moglie, con cui ho condiviso anche gran parte della mia attività politica, rafforzando ulteriormente la convinzione che un mondo migliore sia ancora possibile. Anche se le vicende tragiche degli ultimi anni, i popoli martoriati dalle guerre e dalla fame, ci restituiscono l’immagine di un mondo smarrito, che sembra aver perso la propria direzione.
In una politica sempre più individualista, tu parli di progetto collettivo. Quanto pesa, nel bene e nel male, la responsabilità di essere “il volto” di Fare Comune?
Non mi pesa, perché non sono solo. Non mi fa paura questa responsabilità. Non voglio essere l’uomo solo al comando. Essere il volto di Fare Comune non è un privilegio personale, ma un impegno collettivo che porto con me ogni giorno. In un’epoca in cui la politica spesso si riduce a protagonismi, interessi individuali e unioni improvvisate, noi abbiamo scelto un’altra strada: quella del “NOI”, del confronto continuo, dell’ascolto vero. Questo significa che non parlo mai solo a nome mio, ma come espressione di un gruppo che discute, decide e agisce insieme. Nel bene, è una forza: ogni passo che facciamo è sostenuto da una comunità viva. Purtroppo è accaduto nelle recenti consiliature, soprattutto quelle dal 2011 al 2021, che tutta la gestione è stata ricondotta a una persona sola o a due. Nostro compito è proprio quello di spezzare questa logica e restituire centralità alla partecipazione. Essere il volto non significa essere il padrone del progetto, ma uno dei suoi tanti custodi.
Se potessi scrivere oggi una lettera a un ragazzo di 18 anni che voterà per la prima volta, cosa gli diresti?
Gli direi quello che ho detto a mio figlio Lorenzo, quando nel 2021 ha votato per la prima volta: “Questo é un tuo diritto e devi esercitarlo con convinzione. Esprimi il tuo voto per chi pensi possa fare meglio! Vota scostumato: non scegliere secondo le appartenenze familiari o amicali, ma scegli con concretezza”.
Oggi direi anche di non cercare chi urla più forte, ma chi parla al suo futuro con rispetto.So che tanti giovani oggi sono sfiduciati, delusi da territori disorganizzati e privi di vere politiche giovanili. Vorrei dire loro di non smettere di credere e di non lasciare mai che siano gli altri a decidere, anche per loro.
Cosa vuoi che resti, anche solo in parte, del tuo impegno tra cinque anni, a prescindere dall’esito elettorale?
Vorrei che restasse un nuovo metodo, rispetto a quello adottato per troppo tempo dai precedenti amministratori. Che restasse l’idea che la politica può essere ascolto, presenza, cura quotidiana e non solo propaganda, scontro o gestione personale.A prescindere dall’esito, il Comitato Civico Fare Comune avrà vita propria e continuerà nella sua azione di rivitalizzare il territorio con iniziative socio-culturali e favorire un modello di partecipazione dei cittadini alla gestione pubblica.Se tra cinque anni più persone avranno capito che possono partecipare, dire la loro, cambiare le cose senza chiedere il permesso a nessuno, allora Fare Comune avrà lasciato un seme vero.Non mi interessa solo vincere un’elezione. Mi interessa che cresca una cultura della responsabilità condivisa.