C’è un respiro antico e insieme visionario nell’opera che Alfredo Verdile ha donato al progetto Artindustria. Non è un semplice logo, ma un’epifania grafica, un’immagine che trattiene in sé la tensione tra mondi che troppo a lungo sono stati separati: l’industria e l’arte, la produzione e l’ispirazione, il dovere e la bellezza. Nel segno tracciato dalla mano del Maestro, ogni linea diventa un verso, ogni colore un sentimento, ogni figura un archetipo.
Al centro dell’immagine, l’aquila stilizzata di Confindustria, simbolo dell’impresa moderna, si fa madre, rifugio e generatrice. Non più solo emblema di potere economico, ma ventre accogliente, grembo simbolico in cui si custodisce un nucleo creativo, un sole interiore: una sfera dorata, che non è solo forma ma messaggio. È la luce che vibra all’interno del meccanismo produttivo, è l’anima che scalda l’ingranaggio, è l’essenza irriducibile dell’umano.
E proprio lì, dove ci si aspetterebbe solo il freddo metallo della tecnica, Verdile colloca un dinosauro bianco, simbolo archetipico e surreale, creatura del mito e della memoria. Non è una provocazione, ma una carezza. Il dinosauro attraversa il tempo, sopravvive alle ere, come fa l’arte. È l’emozione che resiste alla catena di montaggio, la poesia che sopravvive all’acciaio. La sua postura è dinamica, pronta al passo: è un invito a camminare oltre il presente, a portare con sé la storia e trasformarla in futuro.
Sul fondo, le torri gialle della città si ergono come organi di una cattedrale industriale. Sono fabbriche, ma anche templi. Non luoghi di alienazione, ma di metamorfosi. Le pennellate viola, oblique e sensuali, attraversano lo spazio bianco con una leggerezza malinconica, quasi a suggerire che l’arte non è mai invasiva: è carezza, è eco, è voce che accompagna.
La scritta “Artindustria” si incurva, gioca con le simmetrie, accoglie una doppia tensione: quella verso il senso e quella verso il sentimento. E sotto, la formula “Emozioni & Valori” suggella la visione. Non è solo uno slogan: è una dichiarazione d’intenti, un manifesto culturale che ribalta la gerarchia tra estetica e utilità, tra efficienza e identità.
Verdile non ha disegnato un logo: ha scolpito un pensiero. Ha compiuto un atto poetico che diventa politico, una dichiarazione d’amore per il Sannio e per tutti i luoghi che scelgono di coniugare cultura e progresso. Con il suo tratto, ci ricorda che l’impresa può farsi arte e che l’arte può abitare le stanze della decisione. E soprattutto ci insegna che in ogni fabbrica può battere un cuore, se qualcuno ha il coraggio di vederlo.
Questo logo è già un’opera. Ma più ancora è un’idea: quella che il futuro non si costruisce con il solo calcolo, ma con la luce calda e imperfetta delle emozioni condivise.