SCORPIONE
MORTE TRA LE STELLE”
una raccolta di racconti noir dedicata al lato oscuro dei Segni dello Zodiaco
I grandi e profondi occhi neri di Vicky ardevano di aggressività e di risentimento mentre fissavano l’amuleto che teneva tra le dita.
La sua energia – ed era spaventosamente grande – per quanto tenuta sotto controllo con ferrea volontà, era tutta concentrata, catalizzata in quello sguardo carico d’odio e risentimento che, se si fosse potuto posare sulla vera fonte del suo malessere, l’avrebbe incenerita e annientata seduta stante.
Ma la fonte del suo malessere non era a portata, non sapeva neanche che nome o che faccia avesse. Per questo era costretta a far buon viso a cattiva sorte. L’amuleto serviva giusto a quello, a ricordarglielo.
Apparentemente era la solita Vicky, affascinante, spigliata, vogliosa di stare al centro dell’attenzione e del divertimento, dell’ammirazione e del desiderio. Superefficiente, dinamica e determinata, come sempre. Ma, dietro il suo sguardo, il fuoco che alimentava quell’energia vendicativa e distruttiva, di cui il suo essere era pregno in ogni più recondita fibra, ardeva e si ingigantiva sempre più.
Aveva una rivale! Le era sembrato impossibile, ovviamente all’inizio, perché lei era una vincente nata, sicura di sé, della sua personalità, della sua bellezza, del suo fascino misterioso e intrigante, della sua carica sessuale, della sua intelligenza. Non poteva avere “rivali” perché nessuna poteva tenerle testa. Lei era la migliore, lei aveva carattere, vitalità, determinazione, carisma. Tutte le altre erano “donnicciole” al suo confronto.
Non poteva credere che chicchessia, e tanto meno il suo compagno, che l’adorava come una Dea scesa in terra, potesse anche solo per un istante aver distolto lo sguardo dalla sua persona per posarlo su di un’altra. Figuriamoci se poteva concepire l’idea che lui potesse disamorarsi di lei per innamorarsi di un’altra!
Inconcepibile, inaccettabile, ma ormai il tarlo era nella sua testa e stava facendo bene il suo lavoro. La stava facendo cadere dal suo piedistallo di Dea, di essere perfetto e superiore, la stava detronizzando. La stava rendendo una comune mortale, precipitandola tra le amarezze e le sconfitte, e questo la mandava in bestia perché lei era una vincente e i vincenti non cadono mai.
Non poteva assolutamente accettare quella umiliazione. E poi da chi? Da una “insignificante mortale donnicciola” comparsa chissà da dove per minarle il suo assoluto predominio.
La gelosia, ma più ancora l’odio, il rancore, il desiderio di vendetta verso questa “insignificante intrusa” erano saliti su, irruenti e crudeli, dal profondo limaccioso, putrido e decomposto della palude che dimorava nei recessi più nascosti del suo essere; perché lei, anche se esternamente era una persona positiva, dotata di forza di carattere, di sicurezza di sé, di sfrontatezza, di aggressività, di decisione e determinazione al di sopra di quella palude, ebbene al di sotto di quella stessa palude covava i suoi lati più oscuri e negativi, distruttivi e vendicativi.
Ed ora eccoli emergere, evocati dal tarlo, parimenti forti, inarrestabili e aggressivi in tutta la loro negatività.
Da quell’acqua ferma, quieta in superficie ma nera, nauseabonda e terrificante appena sotto, ecco emergere i suoi sentimenti più primitivi, più cruenti, più distruttivi, più vendicativi. Sentimenti alimentati e manovrati da demoni vendicatori: mostri abominevoli, indescrivibili e inarrestabili nella loro crudeltà, nella loro inumanità, nella loro ossessività, nel loro odio cieco freddo e spietato.
Ma doveva tenerli sotto controllo. Non doveva mostrare il suo vacillare, il suo soffrire per la declassazione, per l’umiliazione. Doveva tenere sotto controllo la sua rabbia. Non doveva mostrarsi né turbata, né dispiaciuta, né toccata dall’affronto perché lei era e rimaneva superiore grazie alle sue innumerevoli e insuperabili prerogative personali, prime fra tutte l’intelligenza e la fredda determinazione.
Lei non si sarebbe umiliata mai. Il rancore e la rabbia l’avrebbero sorretta e resa forte e infallibile e avrebbero alimentato il suo istinto di vendetta.
Si sarebbe seduta sulla riva del fiume e avrebbe aspettato, sicura di sé, spigliata, provocatoria, superefficiente e ammirata, e la sua occasione di vendetta le sarebbe passata accanto.
Dicono che la vendetta è dolce, ma se è cullata dal rancore e tenuta al caldo dall’odio per molto tempo, può diventare dolcissima.
Dieci anni sono un lungo tempo, in cui di avvenimenti, di cambiamenti se ne verificano molti. Si cresce, si matura, si diventa più filosofi, più transigenti, più altruisti, più generosi, più comprensivi e disponibili verso il prossimo. Si dimentica. Ci si addolcisce. Per alcuni è così.
Non per Vicky.
Lei no, non dimentica. Non perdona. Le sue ferite non si risanano. Il suo desiderio di vendetta cova sul fondo della sua putrida palude, vivo e acceso, come se il tempo si fosse fermato. Ben nascosto, tenuto in segreto, annodato con un laccio nero al suo amuleto: uno scorpione nero. Perché non diminuisca mai di intensità, perché non sfugga mai dai suoi ricordi e dai suoi pensieri.
Dieci anni è stata a guardare, a pavoneggiarsi nelle sue conquiste, nei suoi successi, nelle sue immancabili riuscite, macerandosi dentro per tutto quello stesso lunghissimo e interminabile tempo, consolandosi solo, di tanto in tanto, con uno sguardo sul laccio nero e sull’amuleto che la riscatterà.
È stata a guardare e subdolamente è riuscita ad accaparrarsi un posto in prima fila sulla riva del fiume. È stato difficile ed ha dovuto ingoiare dei bocconi amari per arrivare fin lì, ma il pensiero della realizzazione della sua vendetta e la gratificazione della ricompensa l’hanno resa ancora più paziente.
Pregusta già il dolce sapore della vendetta. Annienterà quell’essere insignificante che l’ha detronizzata, che l’ha buttata giù dall’Olimpo, che le ha tolto la deità agli occhi del suo compagno, che l’ha resa mortale.
Tutti gli altri venuti dopo – e sono stati tanti, perché il suo fascino aggressivo e sensuale ne ha irretiti, consumati, usati e distrutti tanti di uomini – non hanno contato, non hanno potuto colmare quella ferita, quella sconfitta, quell’abbandono, quella rinnegazione.
Anche lui pagherà per questo, ma prima pagherà lei, la “rivale”.
L’annienterà, la dilanierà, la artiglierà, la ferirà, la umilierà, perché è stata lei la fonte primaria della sua sconfitta, della sua umiliazione. La farà soffrire tanto, a lungo e profondamente, come ha sofferto lei. E anche di più, perché lei è più forte, più potente, più crudele. Lei è fredda e calcolatrice, ed è assetata ed è affamata di sensazioni forti, perverse e sadiche, oscure e malefiche.
Attende di saziarsi del dolore, della disperazione, della paura, della sconfitta, dell’umiliazione della sua “rivale”.
La chiama ancora così dentro di sé, anche se ora, dopo dieci anni di subdolo lavorio, sono diventate amiche e il suo nome sa essere Grace.
Odia anche il suo nome, che racchiude già dentro di sé grazia e dolcezza, qualità di cui lei non è stata mai dotata.
Odia la sua persona, odia tutto di lei, ma ha fatto buon viso a cattiva sorte e finalmente ora, che la sua “rivale” si fida di lei, potrà mostrarle il suo vero volto, potrà prendersi la sua rivincita, potrà rivelarle tutto il suo odio, potrà ferirla a morte, potrà soffocarla e annegarla nella sua palude limacciosa e putrida.
Ora la sua vendetta sarà completa e soddisfacente perché Grace è matura per soffrire. Grace si sente ormai al sicuro, protetta da tutto, sul suo “usurpato” piedistallo. Sì, proprio così. Il suo ex compagno l’ha posta su di un piedistallo, quello che aspettava a lei per diritto divino.
La farà crollare, la farà precipitare, e questo non solo metaforicamente. Ha già predisposto un suo piano. Ironia della sorte, o nemesi divina, c’è uno stagno appena fuori dal villaggio. Quante volte ha pregustato quel suo invitare Grace nel bosco per mostrarle delle piante rare che nascono solo lì, vicino alla riva dello stagno. Lei è una esperta di erbe medicamentose e Grace ha mostrato interesse ad imparare a riconoscerle e ad usarle.
Non sospetterà nulla. La seguirà tranquilla e ignara fino alla riva dello stagno e lei, finalmente, le mostrerà il vero volto del suo odio, la sua vera potenza, la sua superiorità, e si godrà, con la più grande soddisfazione, la sorpresa di Grace, la sua disperazione, la sua paura, prima di spingerla nello stagno ed affogarla, lentamente, molto lentamente, con le sue stesse mani.
Le terrà la testa sotto quell’acqua nera e putrida, la guarderà sozzarsi di quella melma, di quelle alghe putrescenti e maleodoranti e godrà nel vedere svanire la sua grazia e la sua dolcezza e la sua bellezza nella limacciosità di quel fondo oscuro, per lasciare posto, nello spasimo finale, alla paura, al terrore, alla morte definitiva: alla sua vittoria!
Una vendetta attesa a lungo, premeditata, che Vicky si gusterà a freddo, con i sensi tesi a percepirne e a non perderne la più piccola sfumatura. Ci deve riempire e colmare ben 10 anni di attesa!
*. * . * . *
Grace la precede, mentre si avviano verso lo stagno. È del tutto ignara di quanto l’attende. È allegra e ansiosa di andare di persona sul luogo dove crescono “le erbe magiche”, come le chiama lei. Nulla traspare dal suo sguardo sereno, dove è difficile leggere quello che Grace tiene nascosto per sé… Ha negli occhi il guizzo brillante di chi è profondamente soddisfatto per qualcosa…
Ed è veramente contenta mentre chiama Vicky. Anche lei, Grace, vuole insegnarle
qualcuno dei suoi piccoli segreti. Vuole mostrarle “un’erba magica”, come la chiama lei, che cresce un po’ più addentro nel bosco. Non ne conosce il nome, ma Vicky forse lo conoscerà e glielo potrà dire.
Lusingandola per le sue conoscenze e la sua esperienza, Grace sprona Vicky a seguirla, solo per un poco… il luogo non è lontano… e poi torneranno allo stagno.
Vicky, che ha tanto aspettato quel momento, non ha fretta: può aspettare ancora un poco e ride e gode dentro di sé. La sua vendetta è ormai una méta molto vicina.
La segue pregustando la sua imminente agonia.
Grace cammina veloce e agile e la chiama, già lontana dal punto in cui l’ha lasciata.
Vicky s’affretta per non perderla di vista e s’addentra nel bosco seguendo la sua voce ridente.
Ma ora il tono è cambiato. Non è più tanto ridente, è lievemente sarcastico ed ironico. Poi, di colpo diventa crudele, duro, terrificante, demoniaco.
Vicky ha appena il tempo di ascoltare e di capire le sue parole e già sa d’essere perduta. Grace, la sua “rivale”, “l’insignificante mortale donnicciola”, con la sua grazia e la sua dolcezza, l’ha attirata in una trappola mortale.
Il terreno sotto di lei è morbido, e viscido, vischioso, franante: è nel bel mezzo delle sabbie mobili.
Affonda, non ha scampo. Più si agita, più affonda. Lentamente, ma inesorabilmente.
Grace, con la vittoria scintillante negli occhi, la guarda sprofondare in quel putridume e con voce dura e crudele le sussurra: “Addio, Dea vendicatrice. Torna nel tuo elemento, tu e il tuo amuleto. Muori e sparisci, come volevi che morissi e sparissi io. Per dieci anni ho sopportato ed atteso in silenzio. Tu volevi vendicarti su di me? Tu, che mi hai già fatto subire la tua sconfitta? Che ingenua! Sarai pure intelligente e vendicativa come lo scorpione del tuo amuleto, ma non hai saputo guardare nei miei occhi: io sono lo scorpione vendicatore! Ti odio per avermi fatto subire la tua sconfitta! La mia vita è stata rovinata dalla tua sconfitta! Maledetto il giorno in cui sei caduta dal tuo piedistallo! Dovevi restarci e lasciarmi vivere la mia vita lontano da te… e soprattutto da lui che niente altro voleva che sacrificarmi e sostituirmi a te! Muori e soffri quello che ho sofferto io nel dover prendere il tuo posto come “perfetta Dea immortale”… Io volevo essere solo una comune e felice mortale!”