Di Roberto Fronzuti Direttore dell’ Eco di Milano e Provincia 

In una bella giornata di ottobre ero a Firenze. Mi venne voglia di andare agli Uffizi per ammirare la “Battaglia di San Romano” di Paolo Uccello e poi raggiungere il “Chiostro verde” di Santa Maria Novella per le “Storie di Noè”. La fortuna non mi aiutò: gli Uffizi erano invalicabili per la ressa dei visitatori in attesa ed il Chiostro verde era chiuso per restauri. Allora mi recai da Alinari e comperai alcune fotografie delle opere di Paolo Uccello, di questo pittore favoloso e contraddittorio che il Vasari definì di “sofistico ingegno dotato”.
Nella solitudine della mia stanza d’albergo, guardai quelle foto tra cui l’autoritratto di maestro Paolo: volto indurito dalla insoddisfazione, uomo di non facile carattere, capriccioso ed amante della solitudine.

Lo evocai e ne seguì questo immaginario dialogo.

Maestro, di Voi si hanno notizie contraddittorie. Come di un pittore perduto alla ricerca della prospettiva, allo studio di nuove forme e colori. Persino alcune attribuzioni sono discusse. Vi definirono solitario, introverso, melanconico e, per i vostri studi sulla prospettiva, trascurante delle belle figure. Alteraste un poco il mondo della natura, sebbene vi dimostraste molto ammirato e rispettoso verso di essa…

“Amai la natura e gli animali. I miei concittadini di Firenze mi chiamarono Uccello o degli Uccelli perché non facevo altro che dipingerne. Il mio vero nome però era Paolo di Dono. In quanto al fatto che fui dedito alla ricerca ed allo studio, soprattutto della prospettiva, è vero. Ogni tanto chiedevo lumi al mio grande amico Giovanni Manetti, un famoso matematico, poi mi chiudevo in casa a riempire le mie carte e le mie tavole di punti e cerchi, cercando di ridurre i movimenti degli uomini ed i loro consueti gesti a semplici linee.
In quel tempo operavano autentici giganti dell’arte e delle scienze: Ghiberti, i Della Robbia, Brunelleschi, Donatello, il citato Manetti. Tutti questi, chi più o chi meno, irridevano i miei studi sulla prospettiva. Se sapesse quante critiche dovetti sopportare in quella mia bottega di piazza San Giovanni e in quella mia casa in via della Scala… Ma fui forte e orgoglioso anche se povero e continuai per la mia strada. Infatti la pittura non era per me costruire delle belle figure: a lungo andare il meraviglioso porta alla perfezione, la perfezione alla maniera e infine tutto questo annoia. Si è poi parlato della mia mania di dipingere gli uccelli. Seguivo con convinzione la morale di rivolgere il mio talento alla comprensione delle cose naturali scoprendo che i colori come le linee in natura sono diversi. Ecco perché la scelta degli uccelli”.

Devo dedurre che Voi Maestro passaste alla storia come un antesignano della prospettiva. La vostra “Battaglia di San Romano” ne è forse l’esempio più significativo anche se il lavoro, preso nel suo complesso, non è facile e di normale lettura…

“Circa la Battaglia di San Romano agli Uffizi si possono visitare solo tre pannelli, gli altri due sono al Louvre ed alla National Gallery. L’intera opera mi fu commissionata dal Medici per il loro palazzo fiorentino. Le scene commemorano la vittoria conseguita dalle forze di Firenze su quelle senesi nel 1432. Qui mi sono applicato per creare uno spazio pittorico secondo le regole della prospettiva. Le linee essenziali dello schema vengono suggerite dalle lance spezzate disposte sul terreno e la spazialità viene conquistata dai soldati e cavalli visti di scorcio in primo piano. I colori, i gesti e le pose delle figure sono volutamente contrastanti. I cavalli che scalciano e s’impennano, presentati di tre quarti e di profilo accentuano il movimento della scena che raggiunge il massimo nell’evento centrale quando il condottiero senese Bernardino della Ciarda, colpito da un colpo di lancia, viene disarcionato. Vede, posso comprendere lo stupore da cui viene colto lo spettatore per alcune collocazioni figurative e coloristiche apparentemente fuori posto. Ma sono contrasti da me creati per fissare meglio il dramma della battaglia nell’immobilità dei cavalieri e dei loro gesti negli attimi che precedono la morte. La conoscenza della prospettiva mi è servita per dominare tutta la composizione e rendere assurdi i particolari: gli abbigliamenti, i piumaggi, i vari oggetti sparsi qua e là. Ma ognuna di queste cose ha un punto di fuga, il che si sposa con una valutazione un poco strabica del tutto: lo strabismo di Venere, quello che rende impenetrabile il vero volto della dea. Nella ‘Battaglia’ io non voglio raggiungere nessuna emozione con i mezzi drammatici, diciamo così, consueti, ma con la descrizione dei personaggi che sembrano stare alla rinfusa; in realtà ogni elemento ha il suo significato e la sua collocazione matematica”.

Ora Maestro comincio a capire meglio ed anche perché avete incluso il vostro amico Manetti nella tavola dove voi vi siete riprodotto tra i grandi pilastri dell’arte fiorentina: Giotto, Donatello, Brunelleschi rappresentanti la pittura, la scultura, l’architettura.

“Vede da Manetti ho appreso che ogni dipinto di una certa caratura contiene una o più equazioni matematiche risolte. Penso a Piero della Francesca, a Leonardo da Vinci, a Raffaello, a Mantegna, fino allo straordinario Caravaggio. Certo molto più avanti con l’avvento di Picasso si arriva a spiegare la pittura con la stessa pittura. Ma Picasso troppo affrettatamente ha messo in soffitta la tecnica della prospettiva. Si può essere ottimi pittori moderni non ripudiandola del tutto. Come feci io del resto. Non a caso vengo considerato dalla critica più rigorosa come precorritore del gusto moderno e addirittura della pittura cubista e metafisica. So però che altri pongono in risalto le contraddizioni della mia personalità artistica definendomi semi-artista, una sorta di scienziato che si rivolge alla pittura per risolvere un complesso problema spaziale. In realtà in me è sempre albergato un certo spirito scientifico. Non a caso trascorsi molti anni della mia vita ad analizzare fenomeni e leggi della prospettiva. Infatti i miei dipinti, ed in primis la Battaglia di San Romano, rivelano questa costante e faticosa ricerca. Nessuno può togliermi il merito di avere trasformato la visione lineare-coloristica dei gotici in visione volumetrica-coloristica. E ciò per mezzo della prospettiva, che fu per me un travaglio serio e meditato”.

Insomma Maestro, Voi foste un ricercatore, o meglio una sorta di alchimista che nella solitudine della sua dimora combinava e fondeva per ottenere effetti diversi e tramutare in forma nuova le figure, i piani, le proporzioni.

“La mia vera passione era la prospettiva. Per me la pittura non fu che l’occasione per risolvere problemi e sormontare le difficoltà di sempre. Nelle mie composizioni tracciai più linee possibili per avviare l’occhio nel senso della profondità spaziale. Mi spiego meglio. Cavalli riversi, guerrieri morenti, lance spezzate e quant’altro mi servirono per realizzare i miei impianti di linee matematiche convergenti. Masaccio, per esempio, ha piegato la prospettiva alla sua visione plastica. Piero della Francesca ha piegato la prospettiva agli esatti criteri architettonici e matematici. La mia prospettiva è di tendenza assolutamente figurativa-irrazionalista anche se si sviluppa tra i paletti di una volontà di scoprire nuovi modi di rappresentazione pittorica. Il Masaccio ed il ‘Divin Piero’ furono dei grandi ma alla prospettiva giunsero prima di me. Però sia i loro dipinti come i miei sono immersi nella storia, sono opere storiche, con una idea in più. Le porto ad esempio il mio affresco raffigurante Giovanni Acuto in Santa Maria del Fiore. È opera storica, ove la staticità della composizione è solo apparente perché mossa dalla costruzione prospettica. Vede la vita è tutta una ricerca, in ogni campo. Fa parte dell’uomo sapere il più possibile per cercare di svelare l’immenso mistero della vita ed il suo senso. Incredibile quel che rispose Michelangelo ormai vecchio, quando gli domandarono: ‘… Dove vai con questa neve? A scuola – rispose – per tentare d’imparare qualcosa in più di questa vita…’”.

Gli anni trascorsero. Nel 1475 muore nel giaciglio dello “spedale” Paolo di Dono, noto in vita come Paolo Uccello. Teneva stretto nel pugno un brandello di pergamena coperto di linee: andavano dal centro alla circonferenza e dalla circonferenza al centro. Paolo Uccello artista o scienziato? Questa è la domanda che si è posta da sempre la critica. In effetti i due aspetti coesistono soprattutto nelle sue opere più grandi: la “Battaglia di San Romano” ed il “Diluvio Universale”. L’opera di Paolo di Dono è sicuramente da annoverarsi tra le maggiori e innovative espressioni di pittura di tutto il Quattrocento.
La sua affascinante poetica guardò oltre, fino ai nostri tempi.

 

pH Wikipedia

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