“La verità è raramente pura e mai semplice.” – Oscar Wilde
In un’epoca in cui la realtà spesso supera la fantasia, il mondo dell’informazione ci regala un’altra perla di incomprensione, con un tocco di irriverente ironia. Parliamo della recente dichiarazione di Ilaria Salis, europarlamentare dei Verdi-Sinistra Italiana, che ha deciso di difendere con entusiasmo una maestra licenziata per aver venduto immagini hard su OnlyFans, senza però prendersi il tempo di leggere, comprendere e riflettere sulle motivazioni alla base di questo licenziamento.
La vicenda, che ha già sollevato un’onda di polemiche, ha visto la Salis scendere in campo come paladina di un diritto che, apparentemente, non ha bisogno di ulteriori dettagli. “La libertà di espressione e il diritto di fare ciò che si vuole con il proprio corpo devono essere tutelati!” ha dichiarato con ardore, un po’ come se stesse parlando di un’opera d’arte alla Biennale di Venezia piuttosto che di una vicenda legata alla professionalità di un’insegnante.
Da un lato, non possiamo fare a meno di apprezzare la sua fermezza nel sostenere il diritto alla libertà individuale. Tuttavia, il contesto in cui questa dichiarazione è stata fatta merita un’analisi più approfondita. La maestra licenziata non solo gestiva un account OnlyFans, ma lo faceva mentre continuava a insegnare a bambini delle scuole elementari. Ora, se è vero che ogni persona ha il diritto di scegliere come vivere la propria vita privata, è altrettanto vero che il ruolo pubblico di un insegnante comporta delle responsabilità specifiche, specialmente quando si tratta di trasmettere valori e costruire un ambiente educativo sicuro e rispettoso. E se un’insegnante dedica del tempo alla gestione di contenuti che potrebbero risultare inappropriati per l’età dei suoi alunni, c’è da chiedersi se sia davvero l’immagine di un modello educativo che vogliamo sostenere.
La Salis, purtroppo, non ha considerato questa sfumatura e ha deciso di lanciarsi in una difesa generica, senza entrare nel merito della situazione. Ha parlato di libertà, ma ha tralasciato la questione cruciale: quella della compatibilità tra il comportamento privato e le aspettative del pubblico. Non si tratta di condannare una scelta personale, ma di valutare come questa possa influire sul ruolo educativo e sul rapporto di fiducia tra l’insegnante, gli studenti e le loro famiglie. Se davvero ci fosse stata una riflessione attenta sulle implicazioni sociali di questo comportamento, la Salis avrebbe potuto formulare una posizione più equilibrata e meno superficiale.
Ma niente paura, la Salis non si è fatta distrarre da queste banalità. La sua dichiarazione, purtroppo per lei, ha il sapore di un paradosso da sitcom, in cui si difende l’indifendibile senza nemmeno farsi un’idea precisa del contesto. Invece di entrare nel merito della questione, si è limitata a un applauso generale alla libertà individuale, senza considerare che i genitori degli studenti e la direzione scolastica potrebbero, legittimamente, non apprezzare un tale “contesto parallelo” in cui il professore gioca un ruolo un po’ più privato e “flessibile”.
E qui arriva l’elemento ironico di tutta la faccenda. L’europarlamentare ha preso una posizione netta, ma sembra che non si sia mai fermata a pensare che, forse, il mondo non funziona sempre come ci piacerebbe che fosse. La libertà individuale è indubbiamente un diritto fondamentale, ma la sua applicazione all’interno di una struttura pubblica come quella scolastica richiede una riflessione più articolata. Non basta infatti dichiarare un principio astratto, senza confrontarsi con le realtà che questo principio implica.
La sua difesa sembra un tentativo di aggirare il problema con una scorciatoia, un po’ come se un cuoco difendesse la sua scelta di cucinare piatti con ingredienti scaduti semplicemente perché “ogni uno è libero di usare ciò che ha in dispensa”. Un atto di coraggio? O semplicemente un’interpretazione da manuale dell’autoreferenzialismo? La politica dovrebbe essere fatta di equilibrio, di ragionamenti logici che tengano conto delle sfumature e delle implicazioni delle proprie azioni. Invece, la Salis sembra aver preso una posizione che suona più come una reazione impulsiva, priva di una riflessione profonda sulla complessità della situazione.
Tutto questo, ovviamente, ci lascia con una sola domanda: fino a che punto l’ironia della difesa di cause nobili può trasformarsi in un’auto-ironia che, se non controllata, diventa una vera e propria figuraccia? In una situazione come questa, non si tratta di una battaglia ideologica sulla libertà individuale, ma di una questione pratica: la compatibilità tra il ruolo pubblico di insegnante e le scelte individuali che potrebbero influenzare la percezione della sua professionalità. E qui, purtroppo, la Salis sembra aver fatto un buco nell’acqua, non riuscendo a bilanciare i principi di libertà con quelli di responsabilità professionale.
Forse la Salis avrebbe potuto prendersi una pausa dalle sue battaglie per concentrarsi su quella che sembra essere una questione che merita ben più di una riflessione superficiale. Potrebbe essere utile, in futuro, analizzare più a fondo le situazioni prima di lanciarsi in difese senza conoscerne i dettagli. E, soprattutto, ricordarsi che la politica, nel suo ruolo di rappresentanza e mediazione, dovrebbe saper leggere tra le righe e capire le implicazioni di ogni singola scelta. Non si può sempre fare una “bella figura” prendendo le parti di chi grida più forte senza prima aver compreso a fondo la situazione.
Il dibattito non è sulla libertà di ognuno di fare ciò che vuole con la propria vita privata, ma sulla compatibilità tra il comportamento individuale e le necessità di un contesto professionale che impone delle responsabilità. In definitiva, la Salis ha forse scelto di difendere una causa che, purtroppo, ha rischiato di trasformarsi in una vera e propria figuraccia, proprio perché non ha preso in considerazione la complessità della questione.
Ah, la politica, quella che sa sempre come fare una bella figura senza preoccuparsi troppo di leggere tra le righe.
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