“Abbiamo fatto l’esperienza di un assaggio di vivere in uno stato autoritario”. Così Matthew Dallek, docente di storia politica alla George Washington University, in un’intervista concessa alla Public Broadcasting System (Pbs), la rete no profit statunitense di televisione pubblica. Il professor Dallek ha continuato contrastando i primi 100 giorni della presidenza di Donald Trump con quelli di Franklin Delano Roosevelt (FDR). Il 32esimo presidente nei primi cento giorni riuscì a fare approvare una lunga serie di leggi che spianarono la strada per superare la Grande Depressione. Il presidente attuale, invece, ha ignorato il Congresso, governando da solo mediante ordini esecutivi che hanno raggiunto più di 200. In effetti, Trump ha lavorato incontestato dalle due Camere legislative con maggioranza repubblicana facendo il bello e il cattivo tempo come fanno leader di governi autoritari.
I primi 100 giorni della presidenza sono spesso caratterizzati da una “luna di miele” per l’inquilino della Casa Bianca. Gli elettori vogliono che il presidente abbia successo per il bene del Paese. In questo caso, però, sembra che la luna di miele sia finita. Gli americani, secondo i sondaggi, non sono soddisfatti. L’indice di gradimento di Trump è sceso al 39% secondo un sondaggio del Washington Post/Abc. Trump riceve voti molto bassi anche sulla sua gestione dell’economia che in campagna elettorale era il suo punto forte. Ciò si deve in grande misura con la gestione dei dazi che lui vede erroneamente come imposte agli altri Paesi che poteva imporre senza nessuna conseguenza.
Difatti il caso dei dazi nelle prime settimane ha causato un crollo dei mercati borsistici del 15 per cento in pochi giorni. Se alcuni Paesi hanno dimostrato preoccupazione la Cina ha reagito in maniera risoluta e ha controbattuto agli aumenti dei dazi annunciati da Trump. Appena si sono sentite voci di preoccupazione da alcune aziende Trump ha fatto marcia indietro escludendo i dazi per prodotti tecnologici dalla Cina. Poi ha smesso di parlare del licenziamento di Jerome Powell, il presidente della Federal Reserve, che Trump voleva cacciare perché non aveva ridotto i tassi di interesse.
Voci di recessione sono venute a galla e dunque il 47esimo presidente ha ricalibrato le sue parole annunciando una sospensione dei dazi per tre mesi. I mercati di Wall Street si sono ripresi anche se fino ad oggi rimangono a meno 5 percento per il 2025, leggera ripresa, ma ancora non bene. I danni però sono già evidenti. Trump ha dato chiari segnali che non ha il polso della situazione e le sue parole sono poco credibili.
Esattamente come ha fatto con i dazi Trump ha agito da solo con la mano dura sull’immigrazione, con minacce alle università, i media, e le istituzioni. Ha usato le leve del potere per mantenere la sua promessa di vendetta annunciata in campagna elettorale. Tutti i “corrotti” saranno puniti. Lo sta facendo usando i suoi collaboratori che lui ha scelto usando il criterio principale della fedeltà per mettere in atto i suoi desideri con poca opposizione.
Nel caso dei migranti l’amministrazione Trump ha abusato i suoi poteri facendo deportare individui che in alcuni casi non lo meritavano. Se il potere legislativo è rimasto a guardare la magistratura ha frenato alcuni eccessi. Un migrante salvadoregno, infatti, deportato per errore dall’amministrazione Trump, ha persino costretto la Corte Suprema ad emettere un ordine di “facilitare” il ritorno negli Usa. Trump però non lo ha fatto. Altri giudici federali hanno minacciato rappresentanti di Trump di oltraggio alla corte che potrebbe sfociare in carcere per abusi del sistema. La Corte Suprema ha persino dato un ordine di emergenza solo dopo poche ore di un ricorso, bloccando alcune deportazioni che stavano per essere messe in atto.
Ma nemmeno la magistratura è riuscita a bloccare alcuni degli atti più crudeli dell’Immigration and Customs Enforcement, (Ice), l’agenzia del governo per il controllo dell’immigrazione e le frontiere. Nelle sue retate agenti dell’Ice hanno anche arrestato e deportato individui con cittadinanza americana. Colpiscono di più le deportazioni di alcuni bambini deportati con le loro madri 24 ore dopo essere stati arrestati senza l’opportunità di fare ricorso alla magistratura. In effetti, se arrestati dall’Ice la deportazione avviene quasi immediatamente. Un bambino di 4 anni e un altro di 7, cittadini americani, e un altro di 4 anni malato di cancro le cui cure sono state interrotte, sono stati deportati. Le notizie di questi casi riportate dai media non sembrano avere nessun impatto sulla crudele gestione dei migranti.
Nonostante qualche freno imposto dalla magistratura Trump non dà nessun segno di frenare gli eccessi. Proprio in questi giorni l’Fbi ha arrestato una giudice del Wisconsin accusata di avere impedito l’arresto di un migrante nell’aula del suo tribunale. Un messaggio ai magistrati che anche loro possono essere colpiti anche se Trump ha detto che obbedirà agli ordini della Corte Suprema. Un altro ex giudice nel New Mexico e sua moglie sono accusati di avere ospitato tre venezuelani ricercati. Questi arresti non significano necessariamente colpevolezza ma servono a mandare un messaggio minaccioso a tutti i giudici. Questi abusi preoccupano gli americani. Il sondaggio del Washington Post/Abc ci informa che il 53 percento non approva l’operato di Trump sull’immigrazione.
Nel suo primo mandato Trump aveva agito in maniera potenzialmente illegale come ci confermano i due impeachment subiti. Nel suo secondo mandato il 47esimo presidente si sente più spavaldo in parte per avere vinto non solo l’electoral college ma anche il voto popolare. Inoltre il suo partito ha la maggioranza in ambedue le Camere legislative. Trump si sente dunque sicuro di sé e nulla sembra preoccuparlo. In una recente intervista a Time Magazine ha dichiarato che “governa gli Stati Uniti ma anche il resto del mondo”. Si sbaglia ma le sue parole hanno influenza a volte proprio contro i suoi piani. L’elezione di Mark Carney del partito liberal a primo ministro del Canada che ha sconfitto il candidato di destra (e trumpiano) Pierre Poilievre ce lo conferma. Il candidato conservatore era avanti di una trentina di punti nei sondaggi nel mese di gennaio. Le minacce di dazi al Canada e l’anti-trumpismo dei canadesi alimentati dal presidente Usa hanno contribuito notevolmente all’elezione di Carney, il candidato che ha promesso di difendere il suo Paese dagli eccessi del presidente Usa.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.
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