L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco 

Il silenzio di Giorgia Meloni sulle recenti dichiarazioni di Trump contro Zelensky rappresenta un punto di svolta nella sua strategia di politica estera. Quello che emerge dall’analisi della situazione attuale è un quadro complesso dove il doppio gioco diplomatico rischia di trasformarsi in un boomerang politico per la premier italiana.

Il mutismo della Meloni sugli insulti rivolti da Trump a Zelensky (“mediocre” e “comico”) appare particolarmente eloquente se confrontato con le numerose manifestazioni di “sostegno a 360 gradi” che la premier aveva pubblicamente espresso al presidente ucraino. Questo silenzio non è una semplice omissione, ma riflette un dilemma diplomatico concreto: come mantenere i rapporti con la nuova amministrazione americana senza tradire gli impegni presi con Kiev?

La strategia che aveva permesso alla Meloni di posizionarsi come ponte tra Stati Uniti e un’Europa non più a guida franco-tedesca mostra oggi tutte le sue fragilità. Chi cerca di giocare su più tavoli contemporaneamente rischia inevitabilmente di restare bruciato quando le circostanze cambiano. Come ricorda il vecchio adagio della geopolitica: “Non esistono alleanze permanenti, solo interessi permanenti” e gli interessi dell’Italia sembrano ora sospesi in un limbo diplomatico.

La premier si trova ora in una posizione paradossale: incapace di difendere pubblicamente Zelensky per non contraddire Trump, ma ugualmente impossibilitata a rinnegare il sostegno all’Ucraina senza perdere credibilità internazionale. Nella geopolitica contemporanea, questa è la classica “trappola del falco e della colomba” – quando entrambe le posizioni comportano costi significativi.

Mentre Meloni resta in silenzio, figure come Macron tornano protagoniste, come dimostra la sua presenza alla Casa Bianca insieme al premier britannico Starmer. È l’amara ironia della situazione: proprio quando l’Italia sembrava aver guadagnato un ruolo centrale nelle dinamiche transatlantiche, i vecchi equilibri si ricompongono, lasciando Roma in una posizione marginale.

Ad aggravare la situazione per la premier, le mosse di Salvini che non ha esitato ad approfittare del momento di debolezza per posizionarsi come sostenitore entusiasta di Trump. La proposta di Salvini di assegnare il Nobel per la Pace al nuovo presidente americano rappresenta un chiaro tentativo di scavalcare Meloni nei rapporti con Washington, minando ulteriormente la sua autorità. Come sanno bene gli analisti di politica interna, “il vuoto in diplomazia viene sempre riempito” e gli alleati-rivali della Meloni non hanno perso tempo.

Sebbene la politica estera raramente influenzi direttamente il voto degli italiani, il prestigio internazionale costruito dalla Meloni ha contribuito significativamente ai suoi indici di gradimento. Per recuperare terreno, la premier potrebbe dover riorientare la sua strategia verso l’Europa, soprattutto dopo le elezioni tedesche. Paradossalmente, proprio quando Trump sembra allontanarsi dall’Europa, l’Italia potrebbe ritrovare centralità nel contesto europeo a patto che la Meloni abbandoni l’ambiguità diplomatica che ora la penalizza.

La situazione attuale dimostra quanto sia pericoloso il doppio gioco in politica estera. Chi cerca di accontentare tutti finisce spesso per non accontentare nessuno. Nella complessa scacchiera della diplomazia contemporanea, il vero potere risiede non tanto nella capacità di stringere alleanze, quanto nella credibilità di mantenerle nel tempo. Gli esperti di relazioni internazionali lo definiscono “il capitale fiduciario” – una risorsa che si accumula lentamente ma può evaporare in un istante.

La Meloni si trova ora davanti a un bivio: definire una posizione chiara anche a costo di scontentare qualcuno, oppure rischiare di bruciare il capitale politico faticosamente accumulato negli ultimi anni. Nel nuovo scenario geopolitico che si va delineando, solo chi saprà mantenere una linea coerente e credibile potrà sopravvivere alle turbolenze diplomatiche che ci attendono nei prossimi mesi.

Come ha dimostrato ripetutamente la storia delle relazioni internazionali, “nell’era dell’interdipendenza globale, l’ambiguità strategica offre riparo temporaneo, ma raramente protezione permanente”. La lezione per la premier italiana è chiara: in politica internazionale, l’ambiguità può offrire vantaggi temporanei, ma alla lunga presenta un conto salato.

E quel conto, nel caso della Meloni, potrebbe arrivare prima di quanto previsto.

pH iStock senza royalty

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