Attualità e cronaca

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Politica

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Riflettendo sull’indomani israeliano-palestinese
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Cultura e società

Eppur riusciremo a vedere i potenti passare e il giornalismo restare ..
Eppur riusciremo a vedere i potenti passare e il giornalismo restare ..

L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco

I movimenti di governo ,sotterranei, subdoli, ipocriti e autoritari tra leggi bavaglio ,pro-vità nei consultori , abolizione dell’ abuso d’ ufficio, codice della strada per il quale ti ritirano la patente anche se sei lucido e ministri vari che fanno o sono paraculetti , hanno oggi il loro apice nelle dichiarazioni del presidente del Lazio Francesco Rocca che ha utilizzato la sede istituzionale del Consiglio regionale per un inqualificabile attacco alla stampa.

In particolare sotto accusa è finito il giornale Repubblica, a causa di alcuni articoli pubblicati e a lui sgraditi.

Una reazione a dir poco scomposta, in una sede istituzionale, ad articoli in Cronaca di Roma sulla sanità che riportano tra l’altro un fatto ammesso dallo stesso Rocca: la differita assunzione di infermiere incinte vincitrici di concorso pubblico.

Francesco Rocca, si spinge a manifestare la sua ‘gioia per la velocità con cui il giornale Repubblica perde copie’ evocandone persino la chiusura.

Beh,che dire è evidente che un inaccettabile intolleranza nei confronti di voci dissenzienti è preoccupante perché implicitamente mira a contrarre il pluralismo dei media. Le figure pubbliche di “alto livello” sono invece chiamate a tollerare livelli di critica più aspri, proprio in funzione dell’altissimo ruolo che ricoprono nelle nostre società. Soprattutto se quelle critiche vengono formulate in relazione a questioni di pubblico interesse.

Questo governo non ammette la diversità di vedute e non accetta il dissenso

In un Paese dove, fino a prova contraria, esiste la libertà di pensiero e di espressione, il giornalismo viene messo alla gogna perché non conforme alle idee illiberali del governo.

Invece di valorizzare il giornalismo d’inchiesta, si mette sotto inchiesta il giornalismo, e con lui il diritto dei cittadini ad essere informati

Usciva nel 1976 il capolavoro “Tutti gli uomini del presidente” (All the President’s Men) diretto da Alan J. Pakula e interpretato da due immensi attori: Dustin Hoffman e Robert Redford. Il film si fondava sull’omonimo saggio scritto dai giornalisti Bob Woodward e Carl Bernstein, e riguardava l’inchiesta del Washington Post che nel 1974 portò allo scandalo Watergate e alle dimissioni di Richard Nixon da presidente degli Stati Uniti.

Giusto 50 anni fa, quella maniera di fare giornalismo d’inchiesta anche grazie a talpe (chiamate allora gole profonde) riuscì a smascherare trame oscure di una potentissima amministrazione, quella del guerrafondaio Richard Nixon.E del suo sodale Kissinger, da poco deceduto.

È lo stesso lavoro di inchiesta che Julian Assange ha portato alla luce in questi anni, al quale tanti giornalisti hanno cercato di attingere, stimandone la portata.

Assange ha operato in nome della libera informazione, che nei regimi totalitari è vietata.

Vietare è l’imperativo anche nelle libere democrazie d’Occidente

Per questo piena solidarietà a Repubblica al giornalismo di 50 anni fa di Woodward e di Bernstein, a quello di Report Rai3 in questi anni. Viva sempre Anna Politkovskaia che ha pagato con la vita per i suoi reportage sulla Cecenia.

E così la lungimiranza di Joseph Pulitzer ,che nel 1902 aveva affermato : ”La democrazia e la libera informazione moriranno o progrediranno insieme” , resta un campanello d’allarme, anzi una sequenza di campane a martello da ascoltare sempre, prima che sia troppo tardi

Il rispetto delle attività professionali dei giornalisti dovrebbero essere la componente essenziale di un sistema di libertà.

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Brunello Rondi, un Autore rinascimentale
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Ambiente

Dall’Aja viene un monito
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di Raffaello Morelli

Il 12 novembre scorso, in Olanda la Corte d’Appello dell’Aja ha sentenziato nella causa tra la Shell e gli attivisti climatici. Una sentenza di grandissimo rilievo generale, sia nella materia che circa gli assetti climatici.

Il tema della causa era la richiesta degli attivisti di obbligare la Shell a ridurre le emissioni di CO2 in modo drastico. La Corte d’Appello ha sentenziato che un’impresa privata non può venire costretta a modificare la propria strategia commerciale per soddisfare la lotta ai cambiamenti cimatici. Dare indicazioni al riguardo, anche restrittive, spetta solo agli Stati, a parte la questione oggi assai controversa che ciò sia efficace per arrivare nel 2050 all’obiettivo della neutralità carbonica.

Ora, è del tutto evidente che in materia l’insieme degli Stati è molto cauto. Ed è comprensibile. Le energie fossili sono ad oggi indispensabili per i bisogni umani (oltre l’80% del fabbisogno energetico, con la Cina il più grande consumatore), la disponibilità di rinnovabili cresce molto lentamente nei paesi emergenti e si è ancora una volta dimostrata (in Europa con la guerra in Ucraina) l’importanza strategica di disporre di catene di approvvigionamento energetico duttili e diversificate. Infine c’è la promessa di Trump di sviluppare parecchio la produzione di idrocarburi negli USA, nell’intento appunto di anteporre l’indipendenza energetica agli obiettivi climatici.

La battuta d’arresto dell’Aja – al di là delle protestra gli attivisti del clima – non significa bloccare l’impegno nel settore climatico. Indica invece l’urgenza di ripensarne tempi, procedure e modalità. Riuscire a ridurre la produzione di CO2 non è un obiettivo da imporre con precetti moralistici o con sogni salvifici. Richiede un’innovazione complessa sotto il profilo tecnologico e sotto quello degli stili di vita diffusi.

Per tale percorso, ci vogliono come prima cosa il tempo per agire e capitali di investimento molto grossi. L’obiettivo è fare ricerca, è raggiungere nuova conoscenza tecnica da applicare nei vari campi di produzione e da diffondere con comportamenti adattati ai nuovi strumenti, molto più rispettosi degli equilibri ambientali e più sostenibili in termini economici. Smettiamola con l’entusiasmo per transizioni ambientali non ancora ben valutate nei risvolti globali e che non danno certezza di effettivi risparmi complessivi quanto a CO2. Un esempio è la precipitosa corsa all’auto elettrica, senza avere approfondito i reali costi d’ogni tipo dell’intero processo su scala mondiale e i complessi rapporti geopolitici. Un altro esempio è l’aver trascurato la questione dello stoccaggio che è inaggirabile per le rinnovabili, intermittenti per natura. Insomma, la questione climatica è troppo importante e complessa per poter essere affrontata in termini ideologici lasciando da parte quelli sperimentali. Oltretutto fingendo di non vedere il grosso ostacolo dei paesi BRICS , concentrati sulla crescita economica e disattenti alle questioni ambientali.

Già tutti questi sono problemi di grande portata trascurati dagli attivisti che ricorrono all’ideologia verde. Poi esiste il dato di fatto cui la sentenza dell’Aja ha correttamente detto stop. Troppi del mondo ambientalista, della politica ideologica e della religiosità messianica, vorrebbero stabilire come affrontare gli assetti climatici non in base ai dibattiti e alle decisioni dei cittadini bensì usando la scorciatoia del dar più potere ai Tribunali, pensati garanti dell’ imporre il presunto bene comune ambientale. Ma tale scorciatoia – oltre ad aggirare principi costituzionali chiave – depista e vanifica lo sforzo del far maturare nei cittadini la maggior consapevolezza riguardo quel rapporto tra condizioni di vita e norme della convivenza , pur sempre da aggiornare, che è la vera molla del confronto ambientale nella libertà e dell’effettivo progredire civile.

Info Raffaello Morelli
Per lunghi anni esponente del Partito Liberale Italiano, del quale è stato Vicesegretario nazionale, è stato Consigliere Regionale per la Toscana. Tra i promotori del referendum sulla responsabilità civile dei magistrati e di quello per la riforma Democratica, nonché del referendum per la Riforma ELettorale del 1992. E’ stato vice Presidente del Comitato contro il referendum Renzi del 2016 e componente del Comitato per il SI alla Riduzione dei parlamentari nel 2021.

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