di Carlo di Stanislao 

“Il potere tende a corrompere, e il potere assoluto corrompe assolutamente.”
— Lord Acton

Von der Leyen e la mozione di sfiducia del 10 luglio

Il prossimo 10 luglio 2025 il Parlamento europeo sarà chiamato a esprimersi su una mozione di sfiducia nei confronti della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Al centro della crisi politica c’è il cosiddetto “Pfizergate”, ovvero la gestione opaca della trattativa miliardaria tra Bruxelles e il colosso farmaceutico Pfizer durante la pandemia. Il voto, pur con scarse possibilità di successo numerico, rappresenta un momento di snodo nella fiducia tra cittadini, istituzioni e leadership europea.

Pfizergate: messaggi nascosti e opacità decisionale

La mozione nasce da un’inchiesta che ha rivelato uno scambio diretto e riservato tra Ursula von der Leyen e Albert Bourla, CEO di Pfizer, relativo all’acquisto di vaccini per oltre 35 miliardi di euro. Le comunicazioni, condotte tramite sms e mai rese pubbliche, sono oggetto di una procedura legale. Il tribunale dell’Unione europea ha ordinato la consegna dei messaggi, evidenziando una violazione del principio di trasparenza.

Chi ha promosso la sfiducia e con quali motivazioni

A promuovere l’iniziativa è stato l’europarlamentare Gheorghe Piperea, del gruppo ECR, affiancato da esponenti della destra e da dissidenti nei gruppi centristi. L’obiettivo è punire l’opacità della Commissione e riportare il Parlamento al centro del processo decisionale. Tuttavia, l’appoggio resta limitato: mancano PPE, S&D e Renew, senza i quali la mozione non può passare.

Le reazioni della stampa italiana

Il Fatto Quotidiano sottolinea l’imbarazzo del PPE e l’ambiguità della CDU tedesca. Evidenzia le contraddizioni tra il sostegno politico a von der Leyen e le accuse che gravano su di lei.

Il Manifesto critica lo squilibrio tra Commissione e Parlamento e denuncia la deriva tecnocratica delle istituzioni europee.

La Stampa riporta la crescente insofferenza nei gruppi parlamentari verso il “metodo von der Leyen” e il malessere interno al gruppo socialista.

Corriere della Sera mette in evidenza lo spostamento dell’agenda politica verso l’industria bellica europea, a scapito di clima e diritti sociali.

Il Sole 24 Ore analizza le ricadute economiche e industriali della crisi. Segnala i timori degli industriali per la burocrazia green e la carenza di una vera politica industriale europea.

Il Messaggero osserva l’effetto della vicenda sull’opinione pubblica italiana, evidenziando la crisi di fiducia verso le istituzioni.

Il Tempo accusa von der Leyen di concentrare troppo potere e denuncia la sua linea filoamericana e l’isolamento politico.

I sospetti sulla transizione elettrica

Tra i motivi del malcontento vi è anche la gestione della transizione elettrica. La spinta della Commissione verso l’elettrificazione dell’automotive europeo, con scadenze strette e vincoli ambientali severi, viene giudicata penalizzante per le case europee e favorevole a produttori asiatici, soprattutto cinesi, che dominano le batterie e inquinano molto di più. Si tratta di una scelta politica che rischia di ridurre posti di lavoro e competitività in Europa, senza ottenere benefici ambientali globali.

Conseguenze simboliche e politiche

Anche se la sfiducia difficilmente passerà, l’immagine di von der Leyen ne risulta indebolita. Il caso Pfizer ha aperto una crepa profonda tra la Commissione e il Parlamento. Trasparenza e controllo democratico sono stati aggirati, e il prezzo potrebbe essere molto più alto della semplice permanenza o meno della presidente in carica.

Il potere va sorvegliato: la lezione dei grandi pensatori

Da Platone a Lord Acton, i grandi filosofi e pensatori politici hanno ribadito che il potere deve essere sempre soggetto a controllo.

Platone, nella Repubblica, ammoniva che i governanti devono essere i più saggi, ma anche i più sorvegliati. Aristotele vedeva nella partecipazione civica l’antidoto alla degenerazione del potere. Machiavelli ricordava che un popolo vigile è l’unico vero argine alla tirannide. Montesquieu formulò il principio della separazione dei poteri: “perché non si possa abusare del potere, bisogna che il potere arresti il potere”. Locke basava la legittimità del governo su limiti chiari e consapevolezza pubblica. Madison affermava: “se gli uomini fossero angeli, non ci sarebbe bisogno di governo; se gli angeli governassero gli uomini, non ci sarebbero controlli sul governo”. Fino a Lord Acton e la sua celebre massima.

La vigilanza italiana nella gestione Covid: tra impegno e opacità

Durante la pandemia, l’Italia è stata tra i paesi europei con la più intensa attività di controllo e vigilanza parlamentare e istituzionale. Sono stati istituiti numerosi organismi, comitati tecnici e scientifici, e soprattutto una Commissione parlamentare d’inchiesta sul Covid-19, istituita nel 2022 proprio per far luce sulle scelte politiche, le strategie sanitarie e le eventuali responsabilità legate alla gestione dell’emergenza.

In particolare, il Ministero della Salute guidato da Roberto Speranza è stato al centro di molte critiche, soprattutto per alcune decisioni controverse come le chiusure prolungate, la gestione delle forniture vaccinali e i criteri di restrizione adottati. La commissione d’inchiesta avrebbe dovuto analizzare questi aspetti, raccogliere testimonianze, accertare errori o omissioni, e proporre indicazioni per evitare che simili crisi si ripetano.

Dove sono finiti oggi Speranza e la commissione d’inchiesta?

Con il passare del tempo, però, la commissione d’inchiesta sembra essersi arenata. I lavori sono rallentati, molte audizioni rimangono sospese e i risultati concreti faticano ad emergere. Roberto Speranza, dopo la fine del governo Conte II, ha progressivamente perso peso politico, pur restando una figura di riferimento nella sinistra italiana.

C’è il sospetto diffuso che il tema Covid, con tutte le sue implicazioni politiche, sia stato in buona parte accantonato per ragioni di convenienza politica e per il desiderio di “voltare pagina” rapidamente. Ma questa dimenticanza rischia di tradursi in un’occasione persa per rafforzare la cultura della vigilanza, imparare dagli errori e garantire maggior trasparenza nelle emergenze future.

La mia opinione

Il caso italiano mette in luce un paradosso: la vigilanza, pur istituzionalmente prevista e inizialmente attiva, viene spesso ostacolata o rallentata proprio quando serve di più. La politica tende a proteggere i propri protagonisti e a chiudere i dossier scomodi. Ma senza una vigilanza continua e autorevole, il potere rischia di sfuggire a ogni controllo.

Questo è il motivo per cui il voto di sfiducia a von der Leyen, anche se simbolico, è così importante. Ricorda a tutte le istituzioni – europee e nazionali – che il potere ha bisogno di essere sempre sotto lo sguardo vigile dei cittadini e dei loro rappresentanti. Non per delegittimare, ma per legittimare davvero.

Nota: vigilare non significa interferire

Nel dibattito politico si confonde spesso il controllo democratico con la delegittimazione. Vigilare non è interferire. Vigilare è assicurarsi che il potere resti nei confini della legge e della rappresentanza.

Esempi italiani di vigilanza democratica efficace

Tangentopoli: un’indagine partita da un reato minore rivelò una corruzione sistemica. La magistratura esercitò vigilanza, non sabotaggio.
Commissione su Ustica: il Parlamento cercò per anni di far luce sulla strage, malgrado i tentativi di insabbiamento.
Controllo sulla gestione pandemica: comitati e task force hanno dovuto rendere conto alle Camere anche nei momenti più critici.
Superbonus 110%: la Corte dei Conti ha esercitato vigilanza sui rischi di sprechi e frodi, senza bloccare l’azione del governo.
Questi episodi dimostrano che la democrazia si difende non lasciando il potere libero, ma chiedendogli conto. Vigilare non è destabilizzare: è fare manutenzione delle istituzioni. Oggi più che mai, in Europa, ne abbiamo bisogno.

 

pH Wikipedia

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