“La cultura è ciò che rimane quando si è dimenticato tutto ciò che si è imparato.”
— Jean-Paul Sartre
Doveva essere l’avamposto della riscossa conservatrice, la cittadella ideologica della destra contro il pensiero unico della sinistra parruccona. Doveva spezzare le catene dell’egemonia culturale con l’impeto di un nuovo Rinascimento tricolore.
E invece eccoci qui: il Ministero della Cultura è diventato un reality con sceneggiatura da B-movie, budget pubblico e attori rassegnati.
Un tempo lo sognavano come la trincea dell’identità nazionale, il bastione della cultura patriottica. Oggi in molti lo definiscono “radioattivo”. Un posto da cui scappano i vertici del cinema, dove si litiga sul tax credit, si inciampa in produttori dal passato discutibile e si combattono faide da sottoscala politico.
La strategia meloniana: Gramsci al contrario, senza leggerlo
Meloni voleva fare Gramsci, ma al contrario: sostituire l’egemonia culturale “rossa” con quella del patriottismo tricolore, possibilmente con qualche citazione di Prezzolini, un documentario sulle foibe, e un musical sul tricolore.
Ma governare la cultura è cosa diversa da postare su Facebook o fare monologhi da salotto. Servono idee. O almeno qualcuno che sappia distinguere Dante da D’Annunzio senza Wikipedia.
Sangiuliano e Giuli: la premiata ditta del cortocircuito culturale
Il primo, Gennaro Sangiuliano, ex TG2, ci ha provato con dichiarazioni roboanti, slogan da manuale del perfetto sovranista, e un gusto spiccato per le citazioni sbagliate. Ha lasciato dietro di sé gaffe e una scia di imbarazzi istituzionali degna di un film muto.
Poi è arrivato Alessandro Giuli, ex direttore del MAXXI, filosofo neocon di seconda serata. L’uomo chiamato a dare profondità, ma finito a gestire un disastro da centralino del 118. Attori in sciopero, teatri declassati, sottosegretari velenosi, cinema in rivolta, produttori con più scheletri che copioni.
Un inferno a cui neppure Dante avrebbe saputo dedicare un girone adeguato.
Il tax credit: la cultura non si finanzia con gli slogan
Il colpo di grazia? Il pasticcio sul tax credit al cinema. Un disastro annunciato, che ha mandato nel panico intere filiere e acceso la rivolta degli artisti – proprio quelli che la destra voleva “rieducare” con la sua idea di cultura nazionalpopolare.
Anziché sostenere il settore, si taglia, si sospende, si riformula. Con il classico spirito da “prima si distrugge, poi forse si capisce cos’era”.
Il cinema italiano? Per i meloniani, va bene solo se gira film su eroi militari, madri italiche o sagre del lardo. Se invece osa raccontare la complessità del presente, allora è “sinistro”, “decadente” e soprattutto… non finanziabile.
Il paradosso della destra culturale: voler fare cultura senza averne
Il cortocircuito è servito. La destra vuole imporsi nel mondo culturale, ma non ha strumenti, né sensibilità, né interpreti credibili. Si affida a slogan, a conferenze stampa con effetti speciali e a una visione che puzza più di nostalgia che di futuro.
Il problema non è solo di gestione. È strutturale. Quando si entra nei luoghi della cultura con il machete ideologico in mano, prima o poi ci si taglia. E qui, di sangue politico, se ne vede parecchio.
Epilogo: la maledizione? No, solo incompetenza
In Parlamento mormorano che “quel ministero è maledetto”. No, cari. Non è maledetto. È solo nelle mani sbagliate. La cultura non è un campo di battaglia dove si vince a colpi di nomine, epurazioni e citazioni stiracchiate. È un ecosistema fragile, complesso, che ha bisogno di cura, pluralismo e competenza.
E mentre Meloni si ostina a immaginare la cultura come un carro armato valoriale da schierare contro i nemici interni, il ministero affonda in una palude tragicomica che neanche Guzzanti riuscirebbe a parodiare.
Intanto, da qualche angolo defilato, gli intellettuali veri – quelli che non hanno mai avuto bisogno di tessere di partito – guardano la scena con un misto di divertimento e orrore.
Non perché vogliano il fallimento della cultura. Ma perché sanno riconoscere quando un potere cerca di piegare l’arte, e finisce per spezzarsi da solo.