Di Giuliano Fresi

Fin dal 1945, da quando è stata allentata la censura sui fatti di cronaca nera, il pubblico italiano si è sempre appassionato ai morti ammazzati e alle relative cronache giudiziarie.

Ricordiamo così, senza pretesa di completezza, i casi della Saponificatrice di Correggio (1946), il caso Montesi (1953), il misterioso assassinio di Bebawi (1964), il delitto Casati Stampa (1970), passando per l’epopea del Mostro di Firenze che ha attraversato un decennio, l’assassinio di Simonetta Cesaroni (1990), e quello della contessa Alberica Filo della Torre (1991) risolto pochi anni fa con la più classica delle soluzioni: è stato il maggiordomo. Senza dimenticare l’oscura vicenda di Olindo e Rosa (2006), che a tutt’oggi presenta non pochi punti oscuri, e quello di Garlasco di cui parleremo tra poco (2007).

Alcune di queste vicende hanno avuto implicazioni politiche, altre meno, ma tutte hanno riempito i titoli dei quotidiani e creato le immancabili fazioni tra colpevolisti e innocentisti; oppure tra colpevolisti ma con giustificazione per il colpevole.

Spesso si è assistito alla ricerca frettolosa di un colpevole purché fosse da dare in pasto all’opinione pubblica, salvo improvvise ritrattazioni di fronte a prove che smentivano – quando è stato possibile – il quadro accusatorio. Alcuni dei delitti citati sono stati risolti, altri no. Altri ancora, come quello di Garlasco, alimentano a tutt’oggi una sapida telenovela che non sta mancando di appassionare i telespettatori, con tutto il suo portato di esperti/santoni/criminologi della mutua/pseudo-giornalisti sciacalli/approfittatori di varia natura/testimoni a gettone.

Chiara Poggi viene assassinata brutalmente la mattina del 13 agosto 2007, ha ventisei anni, è laureata, e (miracolo già allora!) un lavoro stabile. E’ fidanzata con Alberto Stasi da qualche anno, anche lui ragazzo serio e studioso ma dall’aria antipatica. Già dalle prime ore dopo la scoperta del corpo sarà proprio lui l’indiziato principale, passerà attraverso tre processi vendo assolto nei primi due e condannato al terzo attraverso quella che non pochi definiscono una serie di forzature giuridiche. Tra gli approfittatori della vicenda balzano fuori le cugine di Chiara, desiderose di sfondare nello show-business a qualsiasi costo, anche quello di inventarsi una foto di gruppo scattata in una vacanza che non hanno mai fatto con la vittima.

Si arriva subito al grottesco: sulla scena irrompe Fabrizio Corona, infaticabile e caciarone ricercatore di scandali, ma soprattutto Alessio Sundas, improbabile agente di spettacolo e stilista. Uno dei due, purtroppo dalla rete è scomparso l’articolo di allora che ne parlava, avrebbe preso in considerazione le Cappa per il porno salvo scartarle “perché sono troppo basse”.

Per qualche mese il delitto di Garlasco impazza tra televisione e giornali, poi viene oscurato da altre vicende tra cui l’altrettanto famoso assassinio di Meredith Kercher a Perugia nel novembre dello stesso anno.

Ma è da marzo di quest’anno che la vicenda ritorna prepotentemenre sugli schermi grazie a strani magheggi che cominciano in televisione e poi fanno sì che la procura di Pavia riapra il caso.

Stavolta ci sono nuovi personaggi: Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, indagato come possibile assassino o quantomeno complice di ipotetici assassini; Marco Poggi, fratello della vittima che non si capisce dove fosse quella fatidica mattina; le ineffabili gemelle Cappa che secondo molti avrebbero ammazzato Chiara, il padre delle gemelle descritto come una specie di Don Rodrigo locale e potenziale amante di Chiara, Giancarlo Bruscagin il supertestimone, Marco Muschitta che avrebbe visto “una ragazza bionda in bicicletta con un borsone che poi ha buttato nel canale di Tromello” salvo poi rimangiarsi tutto, ma soprattutto gli avvocati.

Andrea Sempio è difeso da Massimo Lovati, penalista di lungo corso che “sogna” circostanze avvenute o non avvenute; ma soprattutto è difeso da un’amica di gioventù che faceva parte del suo gruppo, Angela Taccia. La quale si fa immediatamente notare per il suo stile a dir poco informale, per quanto poi sia molto più preparata di come viene descritta dai media. Ma nel calderone entra Alessandro Biasibetti, fidanzato della Taccia ai tempi, che poi si è fatto frate cinque anni fa. Più sfumate le figure di Mattia Capra e Roberto Freddi, ufficialmente non sono indagati ma gli hanno perquisito casa.

I media fanno presto ad appropriarsi di una vicenda che sembra uscita da un romanzo noir, quella di un gruppo di amici le cui vite prendono pieghe diverse: chi si laurea, chi si avvia a una vita tranquilla, chi si fa frate. Senza dimenticare gli inevitabili contorni satanici, perché non solo un amico di Sempio appassionato di simbologia diabolica si sarebbe suicidato in circostanze poco chiare, ma la vicenda in qualche modo presenterebbe dei punti di contatto con quella ancora più losca delle Bestie di Satana che sono state attive proprio da quelle parti negli anni Novanta. Un punto di contatto è proprio l’avvocato Lovati, difensore di alcuni degli imputati ma anche avvocato di parte civile incaricato dalla sorella di una delle vittime. Si parla di un membro della setta, il misterioso Alessandro, che non sarebbe mai stato individuato e che potrebbe avere un ruolo nel delitto di Garlasco: possibile? Ad ogni modo la combriccola era composta di ventenni mentre Alberto e Chiara avevano passato i venticinque, il che li rendeva poco inclini a frequentarsi.

Naturalmente le stesse gemelle Cappa vengono accostate alle Bestie di Satana, anche se di riflesso: le Bestie di Satana usavano trasferire al mare, a Loano in Liguria, le loro “attività”, proprio dove le Cappa passavano le vacanze. Un po’ poco, ma si sa, in Italia quando non si sa cosa dire spuntano sempre le corna del Maligno.

Diciotto anni dopo la cittadina lombarda torna ad essere invasa dai cronisti, compreso il solito Corona che adesso avrebbe pure la soluzione del mistero. Alessio Sundas invece non c’è: si è costruito una carriera nel calcio come procuratore sportivo, non sappiamo con quali risultati.

Mentre l’Italia si appassiona all’ennesimo sceneggiato macabro, succedono altre cose.

L’Istat, fonte sovversiva e complottista, ci parla di alcuni dati poco rassicuranti nel suo rapporto annuale. Per esempio che dal 2014 al 2022 due milioni di nostri connazionali sono emigrati all’estero, pardon, si sono trasferiti, in cerca di condizioni di lavoro migliori. Oltre un milione e mezzo di giovani non studia e non lavora, preferibilmente si unisce a qualche manda di marocchini per alzare qualche soldo con lo spaccio. Le famiglie sotto la sotto la soglia di povertà sono il dieci per cento del totale, quelle in povertà assoluta oltre due milioni. Oltre mezzo milione di residenti dal Sud è emigrato verso le regioni del Nord perpetuando una dinamica vecchia quanto l’unità d’Italia. Gli anziani sono oltre un quarto degli abitanti, l’età media è di quarantasette anni, il tasso di fecondità cala di anno in anno. E non perché, come si sente dire, gli italiani non vogliono fare figli: nella costosissima Svizzera un pacco di pannolini costa la metà che in Italia, per non parlare dell’assistenza sanitaria e dei servizi di base: un asilo nido comunale può costare quasi mille euro al mese, la metà di quanto guadagna una coppia bi-reddito.

Con la scusa del covid e della guerra in Ucraina servizi e materie prime costano il quaranta per cento in più rispetto al 2019, ma l’Italia è l’unico Paese europeo nel quale in trent’anni gli stipendi sono diminuiti. Ma sono proprio le insensatezze a cui abbiamo assistito tra 2020 e 2022 ad avere diffuso tra la popolazione un senso di insicurezza e minaccia incombente, in questo i media gettano benzina sul fuoco ogni giorno parlando di nuove minacce belliche o sanitarie a seconda della moda del momento.

Insomma, il famoso popolo che qualcuno ancora oggi invoca nel 2025 non se la passa proprio bene. E non se ne vede la fine, essendo l’Italia un Paese decaduto senza quasi più industrie. Un Paese che somiglia molto alle repubbliche ex sovietiche punteggiate di complessi produttivi in rovina e caserme dell’Armata Rossa abbandonate. Si direbbe che nel 1989 il Muro sia caduto addosso a noi italiali facendo più male di quanto ne abbia fatto a Est.

Probabilmente perché a fine Guerra Fredda un’Italia stabile e prospera non serviva più a nessuno. Il pericolo comunista era ormai sventato e il partito di riferimento è stato svelto a passare dalle sovvenzioni russe a quelle democrat statunitensi. Quanto a tutto ciò che ha reso per un periodo l’Italia quarta economia mondiale, è stato svenduto il 2 giugno del 1992 a bordo dello yacht della regina Elisabetta, provvidenzialmente ormeggiato a Civitavecchia: lì molti nomi destinati a diventare ricorrenti negli anni a venire (tre per tutti: Draghi Prodi e… Beppe Grillo) hanno demolito tutto ciò che poteva fare concorrenza ad altre economie europee. Quello è stato il secondo atto di un golpe iniziato tre settimane prima con l’uccisione del magistrato Falcone proprio il giorno in cui le Camere avrebbero dovuto eleggere Andreotti alla presidenza della repubblica. Si dice che subito dopo Andreotti avrebbe conferito a Craxi l’incarico di formare un governo, sta di fatto che di lì a poco il primo sarebbe stato perseguitato per oltre dieci anni da processi per mafia mentre il secondo sarebbe direttamente morto in esilio. In poche parole, lo scopo del golpe era liberarsi di un concorrente fastidioso e poco incline a farsi assorbire dalle magnifiche sorti dell’Europa unita.

Le cause del declino italiano, ma questo l’Istat non lo dice, vanno cercate tutte nei fatti del ’92.

Il 2025 invece continua a vedere ennesimi episodi di delirio politico internazionale, anzi, di pura e semplice delinquenza.

Trump tratta con gli iraniani per scongiurare il temuto sviluppo di un’arma atomica (ce l’ha pure il vicino Pakistan, il cui territorio nelle zone di confine con l’Afghanistan è fuori dal controllo governativo mentre il Paese ha vissuto e vive momenti di profonda instabilità), all’improvviso Israele decide di bombardare l’Iran, il quale risponde con una serie di attacchi missilistici. Poche testate, tra cui Al Jazeera, hanno riportato il fatto che il primo ministro della seconda teocrazia mediorientale, ovvero Israele, poco prima degli attacchi ha rischiato la sfducia da parte del parlamento. Netanyahu, questo è il suo nome, da cinque anni si sta attaccando a tutto quello che capita per sfuggire a una serie di processi per corruzione: il 2020, i controversi attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, e adesso l’insensato attacco all’Iran che ha avuto per effetto quello di galvanizzare un’opposizione che fino al giorno prima lo voleva in galera o quasi. Una mossa alla Leopoldo Galtieri, presidente della giunta militare argentina, che pensava di risolvere i problemi economici e di zittire l’opposizione crescente attaccando le isole Falkland occupate dagli inglesi. A Galtieri non è andata bene, in meno di due mesi non solo è stato sconfitto duramente dai britannici sul piano militare, ma lo stesso regime che aveva contribuito a creare è crollato definitivamente. Lasciando oltre ventimila morti tra gli oppositori politici.

Netanyahu invece è ancora al suo posto, nonostante gli israeliani siano sempre più stanchi di lui. La rappresaglia in seguito ai fatti del 7 ottobre 2023 doveva durare pochi mesi e riportare indietro gli ostaggi? A due anni e mezzo di distanza le forze armate israeliane sono tornate nel martoriato Libano mentre di ostaggi ne sono tornati ben pochi. Nel frattempo molti si chiedono come una banda di scalzacani abbia potuto irrompere così facilmente in Israele e fare un sacco di morti. Non sono poche le testimonianze secondo le quali gli assaltatori di Hamas sarebbero stati visti provare e riprovare le loro mosse nei giorni precedenti all’attacco. Dal 2023 l’economia israeliana segna il passo, essendo molti di quelli in età lavorativa impegnati al fronte, mentre le tasse aumentano. Ancora più dubbi sono i risultati dello sconsiderato bombardamento sulla Persia in quella che è stata definita la Guerra dei Dodici Giorni (sperando che rimangano dodici e basta). Se è vero che scienziati nucleari e dirigenti di regime sono stati eliminati in maniera molto selettiva, nessuno può stabilire se il programma nucleare sia stato almeno rallentato. A giudicare dal fatto che gli iraniani all’atomica ci stanno lavorando da oltre un trentennio in installazioni a prova di qualsiasi bomba, si direbbe di no. In compenso la gente comune, non bastassero i problemi che il regime gli sta causando dal 1979, ha dovuto fare i conti con evacuazioni di massa e quelle che gli americani definiscono vittime collaterali. Anzi, il regime non ha fatto una bella figura nel suo complesso: sono mancati gli allarmi aerei per avvertire la popolazione, in pieni bombardamenti la polizia non ha trovato niente di meglio che controllare in massa se le donne erano velate, le strade sono state letteralmente bloccate per impedire alla gente di fuggire dai missili. E tutto questo in un contesto nel quale già da qualche anno le cose vanno molto male: non solo l’inflazione si sta mangiando la classe media, ma ultimamente stanno mancando carburanti e corrente elettrica. Una cosa molto strana in un Paese che galleggia letteralmente sul petrolio. Si dice il regime stia crollando dall’interno, ma non si vede nemmeno quel progetto alternativo che molti, a cominciare dal pretendente al trono Reza Ciro, sostengono di avere. Mentre Netanyahu cerca di convincere il pubblico e probabilmente se stesso che i bombardamenti avrebbero accelerato il cambio di regime a Teheran, il suo sponsor Trump un giorno dice di volerlo e il giorno dopo che va bene trattare con i mullah; un giorno dice che è vicino all’accordo sul nucleare, il giorno dopo che sa dove andare a cercare Khamenei ma che non lo ammazzerà, il giorno appresso che non entrerà in guerra e quello successivo che darà manforte a Israele. Salvo fingersi alla fine come mediatore in un conflitto nel quale è entrato a piè sospinto. Sarebbe questo il pacificatore, quello che “non vogliamo che l’America finisca di nuovo coinvolta in guerre senza fine nel Medio Oriente”? Sarebbe questo il presidente in grado di contrastare quel complesso militar-industriale (la definizione viene da un presidente molto più illustre, Dwight Eisenhower) che determina la politica estera americana a colpi di attacchi preventivi ed esportazione di democrazia. A noi che ricordiamo le guerre in Afghanistan e Iraq sembra di vedere un redivivo Bush con tutto il suo contorno di falchi e truffatori, perché dal Vietnam in poi l’America le guerre non le fa per vincerle: le fa per spendere soldi. Tanti soldi.

Insomma, il mito di un Trump presidente che combatte per estirpare Cia e guerrafondai è destinato a rimanere un mito. In compenso non sono pochi i sostenitori secondo i quali Trump avrebbe gabbato tutti quanti. Non solo un Netanyahu sfuggito a ogni controllo, ma pure gli iraniani stessi. Ognuno racconta di avere vinto: gli iraniani, non foss’altro perché il regime è ancora in piedi, gli israeliani perché avrebbero eliminato i vertici militari iraniani, gli americani perché intervenendo nel conflitto avrebbero evitato una guerra di lunga durata. Beato chi ci crede. Nel frattempo spunta la diceria, forse più che una diceria, per cui nei famosi accordi sul nucleare che gli israeliani hanno portato al naufragio ci sarebbe stata proprio la clausola del riconoscimento di Israele da parte dell’Iran. Chiedere a una teocrazia di riconoscere un’altra teocrazia, per di più nemica, è pura fantascienza. Del resto i mullah sono al potere per lo stesso motivo per cui nel ’92 c’è stato il golpe in Italia: per togliere di mezzo un concorrente. Ad americani inglesi e francesi una nuova potenza emergente, per di più dotata di un forte apparato industriale, non andava giù. Come già non era andato giù l’accordo petrolifero del 1957 tra lo Shah Reza Pahlavi e il nostro Enrico Mattei, accordo che tagliava fuori per la prima volta nella storia il cartello di compagnie angloamericane che ai tempi gestiva l’85% delle risorse di greggio mondiali. Mattei è morto in un attentato aereo nel 1962, lo Shah è morto in esilio al Cairo dopo che di fatto gli è stato impedito di curarsi dalla leucemia da cui era affetto. I veri vincitori di questo ennesimo conflitto sono gli speculatori sulle materie prime, quelli che ci hanno regalato intere annate di benzina a due euro. Finirà? Nel frattempo il dollaro è ai minimi storici, ma questo favorisce le esportazioni americane.

La signora Meloni in tutto questo si dibatte tra le ansie guerrafondaie di una Unione Europea sempre più simile al progetto che Adolf aveva a fine anni Trenta e la necessità di farsi ben volere in Italia. Il nostro efficiente ministro degli Esteri mostra sorpresa all’inizio dei primi scambi di missili tra Israele e Iran, salvo poi aderire alla velina euro-Nato in base alla quale l’Iran “non deve avere l’arma atomica”. Mentre tutti i suoi vicini ce l’hanno. C’è poi tutta la querelle sul cinque per cento del PIL da destinare alla difesa, una cosa che dovrà entrare a regime tra diversi anni, quando buona parte dei governi dei Paesi Nato non sarà più in carica a meno di soluzioni rumene: perché questi ci hanno preso gusto a ribaltare i risultati elettorali quando non vanno come vogliono loro. Quanto all’Italia, non c’è pericolo: la signora Meloni non rappresenta certo un pericolo per le trame euroatlantiche, in più il ministro degli Esteri è un uomo fidato della Von der Leyen. E quelli che “eh, vedrai quando ci sarà la Meloni…”? Serviti come quelli che “vedrai quando ci sarà Trump, cambierà tutto”.

Nel frattempo gli italiani continuano a chiedersi se Sempio è davvero implicato nell’uccisione di Chiara Poggi oppure no.

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