Di Monika Anna Perka

In un’epoca caratterizzata da connessioni digitali costanti e comunicazioni istantanee, la solitudine può sembrare un paradosso. Eppure, è una delle condizioni più diffuse – e più taciute – della società contemporanea. Non si tratta solo di un sentimento individuale, ma di un vero e proprio problema sociale e giuridico, che coinvolge fasce sempre più ampie della popolazione.
La solitudine può essere volontaria e persino benefica, ma quando diventa cronica o imposta dalle circostanze, si trasforma in una condizione di vulnerabilità sociale. Anziani soli, giovani isolati, migranti senza reti familiari, persone con disabilità, senza fissa dimora, detenuti: sono solo alcuni dei volti della solitudine invisibile. Una condizione che incide profondamente sulla salute fisica e mentale, sulla qualità della vita e sulla partecipazione alla vita comunitaria.
Il nostro ordinamento, a partire dalla Costituzione italiana, riconosce e tutela i diritti della persona anche nelle sue dimensioni relazionali. L’articolo 2 sancisce il valore della solidarietà, l’articolo 3 impone la rimozione degli ostacoli che impediscono l’uguaglianza sostanziale, mentre l’articolo 32 riconosce il diritto alla salute in senso ampio, comprendendo anche il benessere psicosociale.
La Legge n. 328/2000 – che disciplina il sistema integrato dei servizi sociali – rappresenta il principale strumento giuridico per dare risposta ai bisogni sociali complessi, come quelli legati alla solitudine. Essa promuove interventi personalizzati, progetti di comunità, collaborazioni tra enti pubblici e terzo settore.
Secondo recenti indagini ISTAT, oltre il 40% degli anziani in Italia vive solo. Il venir meno di relazioni quotidiane, la perdita del coniuge, la lontananza dei figli o l’assenza di reti di supporto trasformano l’invecchiamento in una trappola di isolamento.
Ma la solitudine colpisce anche i giovani, sempre più connessi ma spesso incapaci di stabilire relazioni profonde. Il digitale, se non accompagnato da alfabetizzazione emotiva e sociale, rischia di alimentare nuove forme di isolamento, silenziose e pervasive.
I migranti spesso affrontano una solitudine doppia: l’assenza fisica della rete familiare e l’esclusione sociale nel Paese di arrivo. A ciò si somma la barriera linguistica e culturale, che rende più difficile l’accesso ai diritti e ai servizi.
Affrontare la solitudine significa coniugare giustizia sociale e diritti umani. Le politiche pubbliche devono andare oltre l’assistenza e investire in relazioni, ascolto, partecipazione, costruendo contesti in cui nessuno si senta invisibile.
La solitudine è il segno di una società che si frammenta. Ma può anche diventare l’occasione per ripensare il nostro modo di abitare il mondo, di prenderci cura gli uni degli altri, di costruire comunità più giuste. Riconoscerla come questione giuridico-sociale significa affermare il diritto di ogni persona a non essere lasciata sola.

 

pH Pixabay senza royalty

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