Licenziato dopo un discorso sulla salute mentale in caserma. Il caso scuote le forze armate

Di Daniela Piesco Direttore Responsabile

Il generale Pietro Oresta ha infranto un tabù. Nel suo discordo d’addio alla Scuola Marescialli e Brigadieri di Firenze, ha messo al primo posto non la disciplina cieca, ma le persone: “Il vostro benessere e quello delle vostre famiglie è superiore a qualunque istruzione o procedura”.

Tre giorni dopo, è stato esautorato. Nessuna motivazione ufficiale, ma il messaggio è chiaro: aver osato parlare di fragilità umana in un’istituzione che celebra l’eroismo a tutti i costi è inaccettabile.

Oresta conosce il prezzo di quel silenzio. La sua denuncia arriva dopo il suicidio di un’allieva di 25 anni, un dramma che ha squarciato il velo sull’emergenza salute mentale nelle caserme. Un tema sistematicamente sepolto sotto slogan come “onorare la divisa” o “prima il dovere”.

La sua “colpa”? Aver ricordato che dietro gradi e stellette ci sono esseri umani. Che l’eroismo non è solo catturare criminali, ma anche saper chiedere aiuto. “Batman, Robin, Rambo… non ce ne frega niente”, ha sbattuto in faccia ai suoi allievi. Serve chi riconosce i propri limiti.

Le reazioni confermano la spaccatura: solidarietà da chi vive lo stesso disagio in divisa; freddezza da chi vede nelle sue parole un tradimento del culto del sacrificio.

Il caso Oresta è un sintomo. Denuncia l’ipocrisia di istituzioni – militari e non – che pretendono perfezione dai giovani, ignorando il costo umano. Nessuna missione vale una vita spezzata.

Oggi Oresta paga per il suo coraggio. Ma il suo gesto è un cuneo in un sistema che deve scegliere: continuare a chiedere supereroi, o costruire caserme dove dire “sto male” non sia un atto di debolezza, ma di lucidità. Perché prima del carabiniere, viene l’uomo. E quella verità, nessuna medaglia può oscurarla.

pH Pixabay senza royalty

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