Non amo alimentare polemiche, né mi appartiene la sterile contrapposizione fine a se stessa. Chi mi conosce sa che considero la scrittura — specie quando riguarda la comunità e la memoria collettiva — uno strumento di riflessione, non di scontro.

Ma quando ho letto l’editoriale di Marco Staglianò su NTR24, dedicato al cinquantesimo anniversario di matrimonio di Sandra Lonardo e Clemente Mastella, ho sentito il bisogno civile, prima ancora che professionale, di prendere carta e penna.

Non per negare l’importanza del percorso umano e politico dei Mastella, né per svilire il senso profondo di una celebrazione familiare che, sul piano personale, merita ogni rispetto. Ma perché la frase “siamo tutti figli di Sandra e Clemente” mi sembra un’affermazione che, se lasciata passare senza contraddittorio, rischia di appiattire la storia complessa e plurale del nostro Sannio.

Il Sannio non è mai stato, e non potrà mai essere, una terra univoca. Questa provincia è figlia di una tradizione democristiana radicatissima, è vero, ma anche di culture politiche diverse, tutte fondamentali per comprendere la nostra identità.

Basti ricordare Giovanni De Luca, storico ministro dei Lavori pubblici, esponente di punta della DC sannita negli anni Settanta e Ottanta, o Mario Vetrone, già presidente della Provincia, riferimento dei dorotei, che si batté sempre per una politica attenta all’equilibrio tra centro e periferie.

Accanto alla DC, il Sannio ha visto crescere una solida componente socialista con Raffaele Bianco, dirigente nazionale e amministratore capace, che costruì reti di potere alternative al blocco democristiano. Vi furono inoltre presenze significative di repubblicani e liberali, rappresentate da figure come Giuseppe Matarazzo, deputato e figura di riferimento per il pensiero laico.

Negli anni ’90, con Tangentopoli e la crisi dei partiti tradizionali, emersero nuovi attori: Pasquale Viespoli, sindaco di Benevento dal 1993 al 2001, portò per la prima volta al governo cittadino una destra sociale moderna, interprete di un sentimento di rottura rispetto al passato democristiano e al nascente mastellismo.

Anche la sinistra ha avuto un ruolo fondamentale: non possiamo dimenticare Fausto Pepe, sindaco dal 2006 al 2016, espressione di un centrosinistra largo che seppe battere per ben due volte il candidato sostenuto da Clemente Mastella, proponendo una visione urbana alternativa.

Se allarghiamo lo sguardo alla provincia, negli ultimi decenni si sono sviluppati esperimenti civici e movimenti di resistenza alle logiche clientelari: basti pensare alle battaglie ambientaliste in Valle Telesina, ai comitati contro le discariche e la turbogas di Ponte Valentino, alle mobilitazioni per la difesa delle scuole nei piccoli comuni montani, alle vertenze per la sanità pubblica. Realtà spesso nate in aperto dissenso con il “modello mastelliano” di gestione della cosa pubblica.

Anche alle ultime elezioni, sia comunali che regionali, ampie porzioni di elettorato hanno scelto strade diverse, sostenendo candidature civiche o di partiti di opposizione, a conferma di una pluralità che non è mai venuta meno.

Nessuno nega che Clemente Mastella abbia rappresentato e continui a rappresentare un pezzo importante della storia sannita. Sarebbe ingiusto e intellettualmente disonesto non riconoscerlo. Ma dire che “siamo tutti figli di Sandra e Clemente” è un’iperbole che finisce per cancellare la dignità e il sacrificio di chi ha scelto, anche pagando un prezzo alto, di percorrere sentieri diversi.

La storia non è mai un racconto uniforme, non è una cartolina rassicurante. È fatta di conflitti, di tentativi, di errori, di coraggiose divergenze. Il Sannio non è un feudo ereditato di padre in figlio; è una comunità di idee, di battaglie silenziose, di minoranze tenaci che resistono.

Si cita spesso Ciriaco De Mita, che fu mentore di Clemente Mastella. Ebbene, proprio De Mita ci ha insegnato che la politica è l’arte del confronto, della mediazione, della ricerca paziente e ostinata della risposta possibile. Non un atto di fede cieca, non una genealogia imposta.

Con rispetto, ma con fermezza, ribadisco: non siamo tutti figli dei Mastella. Il Sannio è un mosaico di voci, di storie, di scelte.

E se davvero vogliamo celebrare mezzo secolo di unione, facciamolo nel rispetto della verità storica: chi scrive queste righe non mette in discussione l’affetto privato, ma ricorda che la dignità collettiva si difende anche custodendo la memoria delle tante radici che hanno reso questa terra viva.

Perché la storia, come diceva Norberto Bobbio, «è fatta non solo di chi vince, ma anche di chi resiste».

Ed è per questo che oggi, a distanza di cinquant’anni, il Sannio continua a camminare. Non dietro un solo cognome, ma grazie al passo plurale di chi crede che il futuro non si erediti, si conquista.

Ecco perché, con educazione ma senza esitazioni, non posso accettare che un’intera comunità venga ridotta a una sola famiglia, per quanto influente.
Perché il Sannio non è mai stato una casa chiusa: è una terra con molte chiavi, molte porte, e molte strade che non portano tutte a Ceppaloni.

Daniela Piesco
Direttore Responsabile dell’ Eco del Sannio

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