L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco

Brecht lo gridò: “Verranno i tempi oscuri / Dove ci si chiederà: perché tacevano i loro poeti?”.

Quel tempo è ora.

Una frase sussurrata si fa strada tra festival patinati e vernissage pieni di prosecco: “L’arte non deve fare politica”. La mormorano registi che non vogliono disturbare i produttori, pittori in fila per i bandi pubblici, cantanti in cerca di un pass per la Kermesse di turno. Sembra innocua, quasi sofisticata. Invece è veleno puro.

Chi lo afferma mente, sapendo di mentire. Perché l’arte, se è viva, è intrinsecamente politica. Lo era Majakovskij, che incitava i proletari con versi mitragliate d’inchiostro. Lo era Neruda, che scagliava poesie come pietre contro le dittature. Lo era Picasso, che in Guernica trasformò il dolore di un bombardamento in un urlo eterno, capace ancora oggi di strappare la pelle.

Chi sostiene il contrario non difende la neutralità. Difende la comodità. L’arte neutra non è arte: è arredo da salotto, tappezzeria per borghesi che non vogliono sentire l’odore del sangue e del fango.

Dov’è finita l’arte che sanguina?

Ma la storia sputa in faccia questa comoda illusione. Quando il nazismo marciava in Europa, Brecht fuggì ma non smise di scrivere e denunciare. Quando la CIA rovesciava governi in Sud America, Victor Jara cantava fino all’ultimo respiro, con le mani spezzate. Quando in Italia c’erano bombe nelle piazze, Dario Fo e Franca Rame salivano sul palco con la vita appesa a un filo.

Nell’Atene dilaniata dalla guerra del Peloponneso, Aristofane non temeva di mettere in scena un contadino che trattava privatamente la pace con Sparta (Gli Acarnesi). Osò immaginare donne in rivolta che occupavano l’Acropoli, affamando la macchina bellica attraverso uno sciopero del sesso e del controllo finanziario (Lisistrata). Era satira feroce, politica, pericolosa.

Perché il Silenzio?

Perché il potere ha imparato a cooptare la ribellione.
Gli imprenditori non sono più rovinati dalla guerra sono spesso i suoi beneficiari. Appalti, ricostruzioni, tecnologie militari. La guerra è business, e il business finanzia gallerie, produzioni, festival. Morderesti la mano che ti nutre?

Ma ogni artista che oggi tace mentre il mondo brucia, ogni regista che censura il suo grido per un finanziamento, ogni scrittore che preferisce la classifica al coraggio, si sta arruolando. Non tra i ribelli. Si arruola tra i servi.

La domanda, allora, non è “Dove sono gli artisti ribelli?”. La domanda è: “Siamo ancora capaci di ascoltarli, se osassero gridare?”.

 

pH Wikipedia

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