Di Carlo di Stanislao 

Essere donne, essere in un certo senso sempre irregolari, dà a tutte una ampiezza di vedute che la porta a scelte innovative.” — Lucetta Scaraffia

Per un po’ – diciamo, dai tempi de I mistici dell’Occidente, straordinario, capriccioso repertorio ordito da Elémire Zolla – la parola “mistico” fece della spiritualità un fenomeno salottiero. Come si andava in India per cercare la via, la verità e la vita, così, nelle corti romane, con ottime intenzioni, si chiacchierava di Giovanni della Croce e Juan de Valdés; intanto Fellini girava La dolce vita e Otto e mezzo, e i Beatles canticchiavano la Bhagavadgita. Anche la lotta armata, in fondo, era intrisa di un certo misticismo. Col tempo – idealmente circoscritto al circolo Adelphi – anche la parola “esoterico” prese a essere in voga; intanto, Franco Battiato sfotteva, con stile, gli esoteristi da spritz.

Non sappiamo se le cose siano cambiate. Ciascuno trova il proprio “nutrimento spirituale” scaricando una app, facendo yoga, comprando marmellate dalle monache di clausura. Tutto va bene purché il divino rimanga piuma di struzzo – vanità delle vanità – e non ciò che è: azione di zanna, morso, assurdo all’assalto. “Mistico” resta, per etimo – vuol dire: misterioso, arcano – termine vago quando non subdolo.

Nel 1988 Giovanni Pozzi e Claudio Leonardi, con la raccolta Scrittrici mistiche italiane, dimostrarono due cose: che la mistica, quale che sia – conventuale o extra religiosa – si esprime in un linguaggio che straborda, sbalordisce, si ammutina al dire comune. E che il “mistico”, in questo senso, è spesso donna, fenomeno femminile. I mistici tendono a irreggimentare il mistero in canone e norma; le mistiche vanno allo stato brado del linguaggio, inseguono l’oscuro senza briglie e goniometri, senza pretendere di ordinarlo in leggi.

Lucetta Scaraffia ha raccolto in un’opera recente otto ritratti di mistiche laiche del Novecento. Donne in cui la sete dell’assoluto, della trascendenza, si mostra come vita scomposta, libera, fuori da regole e codici. Mistica come gesto, come preghiera fatta carne, come linguaggio che sconfina, come libertà vissuta – e non etichettata. Donne che coniugano eros e sacro, razionalità e abbandono, libertà e rigore. Donne come Catherine Pozzi, Simone Weil, Banine, Romana Guarnieri, che fanno del loro tormento un campo di battaglia tra l’inesprimibile e il quotidiano, tra l’istinto e la grazia. Donne fuori dal recinto della dottrina, eppure più fedeli alla verità che non molti maestri ufficiali.

La “mistica selvaggia” – dice Scaraffia – è esperienza vissuta fuori dai codici della religione istituzionale. Non perché opposta al cristianesimo, ma perché si situa più in alto, o più in basso, in quel punto cieco dove Dio, se c’è, viene a parlare in modo insostenibile. Come il cane che perde il padrone e, al bivio, non annusa oltre: corre lungo la terza via, sicuro, senza conferme. Così le mistiche. Non verificano, non dimostrano, non si giustificano.

Queste donne non rinunciano al mondo: lo attraversano, lo fanno detonare, e ne leggono il mistero. Sono madri, figlie, amanti, intellettuali, a volte prostitute. Sono teologhe senza cattedra, profetesse senza chiesa. Sono incarnazione della contraddizione, ossimori viventi, figure di frontiera. “La loro è purezza nell’impurità”, dice l’intervistatore a Scaraffia. Ed è vero: la loro santità non è composta, non è perfetta. È esplosa. È ancora fumante.

Nel loro dire mistico c’è spesso la grammatica dell’eccesso: linguaggio paradossale, immagini che sfidano l’ortodossia, affermazioni che sembrano follia. Ma proprio lì, nella follia, il contatto con l’Assoluto si fa reale. Le loro biografie sono immersioni nella carne e nell’abisso: vite che non si separano dalla storia ma la contraddicono, la rompono, la rileggono.

“Il religioso – dice ancora Scaraffia – penetra come sete di un amore assoluto, quasi doloroso.”
E non importa se queste donne pregano da musulmane, da cristiane, da agnostiche. La loro voce scavalca i muri delle confessioni. È la voce di chi brucia.

Quindi: la grazia di Dio è fatta carne o corpo di donna?

“Querere Deum – cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui.”
Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione.
— Benedetto XVI

 

pH Pixabay senza royalty

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