di Carlo di Stanislao

“La misura dell’umanità di una società si vede da come tratta i più deboli.”
— Abraham Joshua Heschel

Un grido di coscienza nel cuore del conflitto

In uno dei momenti più drammatici del conflitto tra Israele e Gaza, oltre cento rabbini di fama internazionale hanno lanciato un accorato appello contro le gravi violazioni dei diritti umani in corso nella Striscia. Provenienti da Israele, dagli Stati Uniti, dall’Europa e da altre comunità ebraiche nel mondo, questi leader religiosi hanno rotto il silenzio per denunciare apertamente ordini militari che autorizzerebbero i soldati israeliani a sparare anche su civili palestinesi disarmati, mentre tentano di raccogliere aiuti umanitari essenziali per la sopravvivenza.

La fame non è una minaccia

I firmatari dell’appello hanno espresso sgomento e profonda indignazione per le recenti testimonianze e i numerosi video che mostrano persone colpite mentre si avvicinano a convogli umanitari o raccolgono aiuti lanciati con i paracadute in aree devastate dalla guerra. Si tratta perlopiù di uomini, donne e bambini affamati, in cerca disperata di cibo, acqua e medicine.

“Nessun principio di autodifesa può giustificare l’uccisione deliberata di chi è in cerca di pane,” si legge nel documento sottoscritto da rabbini ortodossi, conservatori e riformati. “È dovere sacro di ogni ebreo ricordare che ogni essere umano è creato a immagine di Dio. L’umanità non si può sacrificare sull’altare della sicurezza.”

Etica ebraica contro la disumanizzazione

Nel loro appello, i rabbini citano direttamente i fondamenti dell’etica ebraica, facendo riferimento alla Torah e agli insegnamenti dei profeti. “Non opprimerai lo straniero, perché anche voi foste stranieri nella terra d’Egitto” è uno dei versetti più citati nel testo, a testimoniare che la memoria storica della sofferenza ebraica impone oggi un dovere morale verso i più deboli e oppressi.

“Il popolo ebraico ha conosciuto la fame, la persecuzione e l’abbandono,” ha dichiarato il Rabbino Avraham Weiss in una conferenza stampa online. “Non possiamo restare in silenzio mentre altri subiscono ciò che noi abbiamo subito. L’ebraismo non ci insegna a voltare lo sguardo, ma a riconoscere la sofferenza e rispondere con compassione.”

Una richiesta precisa: fermare il fuoco sui civili

I rabbini chiedono formalmente al governo israeliano e alle Forze di Difesa di Israele (IDF) di sospendere immediatamente ogni ordine che permetta di aprire il fuoco su civili disarmati, e di garantire pieno accesso agli aiuti umanitari nelle aree più colpite del conflitto. Invitano inoltre all’istituzione di una commissione indipendente per indagare su tutti i casi in cui sono stati colpiti civili non coinvolti in atti ostili.

“Non è solo una questione politica o militare. È una questione di coscienza. È in gioco l’anima morale del nostro popolo,” affermano i firmatari, alcuni dei quali hanno già subito critiche e minacce per le loro posizioni.

Una voce diversa in un contesto di paura

L’appello rompe un clima di conformismo e timore che ha spesso circondato la discussione pubblica sulle operazioni militari israeliane. Se in passato molti leader religiosi si sono schierati in favore della linea del governo, oggi queste voci si alzano con coraggio per dire che c’è un limite che non può essere superato: la dignità della vita umana.

“Essere un popolo eletto non significa avere il diritto di opprimere, ma la responsabilità di essere giusti,” si legge nel documento. Una frase che risuona come un monito non solo per Israele, ma per ogni nazione che si confronta con la tentazione di giustificare la violenza in nome della sicurezza.

Un messaggio universale

Questo gesto dei rabbini va oltre i confini religiosi e nazionali. È un richiamo alla coscienza collettiva dell’umanità intera. In un mondo dove la logica del nemico prevale spesso su quella della compassione, questa presa di posizione mostra che un’altra strada è possibile: quella della responsabilità morale, della giustizia e della pietà.

Le parole dei rabbini non sono soltanto un appello politico o religioso. Sono un grido d’allarme, un’esortazione a non smarrire il senso del limite, a non diventare ciechi di fronte al dolore degli altri. “In un luogo dove non ci sono uomini, cerca di essere un uomo,” recita un insegnamento dei Pirkei Avot. Mai come ora, questa antica saggezza appare urgente e necessaria.

 

pH Pixabay senza royalty

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