Di Carlo di Stanislao 

 

“L’uomo è misura di tutte le cose.” — Protagora

“Antonio deride il capo mozzato di Cicerone; Erodiade contempla trionfante il piatto sanguinoso con la testa di Giovanni il Battista. Gli spiriti della sfrenata sete di potenza, che non sono che gli spettri di un mondo sommerso, odiano l’uomo libero, odiano soprattutto la luce dell’io che sorge come una stella sulla fronte dell’uomo.” — Emil Brock

In un tempo in cui l’apparenza veste l’abito della verità e la voce del potere risuona più forte della coscienza, il pensiero di Emil Bock risplende come un monito e una profezia. La sua immagine potente — Antonio che deride il capo mozzato di Cicerone, Erodiade che contempla la testa del Battista — non è solo memoria storica. È specchio del presente.

Viviamo in un’epoca in cui le teste non rotolano più fisicamente, ma spiritualmente sì. Gli uomini liberi, i pensatori indipendenti, i poeti non asserviti, gli intellettuali non integrati vengono zittiti, ridicolizzati, marginalizzati. I “signori delle ombre”, come li chiamerebbe Bock, oggi indossano giacche eleganti, occupano salotti televisivi, cattedre universitarie, banchi di governo e posizioni apicali nei media globali. Non cercano la verità: la fabbricano.

Il “sofferente colto potente” del nostro tempo è una figura contraddittoria. Da una parte conosce la cultura, ha letto i libri giusti, ha visitato i musei, può citare Platone e Pasolini. Ma dall’altra, ha imparato a usare tutto questo per piegare le coscienze, per sofisticare la propaganda, per dominare attraverso l’intelligenza invece che elevarla. La sua sofferenza non nasce dalla compassione, ma dall’avidità travestita da idealismo. Soffre perché non può possedere tutto.

In questo paesaggio di anime sedotte e redente, la luce dell’io — quella che Bock evoca con l’immagine di una stella che sorge sulla fronte dell’uomo — è l’unico faro autentico. Ma richiede coraggio. Non basta sentirsi liberi, occorre essere liberi, e oggi essere liberi significa spesso essere soli. La libertà dell’io non grida, non manipola, non minaccia. Splende. E proprio per questo viene odiata.

Viviamo in una società che teme la verticalità spirituale dell’individuo. Vuole coscienze spente, pensieri programmati, emozioni tarate. Ma proprio ora — tra guerre, crisi climatiche, algoritmi che decidono cosa vedere e cosa pensare — è il momento di rompere l’incantesimo.

Il risveglio dell’io non è un atto mistico, ma politico. Non è un privilegio per pochi, ma una responsabilità per tutti. È un atto rivoluzionario, silenzioso e incorruttibile. Come scriveva Albert Camus: “L’uomo libero è colui che non ha paura di andare fino in fondo alla propria verità.”

E in un mondo che deride ancora le teste pensanti, che impiatta il sangue della cultura come trofeo, ogni coscienza che si accende è un’alba che nessuna tenebra potrà mai spegnere.

Haiku finale – Seme d’alba

Sulla fronte luce,
il potere teme l’io —
libertà fiorisce

— Italo Nostromo

Nota sull’autore:

Italo Nostromo è medico, con sangue umbro e abruzzese, fiero della sua meridionalità, che vive come radice resistente e canto interiore. Scrive poesie che poi cancella, perché l’attimo — dice — è solo quell’attimo: verità breve e acuminata che non può né deve durare oltre l’istante. La sua parola è uno scatto, un respiro, una traccia che si scioglie appena tocca il fuoco.

È stato amico di Dario Bellezza, di cui ha conosciuto gli abissi e le fiamme, e ammira la parola limpida e disperata di Pier Paolo Pasolini. I suoi maestri interiori sono Giovanni Reghini per l’iniziazione alla sapienza antica, Mario Luzi per la verticalità mistica della parola, Giuseppe Ungaretti per l’asciutta potenza della luce tra le macerie.

Scrive per chi ascolta dentro. E poi tace.

 

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