Citazione d’apertura:
“I comunisti non hanno nulla da perdere fuorché le loro catene. Ma certi le avevano d’oro, e le hanno vendute a Finarte.”-Italo Nostromo
Citazione in esergo:
“Sono troppo povero per essere comunista.” — Ennio Flaiano
Il 2 luglio, nella garbata penombra della casa d’aste Finarte, due serigrafie di Mao finiranno sotto il martelletto. Mentre si brinda con bollicine biodinamiche e si sfogliano cataloghi come si sfogliavano un tempo i manifesti del realismo socialista, il Grande Timoniere si appresta a diventare il piccolo soprammobile di un salotto da radical chic benestante.
Intanto, nella Roma parlamentare, c’è agitazione più politica che ideologica: traballa il posto alla Camera di Chiara Braga, moglie di Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana e ultimo custode delle ceneri del post-post-post comunismo italiano. Il rischio non è solo perdere un seggio, ma veder venir meno quella sacra geometria del potere progressista dove tutto si tiene: ideali, incarichi, tessere Coop e inviti a Cernobbio.
Non solo Fratoianni però. Anche Fausto Bertinotti, l’ex leader della sinistra radicale, ha deciso di mettere all’incanto pezzi della sua collezione: le sue serigrafie di Mao, però, non provengono da qualche mercatino dell’usato, bensì da una raffinata selezione da collezionista con annesso guardaroba in cashmere, rigorosamente non da bancarella. Quel cashmere lì che non sfigurerebbe a Cortina, lontano mille miglia dai vecchi pullover di fabbrica e dalle camicie sdrucite dei compagni d’una volta.
E mentre si parla di serigrafie, non si può dimenticare la nota spese — per usare un eufemismo — relativa alle cure “esotiche” della signora Bertinotti, finanziate dalla Regione. Cure alternative, si dice, ma con il conto salato, naturalmente a carico della collettività. Se si trattasse di Mao, forse si potrebbe parlare di “riabilitazione rivoluzionaria”. Ma qui siamo più nel terreno del welfare ideologico applicato alla salute privata.
È la solita storia: quelli che volevano cambiare il mondo, poi si sono limitati a cambiar casa — da collettivo universitario a casale ristrutturato. E lì, tra un cuscino etnico e una libreria con Gramsci rilegato Einaudi, ecco Mao in versione Warhol, venduto come un Banksy orientale.
Ma attenzione: il fenomeno non è recente. Prima ancora dei Fratoianni, dei Civati, dei Bersani da zappa, c’era lui: il loden originale, Romano Prodi, l’iconico Professore. Inarrivabile nella sua mistica da cattocomunista emiliano, fu la sintesi perfetta tra l’Unità e Famiglia Cristiana. Il loden che indossava non era un semplice capo d’abbigliamento: era un manifesto silenzioso, una tonaca laica per tempi confusi.
Rispetto al loden di Fratoianni, quello di Prodi aveva una sua liturgia. Il primo si mette per sembrare serio, il secondo lo indossava perché lo era talmente tanto da sembrare un parroco del mercato comune.
E oggi? La sinistra non si divide più tra falce e martello, ma tra chi compra serigrafie di Mao e chi le mette all’asta per finanziare una start-up sostenibile. La sinistra delle case editrici, delle zuppe vegane, dei corsi di yoga marxista per dirigenti d’area ZTL.
Come diceva Rino Gaetano, “ma io ci credo che a Lenin piaceva il rock” – solo che oggi Lenin ascolta i Radiohead e fa il social media manager per un think tank che parla di uguaglianza, purché ben retribuita.
E mentre qualcuno si preoccupa della tenuta democratica del Paese, qualcun altro si preoccupa della tenuta del blazer di lino da indossare per la serata dell’asta. L’ideologia, ormai, si appende: Mao va a chi offre di più. Del resto, come avrebbe detto Flaiano, “la situazione politica in Italia è grave, ma non seria”.
Perché alla fine, la vera rivoluzione, per certi compagni, è stata il passaggio da Lotta Continua a Loden Continuo.
Appendice immaginaria:
Salotto radical chic, interno sera. Tavolino in vetro riciclato.
Prodi:
“Vedi Nicola, ai miei tempi il PCI andava nelle parrocchie. Ora ci andate nei concept store.”
Fratoianni:
“Romano, il popolo è cambiato. Oggi rivoluzione è fare opposizione dal divano. Ma etico, eh. Di lino grezzo.”
Prodi:
“Il mio loden era simbolo di sobrietà. Il tuo è di cashmere bio.”
Fratoianni:
“Lo stile è il contenuto, Romano. È Gramsci col taglio Sartorialist.”
Prodi:
“E Mao all’asta?”
Fratoianni:
“Riappropriazione simbolica, compagno. Anzi: compa’. Serve a finanziare il prossimo festival sul mutualismo urbano.”
Prodi:
“E tua moglie che rischia il posto in Parlamento?”
Fratoianni:
(sospira, guarda il calice)
“Le masse ci fraintendono. Pensano che siamo uguali a loro.”
Prodi:
“Bevici sopra, figliuolo. Ma con moderazione. E fattura.”
E mentre il Paese scivola tra inflazione, crisi climatica e buste paga da fame, c’è chi brinda all’asta di Mao e piange per un seggio perso.
Ma tranquilli: la coscienza è salva. Il socialismo è stato smacchiato, stirato e rivenduto. A tiratura limitata.
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