L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco 

C’è un celebre esperimento psicologico chiamato The Invisible Gorilla, in cui si chiede a un gruppo di persone di contare quanti passaggi di palla avvengano tra alcuni giocatori in un video. Concentrati sul compito, la maggior parte non nota che, nel bel mezzo della scena, un uomo travestito da gorilla attraversa il campo, si ferma, si batte il petto e se ne va. Questo esperimento dimostra un fenomeno noto come “cecità da disattenzione”: vediamo solo ciò su cui siamo concentrati, ignorando anche ciò che è evidentemente sotto i nostri occhi.

Nel nostro caso, il gorilla invisibile ha un nome e un cognome: Pedro Sánchez.

Sì, perché mentre il presidente del governo spagnolo osa pronunciare in sede ufficiale parole come “genocidio” riferite alla situazione di Gaza, chiedendo alla UE la sospensione della cooperazione con Israele, la nostra presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, balbetta compiaciuta le parole “patria” e “interesse nazionale” tra un vertice NATO e un buffet di missili.

Sánchez non ha bisogno di definirsi patriota. Lo è nei fatti. Con schiena dritta e voce ferma, denuncia l’indicibile, senza piegarsi alla ragion di Stato o ai sorrisi americani di circostanza. In Italia, invece, chi ci governa urla il patriottismo come un mantra da baraccone, ma poi firma con la mano tremante un aumento delle spese militari pari a 10 miliardi di euro l’anno. E lo fa mentre gli ospedali chiudono, i giovani emigrano, gli insegnanti invecchiano, e le famiglie contano le monetine per pagare libri, treni e affitti.

Meloni si affanna a spiegare che “non ci saranno tagli”, che “investire in armi non creerà problemi”. Ma è una bugia palese, una menzogna strutturale. L’incremento delle spese in difesa e sicurezza è un regalo al complesso militare-industriale, un voto di fiducia cieco in una NATO che ci chiede servilismo, non sovranità.

E qui torna il gorilla. Sánchez è sotto gli occhi di tutti, ma in Italia non lo vediamo. Non lo vogliamo vedere. Perché siamo ipnotizzati da altro: una narrazione patriottarda che confonde il tricolore con i blindati, il sacrificio con il silenzio, l’interesse nazionale con l’obbedienza.

Se davvero avessimo a cuore il futuro, investiremmo quei 10 miliardi l’anno per assumere 90 mila medici, 180 mila ricercatori, per rendere gratuita l’istruzione e i trasporti, per salvare vite, non per toglierle.

Ma siamo distratti. E mentre il gorilla attraversa la scena, noi contiamo palloni, applausi, sondaggi, dichiarazioni vuote.

Il patriottismo vero non si urla: si pratica.

E Giorgia Meloni, in questo esperimento, ha fallito il test.

Il primo chiama genocidio ciò che è genocidio, la seconda tace, sorride e obbedisce.

Questo non è patriottismo. È complicità.

E se non iniziamo a vedere il gorilla — cioè la verità che ci cammina davanti — allora non siamo solo governati da chi mente: siamo anche un popolo che sceglie di non guardare.

 

pH Pixabay senza royalty

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